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Società Post-Ideologiche e Post-Culturali

di Vincenzo Olita*

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Viviamo un’epoca che, con estrema superficialità e compiacimento, viene connotata come post-ideologica, invece crediamo che sia necessario rimarcare l’interesse per un pensare politico che abbia radici e fondamento nella tradizione dei grandi filoni storici della riflessione culturale e, in particolare, della filosofia politica.
Prendiamo, ad esempio, il liberalismo che, anche a seguito di confusi utilizzi e inopportune appropriazioni del termine liberale, ci fa avvertire l’esigenza di utilizzare più concetti e meno parole in libertà.
Dovrebbe essere palese che all’aggettivo liberale, utilizzato nel linguaggio politico, necessita dare un contenuto che si sostanzia nel sostantivo liberalismo e, quindi, in una specifica visione della politica.
Una veloce consultazione di un qualsiasi vocabolario illumina sul termine liberale che, al di là dell’indicazione propria dell’aggettivo (generoso, magnanimo), si configura come appartenente o improntato al liberalismo quale pensiero o dottrina pertinente. Liberale, quindi, quale fautore del liberalismo.
Nicola Matteucci,eretico nel panorama culturale e all’interno dello stesso liberalismo, già nella prima metà degli anni novanta, nel suo volume Il Liberalismo in un mondo in trasformazione, ammoniva sulla necessità di ridefinirla, questa visione del mondo. Il Muro era caduto da tre anni e per essa si aprivano ampi spazi di affermazione e di opportunità, purtroppo, non colte per svariati motivi, non ultimo per indebite appropriazioni della significatività semantica del termine liberalismo.
Matteucci ha rilevato che si è confusa la struttura costituente del liberalismo con i movimenti e i partiti liberali, il più delle volte liberali solo per autocertificazione. I classici sono stati interpretati e utilizzati per esigenze di modeste e irrilevanti tattiche politiche. Abbiamo confuso, appunto, i concetti con le parole, una culturalmente nobile visione del mondo con interessi di botteghe politiche e non.
Un pragmatismo astratto privo di retroterra culturale ci ha fatto accettare anche il non senso della politica del fare, dell’agire in assenza di un sistema di pensiero capace di dare senso, coerenza e prospettiva alle nostre scelte e alle nostre convinzioni.
Una mala interpretazione della struttura teorica del liberalismo, come concezione di società aperta, ha favorito nascita e coazione a ripetere di non pochi fraintendimenti.
Certamente, il liberalismo non è un’ideologia, nel senso che il suo sistema concettuale, non totalizzante, mal si adatta a essere fondamento di piattaforme partitiche o istituzionali.
Infatti, se il liberalismo pone come cardine del suo interesse la centralità dell’individuo e le sue libertà naturali è evidente che soggetti politici privilegiati non possono essere lo Stato, il Partito, le Istituzioni o la Classe. Il rapporto da monitorare è sempre quello tra individuo e potere, qualsiasi potere; la difesa della libertà è sempre dai monopoli pubblici e privati.
Ed è ancora un fraintendimento a generare un costante e onnipresente atto d’accusa: qualsiasi tipo di crisi è riportato a un indefinito neoliberismo, anche la pandemia e i suoi effetti sono presentati come avariato frutto di un sistema di pensiero che pone l’individuo, guarda caso, e le sue libertà al vertice di una scala assiologica.
E poi la retorica sulla crescita della disuguaglianza, il refrain consiste nell’ossessiva riaffermazione di non aver mai raggiunto questi livelli.
Falso storico e veccia liturgia.
Si pensi solo alle condizioni di vita dei subcontinenti cinese e indiano appena qualche decennio addietro. George Duby nella sua Storia del Medioevo ricorda che i Re di Francia al momento dell’incoronazione nella cattedrale di Reims promettevano al popolo di opporsi alla rapacità e all’iniquità, assicurando nei processi, equità e misericordia.
Un millennio di antiche promesse per retoriche sempre nuove.
Le strutture teoretiche del pensiero politico nel suo complesso non sono ignorabili definendole semplicemente come astratto ideologismo. Le ideologie hanno delimitato i confini delle nostre varie visioni del mondo, delle nostre scelte, delle nostre aspettative. Ritenere le nostre società post-ideologiche spiega la confusione e spesso lo smarrimento della politica e per la politica.
Accettare con intima compiacenza quest’ennesimo nuovo novismo significa anche non comprendere che il post-ideologico è, allo stesso tempo, premessa e conseguenza di società anche post-culturali.

* Direttore Società Libera

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