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Nel libro “L’Oro delle Mafie” Elio Veltri analizza il fenomeno: “La politica non se ne occupa abbastanza, se ben gestite le confische dei beni risanerebbero il Paese”

Il libro di Elio Veltri, scritto insieme a Franco La Torre e Domenico Morace, è più che mai attuale in questo periodo in cui aumentano gli appetiti delle mafie in rapporto alle enormi cifre che la Commissione Europea ha proposto di rendere disponibili sul Fondo per la ripresa. La crisi fa crescere i tentativi del mondo criminale di entrare in tutti i settori a cui è destinato il denaro per la ricrescita.

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Per saperne di più l’intervista ad Elio Veltri è volta a comprendere le diverse sfaccettature del fenomeno, quantificare il valore degli affari in mano alla mafia e ipotizzare un’attività di contrasto da parte del nostro Governo e delle istituzioni preposte a queste finalità.-

 

Il Grande affare delle confische è il cuore dell’argomento del tuo libro “L’oro delle mafie”, a chi giova questo affare?

Il libro tratta il tema delle ricchezze delle mafie, e ho voluto scriverlo non a caso con Franco La Torre e Domenico Morace, i quali come me si occupano dell’argomento da molti anni. Il padre della legge sulla confisca dei beni era stato Pio La Torre assassinato appena presentò la proposta in Parlamento. Quell’assassinio ci fa capire subito come stanno le cose. I mafiosi di tutte e tre le mafie (Cosa Nostra, Camorra e Ndrangheta) presenti in diverse parti del mondo, possono essere sconfitti solo se lo Stato gli porta via beni e soldi. Di andare in galera i mafiosi non si preoccupano più di tanto. E questo perché non solo con i soldi possono corrompere anche uomini della politica e delle istituzioni, ma possono garantire un avvenire ai loro familiari e ai sodali che li assecondano. Molti fanno studiare i figli in prestigiose università estere.

 

La legge Rognoni-La Torre che contiene misure di contrasto e di prevenzione nei confronti della mafia in Italia fu approvata circa quarant’anni fa. Che cosa è cambiato da allora?

Non molto. La politica non si occupa abbastanza dell’argomento. Io non ho mai visto un programma televisivo in cui si parli con competenza della confisca dei beni mafiosi, valutandone le percentuali confiscate e distinguendo i soldi dai beni immobili, dalle aziende ecc., e che faccia il punto su che fine hanno fatto tali risorse.

 

Nel libro si dichiara che questi beni se ben gestiti potrebbero risanare i conti del paese. A quanto ammontano questi beni?

A quanto ammontano? Non è mai stata fatta una ricerca per valutare quantità e valore dei beni mafiosi in Italia. Eppure sarebbe importante farlo. Per far capire di che quantità e valore stiamo parlando cito un caso recente che sembra inventato, ma è vero e se n’è occupato il Fatto Quotidiano (pubblicazione on line del 27.11.2020). Si tratta di Roberto Recordare, imprenditore di Palmi, “considerato al centro di una gigantesca storia di riciclaggio internazionale”. Dall’informativa della squadra mobile di Reggio Calabria, depositata agli atti del processo “Eyphemos” contro le cosche di Sant’Eufemia di Aspromonte, si apprende dagli inquirenti che Recordare era capace di spostare fino a 500 miliardi di euro e che trentasei miliardi cash erano pronti per il riciclaggio.

 

D’altronde se vogliamo capire meglio l’entità dei soldi che spostano le mafie è sufficiente vedere come si comportano alcune banche: in un articolo sulla Stampa del 14-06-2016, Antonio Maria Costa, già responsabile ONU per i problemi della criminalità organizzata scriveva: “La Wachovia bank, americana, ha riciclato 380 miliardi di dollari del cartello di Sinaloa negli anni 2008-2010 e la Hsbc, la più grande organizzazione bancaria europea, ammette di avere riciclato miliardi di narco-reddito”. Antonio Maria Costa sottolinea che in seguito a queste evidenze non è successo niente: nessuno è andato in galera e nessuno è stato licenziato. I dirigenti hanno chiesto scusa promettendo che non lo faranno più e le vicende si sono chiuse.

 

L’utilizzo sociale dei beni confiscati ha portato dei risultati in tutti questi anni?

Da queste citazioni si deduce che soprattutto per i soldi sarebbe necessaria una seria iniziativa dell’Europa all’ONU e dell’Italia in Europa, anche perché i soldi sono imboscati nelle banche europee e di altri paesi del mondo.

L’utilizzo dei beni confiscati non ha portato grandi risultati perché spesso si sono deteriorati e le aziende hanno chiuso. D’altronde se i governi e il Parlamento non se ne occupano seriamente non ci sarà nessun cambiamento. Io sono contrario ad una crisi di governo in questo momento, ma devo rilevare che Conte ha parlato di tutto, ma non ha nemmeno accennato al problema delle mafie come la più grande multinazionale del paese.

 

Cosa c’è dietro l’incapacità di gestire il fiume di denaro e i beni confiscati alle mafie?

