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«Nessuno può fermare la verità dei fatti» Il nodo della Giustizia deflagrò nel nostro Paese con il caso dell’errore giudiziario su Enzo Tortora, il popolare giornalista arrestato ingiustamente nel 1983 e assolto il 15 settembre del 1986. A quasi trentacinque anni di distanza e dopo innumerevoli errori giudiziari (secondo il sito errorigiudiziari.com sono dal 1991 al 2019 circa 29000, quasi mille all’anno) il dibattito sulla Giustizia è ancora non solo aperto ma irrisolto. Dal 2019 la stampa inizia a riportare notizie riguardanti inchieste su un magistrato, Luca Palamara, ex componente del Csm. 1131 maggio del 2020 Luca Palamara, durante un’intervista a Massimo Giletti nella trasmissione «Non è l’arena» su La7, dichiara senza mezzi termini come il sistema delle correnti all’interno dell’associazione nazionale magistrati era strumentale a gestire nomine come da «manuale Cencelli» usata nella parte deteriore della politica. In tutto questa situazione la funzione di Palamara era di mediazione tra le diverse correnti. La denuncia dell’ex magistrato al sistema giudiziario ha rappresentato un atto di grande coraggio capace di riaprire il caso su quanto la Giustizia si possa considerare libera e giusta. Questo atto di coraggio Luca Palamara l’ha, ad oggi, pagato con la radiazione dalla magistratum.

Dottore lei è stato il primo ex consigliere del CSM ad essere radiato dall’ordine giudiziario?

«Il 3 maggio del 2019 mi è stato inoculato un trojan che ha intercettato una cena presso l’hotel Champagne durante la quale si discuteva della successione di Pignatone alla Procura di Roma, cena svoltasi con le medesime modalità e con gli stessi protagonisti che avevano portato alla elezione dell’attuale vice-presidente del CSM Davide Ermini. 11 29 maggio del 2019 i due principali quotidiani nazionali pubblicavano il contenuto delle registrazioni effettuate con il trojan e da quel momento una parte della magistratura ha voluto in maniera ipocrita considerarmi il capro espiatorio da immolare sull’altare della continuità e della conservazione. Sono stato radiato per aver partecipato a questo incontro, senza avere la possibilità di audire i testimoni e per questo motivo ho fatto ricorso alle Sezioni Unite civili della Cassazione. Il ricorso verrà discusso il prossimo 8 giugno. Chi avrebbe voluto allontanare lo spettro della riforma della giustizia ha fatto di tutto perché fossi io a dimettermi, invece ho accettato la sfida per affermare la verità e non mi sono dimesso. Ma la falla era così grande che uno spiraglio è rimasto aperto e da li sta cominciando finalmente ad uscire la verità»

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Lei ha parlato dell’utilizzo del trojan nei suoi confronti…

«Lo strumento del trojan usato per figure istituzionali riviste un punto di non ritorno. Soprattutto quando viene azionato ad intermittenza e magari per monitorare le mosse delle correnti che dibattevano in quel momento e si incontravano – legittimamente – per determinare la successione alla procura di Roma. Un trojan quindi troppo “intelligente” per essere neutrale e troppo “curioso” per essere votato a scoprire eventuali episodi corruzione (che non ci sono stati) o di mafia, neanche da ipotizzarli. E quindi: come si giustifica il trojan su di me?».

E lei che idea si è fatto?

«Sarebbe interessante chiederselo e questo voglio ribadirlo nel massimo rispetto dei pubblici ministeri che hanno indagato su di me. E ancora più interessante sarebbe domandarsi e magari avere una risposta verosimile come mai la cena del 9 maggio il trojan rimase in silenzio quando eravamo insieme con Pignatone e nessuno poteva sapere che a quella cena avrebbero partecipato le rispettive mogli perché la registrazione della giornata del 9 venne ascoltata solo in data 13 maggio 2019».

La sua accusa contro le correnti nella magistratura ci riporta alla mente una riforma mancata sulla giustizia, quella del referendum del 1987. È stata una occasione mancata?

«Oggi faccio parte della commissione giustizia del Partito Radicale che insieme a PLI e PSI nel 1987 presente) la richiesta di tre referendum per ottenere la responsabilità civile dei magistrati, l’abrogazione della Commissione inquirente e del sistema elettorale del CSM. Fu un primo grosso campanello di allarme che la magistratura di allora non seppe cogliere. Circa 1’83% dei votanti si dimostrò favorevole ad introdurne più incisive forme di responsabilità. Allo stesso modo nel 1996 la magistratura si schierò apertamente contro l’allora ministro della giustizia Flick che voleva introdurre le pagelle per controllare l’operato del magistrato. In queste occasioni anziché una comprensione delle posizioni altrui ed uno spirito di autocritica è prevalso l’istinto della conservazione che ha accentuato in qualche modo l’arroccamento ed il prevalere dello spirito di casta».

