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La scorsa settimana, al summit in Alaska, due giorni di tensioni tra la delegazione americana guidata dal Segretario di Stato Antony Blinken e la diplomazia cinese con il responsabile Yang Jiechi.                                                                                                Foto di circostanza e poi si riuniscono per discutere della situazione globale: tanti i temi con altrettante divergenze. Pechino viene dagli americani subito accusata di mettere a repentaglio l’ordine mondiale a causa dei suoi sistemi non democratici, altrettanto forte è l’accusa a Washington da parte dei cinesi che condannano l’uso di pratiche egemoniche e l’incitamento all’aggressione verso la Cina. Ciò, a loro avviso, non ha una benché minima giustificazione dato che gli USA, al pari di tutto il mondo occidentale, non rappresentano “l’opinione pubblica internazionale”.                                                                                                                 La posta in gioco è anche l’Europa, i cui Stati (particolarmente Germania e Francia, ma pure l’Italia) hanno contatti con la Cina e anche con la Russia, ugualmente condannata dagli USA per presunte ingerenze nelle elezioni americane e avvelenamento di Aleksej Naval’nyj, oppositore di Putin.                                                     Ai ferri corti dunque gli USA anche col Cremlino a causa di Biden che definisce Putin “un assassino” costringendo l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Anatoly Antonov a rientrare a Mosca per consultazioni.                                                                  Putin, dopo aver ricordato a Biden la storia della schiavitù e delle stragi dei nativi americani, afferma: “Chi lo dice sa di esserlo”, aggiungendo poi: “Gli auguro buona salute”.                                                                                                                                      In risposta Washington lancia possibili sanzioni e, di rimando, Mosca minaccia la rottura totale con l’Ue in caso di sanzioni. Si profila la crisi e, ad andarci di mezzo, come suol dirsi, è l’Europa che nel panorama internazionale conta sempre meno.                                         Ma il nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi, pensando forse al “non sempre abbaiare è mordere”, ritiene che non possa essere definita crisi, “per ora solo scambio di complimenti”. E dovrebbe essere così poiché a nessuno conviene passare dalle minacce ai fatti, comunque preoccupa quel “per ora” di Draghi. Gli esseri umani sono “de coccio”, come dicono a Roma, neppure con le pandemie rinsaviscono, però anche noi pensiamo che siano sceneggiate, di quelle che accadono pure fra coloro che sono al vertice per affermare il primato ma che, in un mondo già atterrito, non possono non ingenerare altro terrore.                                                                                                                           In realtà, nelle relazioni tra gli Stati sempre, ma soprattutto nel nostro tempo, bisognerebbe lavorare insieme, cooperare come, secondo l’imperatore Marco Aurelio, fanno nel corpo “piedi, mani, palpebre, denti in fila sopra e sotto, perché l’agire gli uni contro gli altri è contro natura”.                                                              Insieme si può raggiungere ciò che ciascuno cerca di raggiungere. Ed il fine che maggiormente conta è “la pace e la prosperità del mondo”, come sostiene il repubblicano 90settenne mente lucida Henry Kissinger, un tedesco naturalizzato statunitense, ex Consigliere per la sicurezza nazionale ed ex Segretario di Stato americano durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford.                                 Di reale essenza della diplomazia Kissinger molto si intende, come degli americani ch’egli ritiene portati a perseguire una linea di politica estera secondo la loro rappresentazione dell’ordine mondiale e non sulla effettiva realtà.                              In un video, registrato qualche tempo prima del vertice della scorsa settimana in Alaska, dice che in un mondo, qual è il nostro, di tecnologia, comunicazione globale e globalizzazione economica bisogna impegnarsi più che in passato a cooperare per la pace e la prosperità che solo di quella è frutto.                                                                           Si ha, però, un bel dire, da remoto tempo ormai, che la cooperazione è l’arma vincente se poi a prevalere è la sete di dominio. Ma il dominio non “racchiude in sé i germi della propria distruzione”, come rifletteva Hannah Arendt?

Antonietta Benagiano

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