Io non faccio mai il processo alle intenzioni e nelle Istituzioni mi sono sempre documentato prima di parlare. Non penso nemmeno che molti nostri rappresentanti siano corrotti. Ma se non si apre una discussione seria sugli argomenti connessi alle iniziative delle Procure antimafia, non si farà un solo passo avanti.

 

Insieme a Franco La Torre e domenico Morace descrivete le storie di confische, i loro esiti; che cosa manca per rendere efficaci le misure di confisca?

Mancano l’interessamento del Governo centrale e delle Regioni, del Parlamento e dei Consigli regionali e un’Agenzia per la gestione e la destinazione dei beni confiscati con poteri di intervento; governata da persone competenti e non influenzabili. Inoltre manca un’azione dei nostri rappresentanti nella Commissione e nel Parlamento europeo. Prima di scrivere il libro L’oro delle mafie ho visitato alcune librerie per vedere se vendevano libri sull’argomento e non ne ho trovato nemmeno uno.

 

Sei stato il primo sindaco d’Europa che ha chiuso al traffico il centro storico della sua città, oltre ad aver salvato la città da un vero e proprio tentativo di speculazione edilizia. Che cosa ti è rimasto di quella esperienza?

L’esperienza di Sindaco è stata straordinaria. Vorrei scrivere un libricino dal titolo “Il sindaco di provincia che ha parlato al mondo”. Perché pur essendo Pavia una città di provincia in quegli anni sono venuti in comune da Giovanni Agnelli a Alexandros Panagulis, da Hortensia e Isabel Allende a Enrique Tierno Galvan, ex Sindaco di Madrid. A quel tempo ho ricevuto inviti per oltre 10 convegni internazionali, a cui ho aderito per parlare di urbanistica e partecipazione.

Il caso Pavia fu discusso in due assemblee dell’ONU (Vancouver e Lubiana). Una convocata dal Presidente della Repubblica Francese all’Unesco di Parigi, dove erano stati invitati politici e sindaci europei, e un’altra a Lille, convocata dall’Internazionale socialista con tutti i leader presenti (François Mitterrand, Willy Brandt, Mário Soares), e io ero l’unico sindaco invitato a parlare. Purtroppo oggi non è rimasto molto, se non la viabilità e la dimensione della città che non si è espansa più di tanto e ha salvato il centro storico e risparmiato consumo di suolo. Non c’è più come una volta la partecipazione dei cittadini.

 

È noto il tuo impegno in politica, con la fondazione di “Democrazia e legalità” per l’affermazione dell’etica pubblica, lo stato di diritto, la lotta alla criminalità organizzata. Hai inoltre fondato “l’Italia dei Valori” con Di Pietro, “Opposizione Civile”, con Enzo Marzo e Paolo Sylos Labini, il “Cantiere per il Bene Comune” con Achille Occhetto, Giulietto Chiesa. Oltre a questo, è notevole il contributo sociale dei tuoi numerosi libri L’odore dei soldi con Travaglio, Mafia Pulita con Laudati, Milano degli Scandali con Barbacetto, Non è un paese per onesti, ed altri. Il tuo è un impegno continuo, coerente, strenuo. Quante persone hai incontrato nella tua vita con altrettanta idealità?  E tra loro chi ti ha deluso?

 

Ero stato iscritto al partito socialista per 25 anni. Appena arrivato a Pavia per studiare medicina ho cercato subito la sede del partito e ho chiesto la tessera. Nonostante fossi molto impegnato nello studio (ho conseguito la laurea a luglio del sesto anno con la lode) ogni sera partecipavo in città o nei paesi della provincia alle assemblee di sezione. Quando andavo in Lomellina mi ritiravo verso mezzanotte e con la nebbia d’inverno rischiavo anche la pelle con qualche incidente che per fortuna non ci fu.

L’attività politica nel partito e nella corrente di sinistra capeggiata da Riccardo Lombardi e contemporaneamente nelle istituzioni (consigliere comunale e poi sindaco, consigliere regionale e parlamentare) mi impegnavano almeno 12 ore al giorno. Nel 1981 ero con Craxi segretario nazionale, che era capace e intelligente, ma non aveva voluto capire che la corruzione avrebbe potuto distruggere il partito e compromettere l’avvenire del paese. Perciò uscii dal Partito insieme a Tristano Codignola e a un gruppo di compagni della sinistra socialista. Io vi ero entrato spinto dalla tradizione familiare. Mio padre medico amatissimo a Longobardi aveva militato nel partito d’Azione(1944) e poi era confluito nel PSI. I miei libri sono tutti saggi riguardanti i problemi come la corruzione, la mafia ecc. e dopo avere lasciato il Partito ho avvertito la necessità di riprendere in qualche modo l’attività politica e insieme a persone specchiate ho fondato le associazioni che citi, e ho scritto libri che ho presentato in tutto il paese, dalla Val D’Aosta alla Sicilia. Se l’età e la salute me lo permetteranno appena sarà possibile farò la stessa cosa con L’ORO DELLE MAFIE che molti mi hanno già chiesto di presentare.

 

Pavia, 25 gennaio 2020    Wanda Montanelli

 

L’Oro delle Mafie

 

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