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Apprendo con stupore gli ultimi sviluppi della vicenda del cargo non bonificato “Berkan B”, affondato a marzo 2019 nel porto di Ravenna durante operazioni errate di smantellamento che ne provocarono il collasso già ad ottobre 2017. Il relitto rilascia inquinanti nelle acque del canale portuale dei Piomboni, condivise con un’antica laguna del territorio costiero ravennate, la “Pialassa dei Piomboni” (tutelata sia ai sensi del Codice del Beni Culturali e del Paesaggio sia per i suoi valori ambientali), tant’è che è stata avviata una indagine nei confronti dei vertici dell’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna, accusati di inquinamento ambientale. Lascia basiti, perciò, la risposta data qualche giorno fa ad una interrogazione dalla Regione Emilia-Romagna, che ha anche perorato con piena fiducia la riconferma del Presidente uscente, sancita proprio oggi.

L’Ente nega fede al parere del consulente tecnico del PM per sposare, invece, completamente una consulenza tecnica di parte degli indagati in cui si certificherebbe l’assenza di inquinamento nelle acque circostanti il relitto. A nulla valgono, dunque, i tanti documenti resi pubblici che, invece, proverebbero il contrario? La regione, in sostanza, riporta pedissequamente le tesi della difesa e, con tono intimidatorio, taccia addirittura di diffamazione chi sostiene ciò che in tanti hanno verificato con i propri occhi.

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Assolve, inoltre, il Parco del Delta del Po, sotto cui ricade la Pialassa, asserendo che abbia rispettato ogni procedura e redatto persino una Valutazione di incidenza ambientale per le operazioni di smantellamento: gli interventi di rimozione del relitto cui si riferisce il bando di gara aggiudicato a dicembre 2019 ma mai avviati. Nulla, invece, sulle prescrizioni di tutela ambientale emesse, eseguite e verificate dal Parco dal 2017 ad oggi, per la semplice ragione che non ne esistono.

La Regione sostiene, inoltre, paradossalmente, che l’Autorità Portuale non dovesse rispettare alcun Regolamento europeo di riciclaggio delle navi, in quanto la “Berkan B” batteva bandiera turca. E così la nave è stata smantellata su una banchina priva di fognature adeguate, senza vasche di raccolta e senza i presidi e le attrezzature necessari per svolgere in sicurezza l’operazione. La frase più sconvolgente contenuta nella risposta all’interrogazione è però la seguente: “Fino al 31.03.2018 non sussistevano per l’AdSP evidenze che imponessero di non rinnovare la concessione dell’area demaniale”. In poche parole, una vecchia carretta di oltre 100 metri, spezzata in due fin da ottobre 2017, non rappresenta alcuna “evidenza”, né di come si siano svolti fino a quel momento i lavori di demolizione, né dei pericoli futuri, nonostante i ripetuti solleciti dell’Autorità Marittima ad intervenire.

Tutto ciò è inaccettabile, a mio avviso, per un ente pubblico, pagato (non poco) con denaro dei contribuenti, che deve sovraintendere ad una delle infrastrutture più importanti della portualità italiana, così come per una Regione che, per motivi difficilmente spiegabili, ne appoggia senza alcuna obiezione l’operato.

Auspico, nonostante tutto, che da qui in poi possa esservi un serio interessamento degli enti coinvolti, che permetta di liberare al più presto le acque ravennati da quel rottame inquinante e attribuire a ciascuno le responsabilità che gli spettano.

Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)

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