Come venivano gestiti gli incarichi tra magistrati?

«Nel libro il Sistema scritto con il direttore Alessandro Sallusti ci sono molti episodi descritti nel dettaglio, dai quali si evince come spesso il merito sia stato sacrificato in nome di equilibri e logiche di corrente, e di come moltissimi magistrati lontani da questo tipo di meccanismo siano stati illegittimamente svantaggiati. È un meccanismo al quale hanno partecipato tutti gli aderenti alle correnti e sarebbe bello che a raccontare come funzionava il do ut des (ti voto e ti faccio votare ed in cambio sarò il tuo riferimento al CSM) non fossi solo io ma i diretti interessati a prescindere dalle chat contenute nel mio telefono».

Lei non teme rivalse su di lei attraverso denunce e querele?

«Penso che le annunciate querele nei miei confronti costituiranno l’occasione per chiarire davanti ai giudici e all’opinione pubblica come realmente ha funzionato il meccanismo delle correnti. In ogni caso voglio rassicurare che il mio racconto altro non costituisce che il mio punto di vista suffragato da chat, documenti e testimoni sulle modalità del conferimento degli incarichi all’interno della magistratura. Quanto al ruolo dell’ANM è innegabile che tra il 2008 ed il 2012 la stessa anche in concomitanza con i processi a Berlusconi abbia assunto un ruolo di opposizione politica»

La stessa cosa sta accadendo al leader della Lega Matteo Salvini?

«Il caso Salvini si inserisce in questo contesto. In realtà la chat divulgata – e sarebbe interessante capire l’uso pubblico che è stato fatto del mio cellulare finito in troppe redazioni di giornali – era una conversazione informale e del tutto privata tra me e un collega nella quale ammettevo candidamente che la logica di corrente e di appartenenza aveva Salvini come nemico. E indubbio che anche all’interno della magistratura tema dell’immigrazione viene approcciato politicamente e diventa terreno di contrapposizione tra le diverse idee dei magistrati che compongono i gruppi associativi e che a loro volta confluiscono nell’ANM. Questo volevo sinteticamente dire in quella chat dai contenuti da me espressi in maniera infelice nei confronti del sen. Salvini»

Un altro caso è quello del processo per infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia chiamato “inchiesta Aemilia”?

«Detto che trovo alquanto singolare che un Procuratore della Repubblica possa essere processato nel suo ufficio per aver interloquito con la mia persona come accaduto a Mescolini perché anche chi oggi siede al CSM si comportava esattamente nello stesso modo, risulta dalle mie chat che la nomina di Mescolini era fortemente sostenuta in ambito politico dal partito democratico. Sulle modalità di svolgimento della indagine Aemilia sono rimasto fortemente colpito dalle recenti prese di posizione del CSM che parlano di uso politico della giustizia»

Nel libro parla di una sua amica magistrato romana morta poco tempo fa: Simonetta D’Alessando.

«La dottoressa D’Alessandro era una mia carissima amica, stata GIP del Tribunale di Roma ed ha affrontato processi molto importanti. La sua improvvisa scomparsa all’interno della sua abitazione per un malore ha lasciato tutti attoniti. L’ultima volta che l’ho sentita è stata il giorno prima della sua morte: voleva essermi vicina perché in occasione della nomina del vice presidente del CSM Ermini era stata pubblicata la notizia della mia inchiesta a Perugia. Sulla sua morte strane coincidenze dovrebbero illuminare la verità dei fatti».

Tutto ciò che sta accadendo attorno al sistema giustizia e da lei denunciato non le trasmette un grande senso di responsabilità.

«Sento il peso di aver trasformato il tema della giustizia in un argomento di discussione di massa. La mia battaglia di verità non è fatta contro qualcuno ma ha l’obiettivo di squarciare il velo di ipocrisia che all’interno della magistratura esiste pretendendo di processare Palamara ed i suoi amici sulla base di chat private. Io voglio porre un tema di riflessione sullo sconfinamento della magistratura e sull’uso strumentale dei processi». Ora tocca anche alla politica attraverso gli strumenti in proprio possesso costruire un percorso di approfondimento di ciò che avviene all’interno della magistratum. Se così non fosse, come nel 1986, si perderebbe l’ennesima occasione di fare chiarezza e riformare un sistema assolutamente, ad oggi, imperfetto.

 

 

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