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Vincenzo Fabrizio, direttamente dal laboratorio di Ricerca e Applicazione di laVitaWIZ, ci racconta come selezionare lieviti enologici dalle vostre uve, per valorizzare il legame con il territorio e la grande biodiversità italiana

Quando si può davvero dire “Made in Italy”. laVitaWIZ, azienda italiana dedicata alla produzione di microrganismi, ha messo le sue competenze al servizio dell’enologia con un progetto innovativo: selezionare lieviti autoctoni, partendo dalle uve dei vigneti delle aziende agricole, per i vini tailor-made. A raccontarcelo è Vincenzo Fabrizio, del laboratorio di Ricerca e Applicazionedi laVitaWIZ, che ci spiega passo dopo passo cosa serve per isolare il proprio lievito e quali sono i vantaggi per i produttori di vino.

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Come è nata l’idea di un progetto di selezione di lieviti autoctoni?
“È partito tutto poco più di cinque anni fa quando, lavorando già con il settore enologico, abbiamo notato che la maggior parte delle aziende vinicole utilizzava lieviti per vino isolati prevalentemente all’estero, in particolar modo in Francia. In alcuni casi, i ceppi erano anche di origine italiana, ma provenienti da zone vitivinicole lontane o, addirittura, da uve di vitigni diversi rispetto a quelli utilizzati per quello specifico vino. Per questo, abbiamo deciso di dare a ogni cantina la possibilità di selezionare il proprio lievito autoctono, che sia in tutto e per tutto riconducibile al terroir. Sappiamo bene quanto grande sia la biodiversità del territorio italiano, in campo enologico come agricolo, e l’azienda ha pensato che fosse davvero un peccato non valorizzarla”.

 

Quali sono i vantaggi per i produttori che scelgono di utilizzare un proprio lievito per vino?
“Tra i molteplici vantaggi, vi è il differenziarsi all’interno del mercato. La possibilità di selezionare un lievito proprio delle cantine, che nessun altro possiede, consente di sfruttare caratteristiche tecnologiche e qualitative differenti dagli starter presenti ad oggi in commercio.

In più è un modo di sottolineare il legame con il proprio terroir, esaltando la zona vitivinicola di produzione oltre ad evidenziare la reale ed esclusiva caratterizzazione organolettica del proprio vino legata al ceppo autoctono. Un plus anche a livello commerciale: raccontare di aver fatto questa scelta a chi visita l’azienda agricola o inserirlo in etichetta è, infatti, un bel segnale di attenzione verso la sostenibilità e verso le proprie radici.

Ah quasi dimenticavo il vantaggio principale: ottenere un vino ancora più buono!”.

 

Cosa deve fare un’azienda vinicola per produrre il proprio lievito per vino?
“L’unica cosa che il produttore deve fare è scegliere da quale porzione di vigneto prelevare le sue uve e inviarcene un campione rappresentativo, circa venti giorni prima della vendemmia, prestando attenzione in fase di raccolta e conservazione, al fine di evitare che il prodotto possa essere contaminato con altri lieviti presenti in cantina. Le procedure di raccolta, conservazione e spedizione dell’uva, al fine dell’isolamento, sono descritte in un preciso ma semplice protocollo che inviamo alle aziende interessate”.

 

E poi?
“E poi la palla passa a noi. I nostri biotecnologi recuperano il patrimonio microbico presente sull’uva e isolano i ceppi sulla base di indagini fenotipiche e tecnologiche per selezionare quelli con le performances enologiche migliori. A questo punto, si passa alla fase di produzione, dove si realizza un piccolo quantitativo di lievito da inviare gratuitamente all’azienda, che permette di condurre una prova su circa 20 ettolitri di mosto”.

 

Il produttore può poi decidere se andare avanti o fermarsi, dunque?
“Esatto. Il progetto procede per step. Noi consigliamo di fare un tentativo in parallelo utilizzando il lievito comunemente impiegato in cantina in una vasca, quello autoctono in un’altra e infine fare il confronto. La maggior parte dei nostri clienti ci riferisce che la differenza è notevole. In funzione dei risultati ottenuti, il cliente deciderà la quantità di lievito da ordinare per la vendemmia in corso o per quelle degli anni successivi. I ceppi enologici autoctoni restano di proprietà delle singole cantine e sono conservati nella nostra Master Cell Bank pronti per essere sviluppati in biomassa al momento dell’ordine del cliente”.

 

In un acino così piccolo si nasconde davvero un mondo così grande?
“Un mondo e anche di più. È questa la cosa affascinante del nostro lavoro: lì dove all’occhio umano sembra che non ci sia niente, esiste una biodiversità microbica che, se correttamente valorizzata, è in grado di compiere una ‘rivoluzione’ sensoriale nell’ambito delle bevande fermentate.”

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