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Di Pasquale D’Aiuto, Avvocato.

Niko di “Un posto al sole” (Rai3, prima serata) è un giovane avvocato. Gli autori gli dedicano ampio spazio, ponendolo spesso al centro delle piccole, grandi beghe degli altri. La storia rappresenta il percorso ideale del professionista: si laurea in tempo, fa pratica ma non si fossilizza, studia sodo perché deve sostenere l’esame di abilitazione – che supera perché preparato; elegge le materie di suo gradimento e vi si specializza; si associa con altri giovani ed apre uno studio professionale. All’inizio non ha clienti ma poi, sfruttando un caso di un certo rilievo sociale, comincia ad ingranare.

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Si preoccupa del proprio reddito e della propria crescita; si concentra con devozione sulle questioni d’interesse; riceve con sobrietà e garbo in studio; non manca di evidenziare difficoltà ed incognite di ogni incarico e sollecita l’apporto del cliente nelle scelte operative. Mostra naturale riguardo per il segreto professionale ed il rapporto coi colleghi e, sovente, rammenta i propri doveri deontologici.

Oh, naturalmente niente pratiche infinite presso studi più o meno iper-specializzati, niente fotocopie, niente reddito-zero-perché-devi-imparare, niente uffici giudiziari inadatti, niente file insensate e rinvii d’udienza a lustri, niente tempi morti e procedure obsolete ma tanto spirito d’iniziativa, tanto rispetto. Insomma: nulla di tutto quanto io stesso abbia (de)scritto più volte.

All’inizio me ne dolevo: meglio sarebbe stato descrivere le criticità assurde della vita reale d’un avvocato – specie in questo fantascientifico momento storico. Adesso, invece, sono certo si tratti di un contegno molto coraggioso, perché rappresenta il modello di professione che merita di essere perseguito. Una normalità aurea che può far riflettere. Niko mi piace!

E sì, perché Niko fa l’avvocato per davvero ma è giovane (anagraficamente, mica eternamente gggiovane come molti che non lo sono più da un decennio?); poi, esce di casa ben vestito ma non sembra un gangster; è serio ma non serioso; esprime concetti logici oltre che giuridici (certamente più credibili di quelli di un ex ministro a caso) e tende a comportarsi in modo consequenziale, lucido, cortese, mostrando gran senso di responsabilità. E viene universalmente rispettato ed ascoltato come avvocato, benchè alle prime armi.

Capolavoro: ultimamente, la madre, operatrice nel sociale, gli affida il caso spinoso di uno straniero poco abbiente. Ti aspetteresti, allora, che, allorquando il cliente lo informa di non poterlo pagare con facilità, il Giovane Avvocato Niko replichi: “Non si preoccupi, la seguirò pro bono, me lo ha chiesto mammà”. E invece, no: “Intanto, occupiamoci degli incombenti urgenti; in seguito, parleremo del mio compenso”. Stupore! Gli avvocati non lavorano per la gloria?!

Persino sulla RAI e, udite udite, pure se il cliente sia persona socialmente disagiata? Persino per il Giovane Avvocato Niko, così ardito da non occuparsi soltanto di udienze e bozze di atti per i colleghi accorsati?

Il mio stupore diventa misticismo quanto il padre si reca dal figlio e, invece di suggerirgli di passarsi una mano sulla coscienza e prestare l’opera agratise, lo ammonisce: “O giovane Avvocato Niko, il tuo compito è duro, la responsabilità ampia: ti farai pagare il giusto?”. Uno degli autori ha il figlio avvocato, non c’è altra soluzione.

Questa è politica forense! E sì, perché hai voglia a discettare di avvocato in Costituzione, di sentinelle della Giustizia, di guardiani del Diritto: in quest’epoca di delegittimazione e svilimento per la mia amata professione, una cosa del genere, in prima serata, educa più di mille dotti convegni. Il Giovane Niko desidera essere avvocato, non studia Legge perché prima o poi ti laurei o per il desiderio d’un genitore; fa pratica, si abilita, apre uno studio e la partita iva, cerca clienti, assume su di sé rischio d’impresa, patisce responsabilità ed il peso degli oneri altrui, sottoscrive una polizza assicurativa, ci mette la faccia ed appone firme sotto gli atti e, per questo, viene ADDIRITTURA pagato?!

Beh, che bello, “Un posto al sole”. Mi trasferisco lì, non c’è manco la pandemia! Dovrò fare a meno della nostra eccellente, infallibile, identitaria politica forense degli ultimi decenni ma me ne farò una ragione.

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