Advertisement

di Francesco S. Amoroso

Una delle conseguenze nefaste della pandemia è quella che si è prodotta nel mondo del lavoro.

Advertisement

Un dato può essere esemplificativo della gravità della situazione: la perdita di posizioni lavorative da inizio marzo 2020 al 30 giugno 2020 ammonta a circa 578 mila, e segnatamente -154 mila posizioni a tempo indeterminato e -424 mila a tempo determinato.

Questo dato, diffuso dall’Istat, dal ministero del Lavoro, dall’Inps, dall’ Inail e dall’Anpal è stato pubblicato nella nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione del secondo trimestre 2020.

Nel complesso, al 30 giugno 2020 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, il saldo di 578 mila posizioni in meno è dovuto a una diminuzione di 1 milione 567 mila attivazioni di rapporti di lavoro dipendente (-362 mila a tempo indeterminato e -1 milione 205 mila a termine) e un calo di 988 mila cessazioni (-207 mila a tempo indeterminato e -781 mila a termine).

Le contrazioni hanno riguardato l’agricoltura (-8 mila posizioni), l’industria (-66 mila posizioni) e soprattutto i servizi (-504 mila posizioni al 30 giugno 2020).

In tutto il mondo la pandemia ha prodotto più pubblico e meno privato.

Historia magistra vitae (la storia è maestra di vita) diceva saggiamente Cicerone.

Applicando questa massima potrebbe essere molto utile prendere esempio dal passato, attualizzando l’esperienza di una nuova GEPI con i dovuti e opportuni adattamenti del caso.

Sono usciti infatti, recentemente, alcuni articoli sul tema dell’intervento pubblico nell’economia riportati sui principali quotidiani.

Vogliamo perciò ritornare sull’argomento.

L’acronimo GEPI (Gestione Partecipazioni Industriali) designò la società pubblica dedicata al salvataggio delle aziende in crisi e alla salvaguardia dell’occupazione.

Fu istituita nel marzo del 1971, e inizialmente le fu affidato il compito di acquisire partecipazioni in società in crisi per favorirne la ristrutturazione e il rilancio.

Operò numerosi interventi, soprattutto nei settori meccanico, tessile, dell’abbigliamento e dell’elettronica di consumo, ma già dal 1976 il ruolo della GEPI cominciò a mutare, fino a che nel decennio successivo divenne uno strumento per il reimpiego e il mantenimento dell’occupazione in esubero.

Lo Stato attraverso la GEPI entrò nel capitale delle aziende per agevolarne la ristrutturazione, e poi uscirne vendendole.

Nel periodo 1971-78 rilevò e risollevò ben 176 aziende in crisi, ma dal 1977 diventò altro rispetto alle sue finalità.

Oggi si torna a parlare di nazionalizzazioni (come per l’ex Ilva) o di altre forme di intervento dello Stato per le aziende in crisi (vedi Alitalia) richiamando alla memoria un passato che potrebbe essere quanto mai utile, e non da disprezzare e relegare in soffitta.

Di Gepi si torna oggi a parlare anche tra gli addetti ai lavori.

Una storia quanto mai attuale che potrebbe costituire una terapia efficace per rianimare il mondo del lavoro così duramente colpito dalla pandemia.

Un tema che potrebbe essere inserito nell’agenda del governo, e che potrebbe costituire un volano per la nostra economia così martoriata dal virus.

Advertisement
Articolo precedenteWOMAHR Women_Art_Human Rights for Peace
Articolo successivoScuola: Flc Cgil Sicilia, quasi 5.000 pensionamenti a settembre

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui