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di Domenico Bilotti

 

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Il recente volume di Sandro Scoppa, “La casa del nonno”, per i tipi di Rubbettino (Soveria Mannelli, 2021), si inserisce in una collana di composizione particolare, la “Biblioteca della proprietà”, che vuole introdurre e proporre letture sulla proprietà, in special modo quella immobiliare, anche dal punto di vista stilistico-letterario.

Sembra una contraddizione, perché Scoppa stesso ha da tempo, nel medesimo ambito, adottato un robusto sguardo saggistico, all’interno del quale ha curato e scritto volumi sul condominio e sul diritto condominale, sulle politiche abitative e degli affitti, di critica alla legislazione italiana in materia. Unire il posizionamento civile, nella rappresentanza locale e nazionale di Confedilizia,  e la prova narrativa non era facile, né da realizzare né da render “letterariamente credibile”. E su questo possiamo essere subito chiari: a Scoppa riescono entrambe le cose. Il libro salda bene punti di vista sull’economia politica e sulla politica del diritto e squarci narrativi riusciti, oltre che gradevolissimi in lettura.

La storia ruota intorno a una faticosamente conseguita casa di proprietà, nel quadro dei suoi diversi passaggi generazionali. Ovviamente, la casa di cui parla il volume e la casa in genere, in quanto abitazione di proprietà, non sono veri e propri personaggi: sono scenari e scenografie, dinamiche di contesto, nei confronti delle quali si muovono i protagonisti in carne e ossa (con una garbata, ma accentata, punta di autobiografia che rende anzi il libro ancor più sapido).

In realtà il testo non rinuncia mai alla sua componente di analisi saggistica, perché numerose sono le scorribande illustrative in cui l’A. spiega per tratti invero decisi e convincenti i lineamenti della disciplina immobiliare nell’evoluzione della normativa italiana, denunciando contemporaneamente gli aspetti che ritiene deleteri. In sostanza, il nostro sistema, se mai la aveva davvero avuta in senso pienamente liberale e proprietario, ha da tempo perso la sua capacità di incentivare all’acquisto, allo scambio, alla produzione e alla produttività, dotandosi di un’elefantiaca normazione burocratica che scoraggia la trasformazione urbana con la quale non si sono fatti a dovere i conti. È questa la tesi, per altro verso, di chi cura la prefazione al volume, il giurista Carlo Lottieri, che, fedele al filone del libertarismo federalista nord-americano ed elvetico, non può non includere, radicalizzando la posizione di Locke, l’intangibilità della vita, della proprietà e della libertà contro ogni pretesa di qualsivoglia pubblico potere. Per strano che possa apparire, viepiù, la bella sfida di concezioni simili non è solo quella teorico-giuridica o filosofico-politica, bensì ancor più concretamente (ed è ciò che rende la narrativa più funzionale della saggistica) il restituire un quadro di affetti domestici e familiari, individuali e collettivi, che la nostra cultura del vivere ha sempre associato alle mura di casa, non come ghetto solipsistico e alienato ma come prima scaturigine della relazione umana.

Altro espediente narrativo che Scoppa valorizza bene è quello di utilizzare senza invadenza la voce dei protagonisti come situazione e spunto per approfondire le opinioni, metterle in dibattito e, poi, ovviamente, far decantare le ragioni delle proprie. In questo tipico racconto italiano, non c’è solo storia dell’immobile, ma anche pennellate di storia del costume: si transita dalla faticosa ricostruzione al primo benessere (e alla prima valorizzazione del potere d’acquisto come fattore socio-politico), dalle sirene della contestazione al riflusso centralista degli ultimi decenni. Visto che si parla di abitazione, allora, questo “La casa del nonno” è  in primo luogo stanze di vita quotidiana per un Paese intero.

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