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ILDA BOCCASSINI E LA STANZA NUMERO 30

Il pensionamento, nonostante quel favoleggiare in positivo, getta improvvisamente nell’ombra, e si sa quanto sia difficile accettare di essere nell’ombra, soprattutto se si è stati nello sfolgorio della luce, la sola che, soprattutto nella società contemporanea, faccia esistente il soggetto, sia quello che ha valore sia chi non ne ha.                                                                                                                       E nulla oggi appare maggiormente luce da poter proiettare su di sé quanto l’attività della scrittura, fortemente inflazionata come dimostrano le tante proposte di libri rimbalzanti in televisione, nei siti e sui social, proposte che spesso vogliono essere anche aggiunta di luce a certi soggetti ancora in attività, quindi in luce, ma angosciati dalla sua perdita nell’avanzare dei tanti che sempre più premono acquistando spazio.                                                                                                                                            Tendenza diffusa di tali scrittori è l’autobiografismo, pertanto l’io è parte centrale delle vicende che vengono narrate, le quali possono, però, riguardare anche un orizzonte ampio, pertanto di grande interesse.                                                                                                                              Ilda Boccassini, dal 1979 Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Milano, è dal 2019 in pensione. Ilda “la rossa”, come appellata da sempre per la sua chioma voluta fiammeggiante con l’henné, è stata ed è analista di decenni italiani nebulosi e con dovizia di ingranaggi pericolosi. Nella Milano, città allora vanto di aperture, non ebbe il magistrato Boccassini, al suo ingresso, buona accoglienza, come non la ebbero le altre colleghe. Venne, in primis, ritenuta eccessiva la presenza femminile alla Procura di Milano (9, se ben ricordo), e subito sul Corriere della Sera apparve un articolo a commento che non abbiamo difficoltà ad avvicinare, pur con i dovuti riguardi, a qualche annuncio talebano dei nostri giorni: Il lavoro di inquirente poco si adatta alle donne: maternità e preoccupazioni familiari male si conciliano con un lavoro duro, stressante e anche pericoloso.                                                                                                                              Ma il magistrato di origini napoletane, chioma rossa fiammeggiante giustizia, tirò dritto per quella che riteneva essere la strada giusta, con la competenza e la testardaggine da sempre in lei predominanti, ed ebbe accanto Giovanni Falcone per il processo Duomo Connection relativo alle infiltrazioni di mafia a Milano. Una Città che avrebbe attuato col Pool di Mani Pulite il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica suscitatrice di speranze, ma col senno di poi, come suol dirsi, oggi tanti rimpiangono la Prima.                                                                                                                                        Il 23 maggio 1992 lo squarcio sull’autostrada per Capaci segnò per la Boccassini uno stacco ma non la fine dell’impegno nei processi: Berlusconi sino al caso Ruby, Imi – Sir, Lodo Mondadori, Toghe sporche…                                                                                       La Stanza numero 30, che come sottotitolo ha Cronache di una vita (Feltrinelli, 7 ottobre 2021), nel mentre ripercorre i decenni dell’attività di magistrato della Boccassini, manda luce di maggiore chiarezza su personaggi che allora avevano un ruolo predominante nello Stato Italiano e nella difesa di esso da quanto potesse svilirlo, macchiarlo.                                                                                                                         Il tanto di interessante che c’è, considerato sempre dal punto di vista del magistrato Ilda Boccassini, sembra, però, retrocedere difronte a un’attenzione da parte di stampa, media e social volta prevalentemente a un capitolo del libro, quello dove Ilda “la rossa” confessa il suo innamoramento per Giovanni Falcone ripercorrendo momenti che le sono rimasti nel cuore: la nuotata insieme nel mare siculo, il volo nel ’91 in Argentina con le canzoni di Gianna Nannini: Bello, bello e impossibile con gli occhi neri e il tuo sapor mediorientale…                                                                          Rivelazione indubbiamente utile a far lievitare la vendita, allettante anche per qualche regista che voglia trarne un film, ma…                                                                                           Ma Giovanni Falcone è la vittima di Cosa nostra insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre uomini della scorta, è il magistrato di cui anche le nuove generazioni ammirano il coraggio e l’amore per la giustizia, è un eroe e l’eroe lo si vuole senza tradimenti di nessun genere, non solo della giustizia. Certo, l’innamoramento lo fa rientrare nella dimensione dell’uomo comune che comprendiamo meglio perché sentiamo a noi più vicino, però i ragazzi non di questo riferimento hanno bisogno, ma di un eroe che sia in toto eroe. Tale era Giovanni Falcone, cara Ilda “la rossa”, prima della rivelazione di un sentimento che andava, invece, custodito gelosamente nel cuore, senza darlo in pasto a chicchessia offuscando un po’ la luce dell’eroe.

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Antonietta Benagiano

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