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Uno degli argomenti di cui si occupa specificatamente il mio studio legale è il diritto fallimentare e, vista la recente sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione depositata in data 4 febbraio 2021 in tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, vorrei affrontare in generale l’argomento di una speciale procedura concorsuale che è la liquidazione coatta amministrativa per poi passare al caso specifico sul quale si sono pronunciate le SU.

La liquidazione coatta amministrativa è appunto una procedura concorsuale prevista in casi particolari per quelle categorie di imprese per cui un collasso avrebbe delle conseguenze di portata generale, perché ad esempio lo Stato vi è direttamente impegnato o perché vi sono grandi interessi che esse rispecchiano. Con essa si determina la “sostituzione” di un ufficio pubblico (amministrativo) all’imprenditore nel potere di disposizione e di amministrazione del proprio patrimonio, costituito in “patrimonio separato” con autonomia di responsabilità (De Martini). Il persistente affidamento della procedura all’autorità amministrativa è la caratteristica che maggiormente la differenzia dal fallimento ed è dovuta al suo perseguimento di interessi che vanno oltre quelli dei creditori al soddisfacimento delle loro ragioni (Guglielmucci).

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Per brevità le aziende che rientrano all’assoggettamento a tale procedura sono principalmente:

  • società cooperative;
  • banche;
  • società di intermediazione immobiliare e le così dette imprese di investimento;
  • società di revisione e fiduciarie;
  • imprese di assicurazione.

La procedura della liquidazione coatta amministrativa, di norma, esclude il fallimento. Vi sono dei casi particolari in cui è prevista anche la possibilità, accanto a questa procedura, del fallimento, ma in quei casi varrà il principio di prevenzione secondo cui prevale tra i due istituti quello che è stato richiesto per primo, quale che esso sia. Nel caso di liquidazione coatta amministrativa, inoltre, al contrario del fallimento, non c’è solo lo stato d’insolvenza come presupposto oggettivo per procedere, ma sono presenti altri possibili presupposti tra cui la violazione di norme e/o atti amministrativi che compromettano il regolare funzionamento dell’impresa oppure anche motivi di pubblico interesse che portano alla soppressione dell’ente.

Nel caso di specie su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite Civili della Cassazione si trattava di deliberare circa la richiesta, effettuata da un Istituto di Credito nei confronti di una Società Cooperativa a Responsabilità Limitata in liquidazione coatta amministrativa, di un rimborso di un credito Ires. Il contratto sottostante al credito Ires, era infatti stato stipulato dal commissario liquidatore nel 2010, ma la procedura di liquidazione era già stata chiusa in precedenza nel gennaio del 2008 e ratificata con cancellazione della società dal Registro delle Imprese nell’aprile dello stesso anno. Motivo per cui l’Agenzia delle Entrate rigettò la richiesta di rimborso attraverso l’istituto del silenzio-rifiuto, ma la società impugnò tale rifiuto in primo grado, portando la Pubblica Amministrazione finanziaria a dover motivare il suo rifiuto, asserendo che l’Istituto di Credito aveva acquistato il credito fiscale troppo tardi, in un momento in cui il commissario liquidatore non era più nella posizione di poterlo cederlo visto che il suo incarico era già terminato a seguito della chiusura della procedura concorsuale. Senza contare, inoltre, che il credito tributario in questione, non essendo stata presentata ancora la dichiarazione dei redditi conclusiva da cui esso sarebbe scaturito, non esisteva neppure, come sostenuto dall’Agenzia dell’Entrate.

La Commissione Tributaria Provinciale di Pavia e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia decisero entrambe di accogliere le istanze dell’Istituto di Credito e condannarono l’Agenzia delle Entrate a pagare alla Banca l’importo contestato, osservando in aggiunta che la dichiarazione dei redditi da cui trarre l’importo del credito può essere comunque fatta entro sette mesi dalla chiusura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, generando così automaticamente un tempo di proroga dei poteri del commissario liquidatore. Se dunque il commissario liquidatore è ancora in carica per presentare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo concorsuale, può anche in quel periodo cederne il credito che emerge dalla dichiarazione stessa.

Qui risiede il nodo giurisprudenziale che è stato rimesso appunto alle S.U. circa la valutazione del rapporto tra il sistema della tassazione in acconto e la tassazione del reddito delle procedure concorsuali liquidatorie, in particolare per ciò che concerne la circolazione dei crediti delle procedure concorsuali. Le S.U., dunque, si sono espresse rigettando il ricorso propostodall’Agenzia delle Entrate ed enunciando a tal proposito il seguente principio di diritto: «In tema di circolazione del crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito Ires da eccedenza d’imposta versata a titolo di ritenuta d’acconto nasce in esito e per l’effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata da commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto».

AVV. NICOLA BRUNO

https://www.studiobrunoroma.it/post/114/liquidazione-coatta-amministrativa-nuovo-pronunciamento-da-parte-delle-su

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