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Roma, 16 marzo 2021 – Da poco più di un anno, con la diffusione del virus SARS-CoV-2, la popolazione mondiale si è ritrovata ad affrontare situazioni che prima di allora aveva potuto vedere solo nei film. Le misure di sicurezza messe in atto per combattere il contagio si sono rivelate, sebbene per alcuni aspetti necessarie, un ulteriore carico da sopportare. Il terrore del contagio, il virus che poteva portare a conseguenze sconosciute ed avere effetti in alcuni casi fatali, si sono sommati all’obbligo di portare la mascherina, di utilizzare guanti, igienizzare sempre le mani, la distanza di sicurezza e per finire l’isolamento sociale durante il lockdown.

Un sacrificio che forse inizialmente ci è sembrato un piccolo prezzo da pagare per poter riscattare la libertà e sopravvivere, si è dimostrato però purtroppo non sufficiente a debellare il virus. Non avevamo idea di quanto questa cosa si sarebbe protratta nel tempo e che oggi, a distanza di più di un anno dal primo lockdown, ci saremmo ritrovati a temere ancora il contatto fisico con l’altro.

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Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” afferma che “il contatto fisico ha diversi effetti positivi per ogni persona. Toccare ed essere toccati è fondamentale, in questo momento invece il corpo dell’altro ci è stato proibito, l’abbiamo cominciato a vedere come pericoloso, possibile veicolo di virus. Durante l’isolamento abbiamo dovuto inventare nuovi metodi per sentirci “vicini”; ricordiamo con malinconico piacere il famoso inno d’Italia cantato dai balconi e i “ce la faremo”.

Ma in che modo l’assenza del contatto fisico ci ha cambiati?

Nonostante i mezzi virtuali non ci manchino e il fatto di essere riusciti a compensare bene il nostro fisiologico bisogno dell’altro, il corpo resta un elemento essenziale di conoscenza del mondo, di scambio di informazioni e di creazione attiva della nostra realtà mentale. Se le inferenze psicologiche e i significati del contatto corporeo possono sembrare variabili e soggettivi, parliamo invece degli effetti fisiologici del contatto fisico.

La Dr.ssa Claudia Grillea, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”, ci ricorda che “fra le tante reazioni fisiologiche alla vicinanza dell’altro, abbiamo la stimolazione dell’ossitocina, conosciuta anche come “l’ormone dell’amore”. Questo particolare ormone viene prodotto maggiormente quando ci si trova a contatto con persone con le quali abbiamo un forte legame emotivo, amici, partner o i nostri genitori”.

L’ossitocina promuove i comportamenti sociali, l’empatia e se ne produce in misura maggiore quando ci si trova in situazioni di condivisione o di contatto fisico. In questo modo, la sua produzione rafforza i legami affettivi e li rende più duraturi nel tempo. Fare gruppo è “adattivo” per la specie umana, ovvero aumenta le probabilità di sopravvivenza; ci siamo evoluti nel tempo e abbiamo sviluppato reazioni e istinti sociali proprio perché abbiamo scoperto, tramite l’esperienza ereditata di migliaia di anni, che insieme si sopravvive più a lungo che da soli.

L’ossitocina, infine, regola i livelli di cortisolo, altro ormone implicato nella gestione dello stress, dell’aggressività e dell’ansia. Anche la risposta da stress è fondamentale per la nostra sopravvivenza, si pensi semplicemente anche solo a quando ci si deve mettere in salvo da qualcosa che percepiamo come pericoloso, il problema si pone quando gli stimoli stressanti diventano molteplici e non si hanno sufficienti mezzi o strategie per affrontarli.

È scientificamente dimostrato che il contatto fisico abbassi i livelli di cortisolo e promuova la regolazione dello stress, agendo sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, responsabile della risposta da stress: una cascata di attivazioni che partono dai nuclei paraventricolari dell’ipotalamo, i quali producendo l’ormone di rilascio della corticotropina (CRH) ed altri neuropeptidi rilasciati nel sangue, vanno ad attivare l’ipofisi anteriore che a sua volta produce ormone adrenocorticotropo, o corticotropina, (ACTH) che va ad attivare le ghiandole surrenali, le quali infine producono il cortisolo.

Questo meccanismo è regolato da feedback negativo tramite l’ipotalamo, corteccia prefrontale e dall’ippocampo, ovvero queste aree captano la produzione dell’ormone e danno all’ipotalamo il segnale per interrompere la catena di produzione di cortisolo quando ce n’è già a sufficienza.

Proviamo ora ad immaginare il carico di stress accumulato dall’inizio della pandemia, la preoccupazione continua per il contagio, le misure da applicare, le restrizioni, la paura, la solitudine, purtroppo anche i lutti che alcuni hanno dovuto affrontare. Non ci riesce difficile immaginare come in un momento di simile difficoltà sarebbe stato necessario almeno un abbraccio.

Il grave peso della mancanza di contatto fisico va a ripercuotersi sulla nostra quotidiana gestione dello stress e delle emozioni, con conseguente aumento dei casi di ansia, attacchi di panico e del senso di disperazione, oppure “hopelessness”, che è alla base dello sviluppo di patologie psicologiche come la depressione. Inoltre, reazioni disfunzionali allo stress o stress eccessivo possono portare ad un indebolimento del sistema immunitario, che ci renderebbe ancor più vulnerabili alle malattie.

“Quello che stiamo vivendo noi oggi tramite l’isolamento sociale e la paura del contagio è una cosa che i pazienti oncologici ed immunodepressi vivevano già da tempo, seppur in scala ridotta. Quando ci si sottopone a chemioterapie o trapianti ci si ritrova a vivere con difese immunitarie azzerate, con la paura che un qualsiasi malanno possa portare a conseguenze fatali e a limitare i contatti con il mondo esterno. Proprio per questo motivo – continua la dr.ssa Grillea – essendo una specializzanda SIPSI, una scuola di psicoterapia che si occupa maggiormente di pazienti oncologici e di setting online – ho potuto apprendere sin da subito l’importanza di questo tipo di sostegno e di cosa significhi l’assenza del corpo. In situazioni critiche come questa, in cui ci sono dei provvedimenti rigidi che ci impediscono di vivere come abbiamo fatto prima d’ora, il mio consiglio è quello di non aver mai paura di chiedere aiuto”.

Il supporto psicologico è fondamentale in questo periodo storico per poter anche riuscire a scardinare l’idea della distanza dall’altro, rompere l’isolamento, anche se solo virtualmente, e non abituarsi passivamente all’idea della solitudine.

Al riguardo il Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est” ha istituito un apposito servizio di aiuto psicologico in 21 lingue.

I 278 psicologi della rete del pronto soccorso sono presenti in tutte le regioni italiane e in 19 paesi esteri (Regno Unito, Hong Kong, Messico, Russia, Argentina, Grecia, Kenya, Ghana, Brasile, Portogallo, Serbia, Romania, Bulgaria, Egitto, Giordania, Azerbaijan, India, Spagna, Svizzera).

Per contattare il servizio di supporto psicologico basta telefonare al n. 06 22796355, al n. 320 2782095, o collegarsi al sito www.pronto-soccorso-psicologico-roma.it .

 

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