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amore mio, scusa il foglio sporco. Lo tengo con la stessa mano con cui scrivo. Nell’altra stringo quella di Gabriele senza vita accanto a me. La guerra è una pazzia. Una pazzia inutile. Sto per mollare perché siamo pieni di melma e le bombe, quando scoppiano, ci irrigano di schizzi di terra. Credimi, qui è ridotto tutto ai minimi termini. I sentimenti, consumati sino all’osso, si presentano inopportuni dietro ai terrapieni. Non so esprimere ciò che si prova perché non è descrivibile né la morte e neanche la paura. Tra noi si dice che sia un attimo. Neanche te ne accorgi. Muori. Abbandoni così tutto e tutti. Proprio ieri Gabriele mi raccontava di sua moglie, del ricordo bello che aveva di lei, di quanto le mancasse e che, in fondo diceva, tutti dovrebbero andare in guerra una volta per capire cosa significa litigare per una banalità. Sai, non ho fatto in tempo a dirgli quanto avesse ragione perché mentre chiedevo di fare io il miracolo di salvarlo in nome di Dio, mentre gli raccontavo di quella volta a New York, eravamo in vacanza ricordi?, litigammo per una cazzata, era già morto. E quel viso, Madonna mia, di ragazzo giovane sano e forte divenne quello di un fanciullo senza i suoi genitori. Avevo fatto una grande cosa, tra le lacrime asciutte, ero orgoglioso, sono orgoglioso, di tenergli la mano. Mi sento un vero uomo. Ho scoperto l’umanità nuda e cruda. Se tra poco, come prevedo, sarò anche io vittima dello sfacelo, sarà Gabriele a tenermela questa volta. Amore mio, ti prego, non parlare ai ragazzi di me come un eroe. Dì che il loro papà era una persona normale, educata alle buone maniere. Un signore. Dì che avrebbe preferito volentieri morire per loro non certo in guerra. Onesto soprattutto. Dì che papà avrebbe voluto per loro essere solo uno spunto ma che avrebbero dovuto fare meglio, molto meglio di lui. Voglio che tu sappia che tutte le volte che ho avuto premure per te l’ho fatto senza deroghe e con piaceri enormi. Voglio che tu sappia che ogni volta che ti preparavo il pranzo io l’ho fatto con amore pensando a quando l’avresti mangiato serena. Il miglior piatto, il miglior boccone è stato per te. Avrei voluto fare per te cose strabilianti ma non ci sono riuscito. Forse la cosa migliore che riesco a fare è scriverti oggi materializzando in parole le impalpabili astrattezze del cuore. Tu devi sapere che niente di te mi è sfuggito, i piedi di bambina, i gesti del capo, il modo di guardarmi, le attenzioni per i figli. Ed ora che nella testa si affollano tutti i pensieri di tutta la mia vita come una calca furibonda attraverso un imbuto strettissimo, proprio ora, in questo momento è certo, ti amo. Tu, per favore, ricordatene. Sempre tuo…(s.v.)

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