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Le innovazioni mediatiche collegate all’arte nel NEW DESIGN.

 

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Di Bianca Fasano.

Le innovazioni mediatiche collegate all’arte sono di difficile attuazione per quanti, operando nell’arte, hanno vissuto lunghi anni di esperienza personale secondo tradizioni in base alle quali l’arte è:

-“Quell’attività dello spirito umano con la quale questi tenta di esprimere, con mezzi sensibili, la bellezza di un’idea o la vigoria di un sentimento che sente fervere dentro.”-

Artisti cresciuti con l’insegnamento di un docente di qualità, quale padre Michele Schioppa, che ha rappresentato un punto fondamentale di riferimento per lo studio della storia dell’arte, trovano difficile il “salto” in una accezione dell’arte “moderna” e “diversa” che richiede, per essere compresa, una preparazione culturale e scientifica necessariamente collegata allo sviluppo della società. Tuttavia, quanti non rinunciano a rimanere messi in comunicazione col mondo che si modifica continuamente, è necessario che si adeguino alle molteplici novità che l’uso del computer e ancor di più l’inserimento in una rete globale quale il WEB consente e invita a conoscere. Basti pensare che, a proposito del concetto di patrimonio culturale, la stessa organizzazione dell’UNESCO si sia vista costretta a rivedere i propri principi, innestandovi una “Convenzione per la tutela del patrimonio culturale immateriale”. A tal proposito l’UNESCO sancisce, su scala mondiale, l’istituzionalizzazione di una nuova categoria patrimoniale e prospetta rilevanti mutamenti nel modo stesso di guardare ai beni culturali. Già nel momento in cui estende la definizione di patrimonio, fino a includere espressioni culturali tradizionali popolari ordinarie, l’UNESCO dimostra di ammettere un approccio basato sulla definizione antropologica di cultura, più ampia rispetto a quella umanistica e fondata sull’eccellenza che aveva caratterizzato i suoi programmi iniziali. Nell’enunciazione dell’UNESCO, tale tipologia di beni culturali “immateriali” è da intendersi come: – le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. – [1]In tal senso divengono “Patrimonio dell’umanità” anche alcuni siti prescelti, difatti quella di “Sito Patrimonio dell’Umanità” è la denominazione ufficiale delle aree registrate nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, o nella sua accezione inglese World Heritage List, della Convenzione sul Patrimonio dell’Umanità. Tale Convenzione è stata adottata dalla Conferenza generale dell’UNESCO il 16 novembre1972, con lo scopo di riconoscere e conservare la lista di quei siti che raffigurano delle caratteristiche di eccezionale rilevanza da un punto di vista culturale o naturale. Il Comitato della Convenzione, ha maturato dei criteri precisi[1] per l’inclusione dei siti nella lista. In base all’ultima revisione eseguita nella riunione del Comitato per il Patrimonio dell’Umanità a Parigi il 19 giugno 2011 [2], la lista risulta composta da un totale di 936 siti (di cui 725 beni culturali, 183 naturali e 28 misti) presenti in 153 Nazioni del mondo[3]. Al momento è l’Italia la nazione che possiede il maggior numero di siti inseriti nella lista, con 47 siti, la segue la Spagna con 43 siti e la Cina con 41 siti.

La notizia che Wikipedia abbia fatto domanda all’UNESCO per essere riconosciuta come Patrimonio Culturale dell’Umanità non sorprende, ma neanche sarà facile che possa riuscirci, in quanto Wikipedia è la prima entità digitale a fare domanda per il patrocinio dell’organizzazione e molti si dicono scettici riguardo alle valutazioni positive che giungerebbero dai giudici e dai commissari dell’Unesco. Tuttavia, se prendessimo in considerazione il primo criterio per essere accolto nel patrimonio UNESCO, che è quello di rappresentare un capolavoro dell’ingegno creativo umano, parrebbe logico ascrivere la candidatura di Wikipedia per questo riconoscimento. Tornerebbe in proposito la teoria dell’intelligenza collettiva di Pierre Levy:

