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Le Divine del Novecento che raccontano D’annunzio

Pierfranco Bruni

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Due dive. O due divine! Sarah Bernhardt ed Eleonora. Due forti personalità nell’inciso di Gabriele. In conflitto tra loro. O soltanto competizione. Si sfidano. Sarah è molto più incalzante. Severa. Era nata nel 1844 e muore un anno prima della Duse. 1923.

Una competizione però fatta di colpi sottili. Ironica e usata con parole che colpiscono all’arma bianca. Gabriele ci mette del suo per energizzare il loro conflitto e la loro antipatia amore o le loro simpatiche stafillate. Due donne e due personalità che hanno fatto del teatro la loro stessa esistenza.

La vita e la morte in un immaginario in cui recitare è neutralizzare il vuoto e teatralizzare la letteratura in un intreccio profondamente tragico e inquieto. Il tragico che interagisce con l’inquieto. Come se fossero due personaggi sulla scena tra quinte e ribalta o tra scena e retroscena. Il tragico e l’inquieto sono, infatti, personaggi di un esistere profondo. Si disputano “La città morta” come se fosse un canto d’allodola.

Nessuna delle due, nonostante la non riuscita affermazione di Sarah, in questa rappresentazione dannunziana, riuscirà ad essere alternativa. Si completano dando un visione magistrale al teatro innovativo. Rivoluzionano la teatralità del soggetto personaggio in raccontare sempre se stessi nel personaggio che si trova a campeggiare sulla scena.

C’è una disputa forte tra l’essere attrice e l’essere artista. Infatti pungente sarà la Bernhardt quando afferma: “Eleonora Duse è più un’attrice che un’artista; cammina su strade tracciati da altri; certo non le imita, poiché pianta fiori dive esistevano alberi, ed alberi dove esistevano fiori; ma non ha creato con la sua arte un personaggio che si identifichi con il suo nome; non ha creato un essere, una visione che evochi il suo ricordi. Calza i guanti degli altri ma li calza a rovescio, con una grazia infinita, un’indifferenza piena di abbandono. Eleonora Duse è una grande, una grandissima attrice, ma non è una grande artista” (da “La mia doppia vita”, 1981.

Comunque a prendere le giuste distanze dalla Bernhardt, rispetto alla Duse, sarà, addirittura, G. B. Shaw che sottolinea nel 1895: “Bisogna dire che nell’arte di essere bella la Bernhardt è una povera innocente in confronto alla Duse… Quando si consideri che perlopiù gli interpreti tragici eccellono soltanto negli scoppi di quelle passioni che sono comuni agli uomini e alle bestie, non sarà difficile comprendere l’indiscutibile  primato dell’arte della Duse, cui sta alla base in ogni suo minimo tratto un’idea puramente umana”. È una osservazione molto forte che, in fondo, rende giustizia  del e al  valore artistico di Eleonora.

Entrambe sono donne inquiete il cui senso dell’arte assume una valenza quasi mistica, religiosa certamente. Nei dettagli e al centro c’è sempre Gabriele. Fondamentale resta in Eleonora. È proprio lei a intrecciarsi in una storia –  destino che la porterà a scrivergli: “Ti parlo dell’amore profondo che nulla chiede”.

Dopo la lettura del “Trionfo della morte” Eleonora aggiungerà: “Quell’infernale D’Annunzio? (…) …lo detesto, ma lo adoro”. La Divina Eleonora! È proprio Gabriele a definirla tale quando nel 1892 sul libro “Elegie romane” scrive la dedica: “… alla divina Eleonora Duse”. L’unica Divina per Gabriele resterà sempre lei: Eleonora. Quella donna che a primo acchito aveva avuto la sensazione di vedere il sole incontrando Gabriele: “Vedo il sole e ringrazio tutte le buone forze della terra per averti incontrato”. Resterà sempre anche nei momenti bui e di contrasti, senza mai rinnegare nulla, quella Divina: “Vorrei potermi disfare tutta! Tutto donare di me, e dissolvermi”.  Ma il 1904 sta per arrivare. Una data fatidica. La rottura e la separazione tra Gabriele ed Eleonora. Tutto diventerà una “città morta”.

Eleonora è il teatro. Sarah? La recita! Nonostante cosa possa scrivere la stessa Sarah. È Alexandre Dumas figlio che riferendosi proprio alla Duse avrà modo di scrivere: “Se c’è un modo dove la Donna afferma l’onnipotenza che la poesia le attribuisce e di cui tanto abusa, questo luogo è il teatro… il teatro ha edificato la Donna e le ha immolato l’Uomo…”. Infatti nel 1938 Renato Simoni disse della Divina: “Nel teatro romantico  Eleonora Duse anticipò la verità umana, nel teatro di poesia anticipò l’avvento dello spirito nella rinuncia”.

 

È qui che il rapporto tra la Duse e la Bernhardt si comprende e assume la equilibrata valenza. Due donne. Il senso del divino tra il palcoscenico e la vita. Eleonora la inquieta la tragica la Francesca da Rimini. Si consuma senza spegnersi mai. Ad imitare entrambe sarà Mata Hari. Un’altra donna che vivrà un enigmatico viaggio tra l’assurdo e la recita, tra la danza e la morte.

 

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