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La gestione del paziente oncologico in equipe, secondo un percorso guidato che va dalla diagnosi al trattamento, restituisce vantaggi innegabili. Per scoprire quali sono le figure che entrano in gioco, quante le diagnosi perse durante l’anno di pandemia e per parlare anche dei nuovi trattamenti, parla la dottoressa Maria Alessandra Mirri, direttore Dipartimento Oncologico Asl Roma 1 e appartenente all’Omceo Roma.

Un Dipartimento oncologico concepito come un ‘Dipartimento di percorso’. Come è strutturato e quali sono i vantaggi per il paziente che viene preso in carico da una equipe multidisciplinare?

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“Il nostro Dipartimento oncologico viene definito come Dipartimento di prevenzione formato da unità differenti chirurgiche e mediche, e serve a dare vita a quei percorsi oncologici integrati che sono parte fondamentale della terapia oncologica. Infatti nel nostro Dipartimento esistono tutta una serie di gruppi integrati multidisciplinari che si occupano di varie patologie, proprio per dare al paziente un percorso facilitato nei tempi e nei modi – anche al fine di evitare I ‘viaggi della speranza’ – visite multiple nonché un risparmio per l’ospedale perché si evitano esami ripetuti e inutili. Tutti i dati del paziente inoltre vengono discussi insieme in un meeting multidisciplinare. In ogni percorso c’è poi un ‘case manager’ che è il riferimento per i pazienti evitando loro così milioni di telefonate per sapere una cosa piuttosto che in un’altra. In tempi di pandemia tutto questo ha fatto la differenza, perché pur essendo ridotte le funzioni abbiamo assicurato a tutti i pazienti più o meno con gli stessi tempi tutti i servizi per loro necessari”.

 

Come ha inciso la pandemia sulla continuità degli screening e sulle nuove diagnosi soprattutto nella prima fase? Le diagnosi perse o tardive dunque in che modo incideranno in termini di esiti? Siete riusciti a collazionare già i primi dati e nei prossimi mesi cosa aspettarci?

“Gli screening sono stati interrotti solamente nella prima fase della pandemia, da marzo a giugno 2020. C’è da dire che non c’è stata solo l’interruzione dello screening purtroppo, ma siccome l’80% dei centri oncologici si trovano dentro un’azienda ospedaliera c’è stata la paura dei pazienti a recarsi in ospedale per il timore di contrarre il virus. Per cui quello che ci aspettiamo nei prossimi mesi è quello di diagnosticare la malattia in una fase più avanzata”.

Lei dirige anche l’Uoc di Radioterapia. Come funziona questo tipo di trattamento e in quali casi puo’ essere impiegato?

“Il trattamento radiante è una delle armi fondamentali tra I trattamenti oncologici, che come dicevo prima consistono in un trattamento integrato fatto di diagnosi, chirurgia, terapie oncologiche, radioterapia e poi di cure mediche e palliative di supporto. La radioterapia entra in tantissimi percorsi e specialmente con l’allungamento della vita, dovuta ai progressi della medicina, la radioterapia entra come terapia esclusiva, come nel tumore della prostata, alternativa alla chirurgia. Le statistiche ci dicono che può avere la stessa valenza della chirurgia. Nei tumori del tratto testa-collo, unita alla chemioterapia, può essere un’alternativa valida in alcune localizzazioni dell’orofaringe o come una chirurgia con esiti differenti. E poi può essere un trattamento complementare alla chirurgia, ma anche una terapia in grado di incidere sui sintomi che la stessa terapia medica non riesce a curare. Grazie poi alle macchine più avanzate abbiamo la possibilità di intervenire nuovamente sulle zone già trattate o in zone limitrofe. Quindi le applicazioni sono molteplici, anche nella cura dei tumori dell’anziano che spesso non sono in grado di ‘sopportare’ la chirurgia. Come tanti servizi anche la stessa radioterapia si è dovuta adeguare ma, come confermano molte pubblicazioni scientifiche italiane e internazionali, siamo riusciti a garantire ai pazienti le stesse dosi di radioterapia ma in meno frazioni, cosi’ da generare un minor numero di accessi in ospedale. E questo ci ha aiutato moltissimo”.

 

I tumori sono diversi così come i trattamenti. Ma dovendo mettere l’accento sulle novità in questo campo quali sono quelle più importanti?

“Si è passati da una medicina basata sull’istologia a una di precisione che si basa sul genoma e sulle mutazioni geniche contenute nel Dna del paziente. Non studiamo solo il tessuto morfologicamente, ma il suo Dna. Non esiste più quella terapia per quel tumore ma piuttosto esistono i farmaci giusti per quel tipo di mutazione del Dna. E questo è dovuto al sequenziamento Ngs che permette anche di studiare quelle mutazioni che determinano la resistenza ai farmaci. Quindi di conseguenza si useranno quei farmaci target in grado di andare a colpire quelle specifiche mutazioni. Nella radioterapia l’innovatività si esprime in macchine avanzate in grado di studiare la biologia del tumore e quali frazionamenti saranno più efficaci, come combinare radioterapia e farmaci. Mentre la chirurgia, dal canto suo, sta diventando sempre meno invasiva, anche perché spesso preceduta da radioterapia o chemioterapia”.

 

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