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LA RICADUTA DI KABUL UN RICORSO A SPIRALE?

Dopo 20 anni da quel 2001 che vide l’attentato terroristico negli Stati Uniti, fino ad allora lontani da esperienze distruttive nel Paese, e poi l’uccisione di Bin Laden, per un programma di Trump messo in atto da Biden è stato ordinato il rientro dall’Afghanistan delle truppe statunitensi.                                                                            Kabul viene lasciata ai talebani, fondamentalisti islamici di etnia pashtun, avversi alla cultura occidentale, alla emancipazione della donna sotto ogni aspetto, compresa la scolarizzazione, l’istruzione con possibilità di accesso a professioni ritenute di appartenenza maschile, sino al matrimonio che viene imposto anche al di sotto dei 10 anni. Tutto ciò è realtà al di là dell’indulgere della stampa, di mass media e social.                                                                                                             Una realtà ben diversa da quella portata avanti nei due ultimi decenni, come da quella degli anni Settanta che, dopo la prima Repubblica Afghana di Mohammed Dad        Khan, vide col Presidente Nur Mohammad Taraki la proclamazione della Repubblica Democratica dell’Afghanistan con una serie di riforme tra cui il diritto di voto alle donne e quello della Scuola alle bambine. Taraki venne assassinato, l’Armata Rossa entrò poi a Kabul e fece guerra ai Mujaheddin che vennero finanziati dagli USA per creare difficoltà all’URSS che al tempo della cosiddetta “guerra fredda” era la seconda Potenza mondiale.                                                                                                      Può quindi ripetersi ciò che successe nel 1989 dopo l’abbandono dell’URSS con conseguente creazione di uno Stato debole che consentì ai talebani di prendere il potere e mantenerlo sino all’intervento nel 2001 degli USA con il rovesciamento del gruppo terroristico guidato da Osama Bin Laden. C’erano sì gli oppositori dei talebani ma venivano barbaramente eliminati, come successe all’eroico Ahmed Shah Massoud ucciso nel 2001.                                                                                                          L’Afghanistan (popolazione che supera i 33 milioni con un’economia basata su un’agricoltura di sussistenza e sulla coltivazione del papavero da oppio, redditizia non certo per la popolazione), senza sbocco sul mare, incuneata tra Iran Pakistan Turkmenistan  Uzbekistan Tagikistan e con collegamento alla Cina attraverso il corridoio di Wakhan, è stata da sempre terra di invasioni e devastazioni. Ricordiamo Alessandro Magno, Gengis Khan e Tamerlano, il cui quarto figlio, però, diede impulso alla poesia e all’arte che proseguì nei secoli con realizzazioni imponenti come i giganteschi Buddha scolpiti nella roccia, distrutti poi dai talebani nel 2001: non è quindi la terra di primitivi che una certa letteratura ha propagandato.                                                                                                      Sull’Afghanistan, terra di rotte commerciali, non mancarono le mire della Gran Bretagna e del Pakistan sino a quelle sovietiche. Contro queste, come già accennato, andarono gli USA fornendo di armi moderne la Jihad con le fazioni di mujaheddin dove si introdussero i talebani appoggiati dal Pakistan.                                                                                            La politica, secondo quanto gli eventi della storia dimostrano, soprattutto se guidata da volontà di dominio e business, ha sempre lo sguardo miope.                                                                           Dal 15 agosto 2021 i talebani, di nuovo al potere, hanno instaurato lo Stato Islamico dell’Afghanistan con a capo Abdul Ghani Baradar che al suo fianco ha Hibatullah Akhundzada, Sirajuddin Haqqani, Mohammed Yaqoob, Abdul Hakeen , Zabihullah Mujahid e altri, e tutti non mostrano chiarezza sulla linea da seguire, usando, come si dice, bastone e carota, almeno sino ad ora.                                                                                                                Ahmed Rashid, scrittore, giornalista e storico pakistano, autore del best-seller “Talebani”, “il solo libro autorevole sui Talebani”, come venne definito dal “New York Times”, dice che alcuni di essi hanno fatto l’esperienza di Guantanamo, un’esperienza pessima che non può non portarli ad una linea dura per un’avversione ancora maggiore all’Occidente, a tutto quanto lo riguarda.                                                                                       Corsi e ricorsi, a ricordare il filosofo Giambattista Vico, un moto circolare che ci auguriamo non come un ripetersi sic et sine mutatione, bensì un ascendere a spirale includente qualcosa che sia caratterizzato dalla diversità. Del resto, a riflettere, non tutto è come prima. C’è da segnalare il coraggio dei midia, da rilevare che conduttrici e giornaliste sono ancora al loro posto, non sono state costrette ad abbandonarlo, che Tolo news del gruppo Moby prosegue. Inoltre un portavoce che fa parte dei media dei talebani si è fatto intervistare dalla giornalista Mawlawi Abdulhaq Hemad. Certo, sorge il dubbio che possa essere solo per rassicurare la comunità internazionale in attesa di passare poi, ad attenzione scemata, alle restrizioni. Ma noi speriamo che il ricorso sia a spirale, quindi con diversità che portino a situazioni vivibili.

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Antonietta Benagiano

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