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Tutta la fierezza del popolo rosso nelle vene del braccio. La compattezza dei muscoli, il petto forte, la punta della freccia lucida, lo sguardo furioso. Il popolo rosso ancora vive eppure distrutto dall’immane cinismo degli uomini. No, non si può perdonare nessun eccidio in nome della ricchezza e del potere. Non è ammissibile dimenticare olocausti e stermini. Il popolo rosso mi manca. Non imparo né la dignità e neanche l’orgoglio. Senza il popolo rosso sono indietro. Non avanzo. Senza ricordo spegniamo la luce. Siamo topi. Peggio. Carogne. Sono un sioux. Cavalco il mio mustang a macchie baie. Odoro la polvere ed assaggio la possenza delle montagne. Adoro l’alito del lupo. Carpisco le anime belle dal suono sacro del tamburo. Non ho bisogno di sogni. Questo è il sogno. Eco dei miei avi, della mia gente coraggiosa. Ma quando avrei mai potuto sperare di meglio. Un capo indiano. Nella penombra dei pomeriggi assolati le parole nette, antiche della tenda, mi danno la determinazione. A cavallo nella polvere e con i miei fratelli con il coraggio spesso. Sono un sioux. Mi rivedo in lui. Allineo le penne d’aquila fiere e pettinate sulla testa. Il vento poi fa il resto. Senza speroni il popolo è andato in contro al cinismo. Al suono della danza del sole. Vinto solo nei corpi, è andato, senza speroni. (s.v.)
Mi chiamo Aquila Verde
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