Che cos’è l’intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l’intelligenza collettiva.[5] Wikipedia, come piattaforma collaborativa può essere considerata come l’unione dell’ingegno di tutti coloro che contribuiscono al suo aggiornamento (compresa la scrivente), dunque, con una definizione precipuamente olistica, potrebbe giungere al monumentale traguardo di esprimere il sapere dell’umanità nel senso più immateriale.
Wikipedia, inoltre, appare sotto una forma di perenne crescita e in conseguenza di ciò è caratterizzata da una connaturata contraddittorietà e un’incompletezza che la caratterizza e la rende vicina alla logica matematica.
Offre di sé la possibilità di una flessibile revisione purché convalidata da autorevoli fonti e il suo permanere incompiuta nasce proprio dall’impossibilità di concludere l’opera, che altrimenti sarebbe caratterizzata da una visione statica e dogmatica. Per quanto riguarda l’autorevolezza delle fonti, non possedendo, di fatto, una natura fortemente gerarchica, concede di ospitare un pluralismo d’idee, perennemente controllato da molti collaboratori, senza mai imporre una prospettiva prevaricatrice, la qual cosa ha la sua valenza negativa e positiva assieme, con cui necessariamente deve convivere.
Anche la questione del business che la regge è fondata su donazioni allo scopo di evitare il giogo finanziario per cui (almeno per il momento), è percepita dall’utente come gratuita.

Tutto ciò fa parte dei nuovi media, che rappresentano ancora, per la nostra cultura, appunto, una novità. Quanti vedono l’effetto positivo, spesso ne evidenziano proprio l’innovazione; inoltre, restando nel contesto artistico: «Come ha notatoCavel[6] (1979), il compito dell’artista contemporaneo è sempre stato “non quello di creare un nuovo esempio della sua espressione artistica, ma di inserirvi un nuovo medium (p.104) ».[7]

Si può dissentire, ma non dimenticare che ogni arte è stata “moderna”, ossia appartenente al suo contesto storico e sociale e proiettata in avanti. Anche l’uso della prospettiva, nel quattrocento italiano, rappresentava una rottura con il passato. Lo stesso Giotto, pur avendola intuita, usava la “prospettiva parallela” (assonometria), cui i “lettori delle opere d’arte”[8] erano abituati ed in rare occasioni (una, che io sappia, si direbbe per prova), la prospettiva centrale, in una tavola minore di una pala d’altare conservata al Louvre. Rompere con il passato è difficile, ma «offre quell’esperienza non mediata che tutti i media precedenti hanno cercato, ma non sono mai riusciti a raggiungere.»[9] Una forma di ricostituzione dei significati, e di ristrutturazione e rimediazione di elementi già esistenti che ubbidisce alla geniale intuizione di Marshall McLuhan: «Il contenuto di un medium è sempre un altro medium». In altre parole, per rimediazione s’intende la rappresentazione di un medium all’interno di un altro medium, ma anche la rimediazione delle esperienze, delle logiche, dei concetti, ossia di tutto quanto abbia avuto valore in precedenza, per una parte della società. E occorre dire che mai come oggi, a causa della democratizzazione dei media (basti pensare alla musica, all’animazione, alla grafica e allo sviluppo degli stessi software), abbiamo modo di vedere on line progetti che nulla hanno da invidiare a quelli promossi da aziende famose e artisti conosciuti. Il web ha reso possibile l’emergere di un sottobosco silenzioso di artisti che hanno potuto promuovere le loro idee come mai avrebbero fatto prima. Idee che si sono tradotte in parole, musica, grafica, animazione, ma anche in una ibridazione di queste singole tecnologie, in nuovi modi di esprimersi che sarebbero stati impossibili da perseguire nel passato. Proprio questa libertà di espressione, genuina, coraggiosa, multietnica e globalizzata è la strada più luminosa che ci ha regalato la nuova tecnologia e percorrerla in ogni senso, trovandovi nuovi spazi e nuove vie, non può non essere nella volontà di chi ama l’arte. Da sempre.

 

[1] UNESCO 2003 art. 2, par. 1. La traduzione italiana della convenzione utilizzata in questo testo è a cura della Commissione nazionale italiana per l’UNESCO.

[5]Intervista a Pierre Levy sul concetto di intelligenza collettiva proposto nella sua opera: “L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio”

[6] Stanley Cavell (Atlanta, 1º settembre 1926) è un filosofo statunitense

[7] J. D. Bolter e R. Grusin . “Remedition”, op. cit. Pag. 304.

[8] Parlo di lettori perché le opera artistiche erano il Vangelo degli analfabeti, che vi apprendevano le storia di Gesù, della Madonna e dei Santi

[9] J. D. Bolter e R. Grusin . “Remedition”,op. cit. Pag. 304.

 

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