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L’eutanasia e l’inconsapevole crudeltà dei vescovi
La vita a tutti i costi. Coloro che abbracciano questo principio, anziché il principio più saggio, più ragionevole della libertà della persona, rischiano di diventare crudeli senza rendersene conto. Così i vescovi italiani che hanno candidamente dichiarato: “Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la propria vita. Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano… Non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire…». E se l’aiuto a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non sortisce effetto alcuno, che cosa fanno vescovi compassionevoli? Se la persona continua ad invocare la morte, che cosa fanno i bravi vescovi? Se la vita diventa un insopportabile tormento, che cosa fanno i vescovi, in che modo la rendono sopportabile? Parole vuote, senza senso.
Si noti che i vescovi, quando affrontano quest’argomento, citano il Magistero, ma non citano mai il vangelo. E questo perché non c’è una sola parola nel vangelo che possa far ritenere ingiusta l’eutanasia. Semmai è il contrario.  Per il Signore del vangelo non è tanto importante quanto si vive, ma come si vive: se nel bene o nel male. La vita, quella terrena, possiamo anche perderla (cf Mt 10,39), sacrificarla, “darla per gli amici” (cfr Gv 15, 13); necessario è non sprecarla.
Renato Pierri

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