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Addio a Roberto Bellinvia 

 

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Ieri pomeriggio, 13 gennaio, si sono celebrati nella Chiesa di San Leopoldo Mandic, completa in ogni suo spazio, le esequie di Roberto Bellinvia, 50 anni, portato via da un male purtroppo inguaribile.

Invitiamo i nostri lettori, ed anche i loro amici, a leggere l’Omelia del parroco della stessa chiesa, don Michele Quaranta (un particolare grazie da parte mia) che fa conoscere a tutti Roberto così com’era con se stesso e con gli altri.

Omelia che ha iniziato e proseguito con dei ricordi indimenticabili.

 

“Era il pomeriggio dello scorso 2 aprile ed era Venerdì Santo, quando da questo stesso ambone veniva proclamato il Vangelo della ingiusta condanna a morte, della crocifissione e della sepoltura di un giovane innocente di 33 anni, avvenuta 2 mila anni fa sul Golgota di Gerusalemme, mentre, ricordo come fosse ora, Roberto, stringendo la mano della sua amata Silvana, l’accoglieva e la custodiva meditandola nel suo cuore. Un cuore, il suo, dilaniato dal dolore per l’ingiusta “condanna a morte” decretata dall’iniquo tribunale della più infida delle malattie, quella che sentenzia ancora una volta la fine della vita di uno straordinario giovane uomo, figlio, fratello, amico, sposo e padre amatissimo. 

Allora come oggi, dinanzi a questo altare (ha continuato amorevolmente don Michele), Roberto era circondato dalla presenza dei suoi amati genitori: papà Antonino e mamma Giuseppina; dai fratelli: Giuseppe Marco con le loro mogli, dai suoi suoceri: Fernando e Filomena che lo hanno sempre considerato e chiamato figlio.

Subito dopo la liturgia della Parola, volli che fosse proprio Roberto (insieme ad un altro giovane padre, salito in cielo circa un mese fa, per la stessa causa di morte, Angelo Greco) a togliere con me il velo che copriva il Crocifisso, perché mostrasse il corpo privo di vita di nostro Signore. Poi lo accarezzò e lo baciò, condividendo col suo Signore lo stesso dolore e il medesimo patire. Roberto e Angelo furono gli unici a farlo per tutta l’assemblea, che invece sfilò dinanzi a quel Crocifisso a motivo delle norme di contenimento allora in vigore”.

 

E don Michele ha continuato:

Oggi Roberto è ancora una volta qui, ma non più davanti alla Croce, bensì fissato alla stessa Croce con Cristo, ed è ancora una volta lui che, convocandoci a questa Messa, con la sua morte ce lo rivela. Se siamo qui è perché il Signore ci ha chiamato tutti attraverso Roberto. Nessuno è qui per presenziare, ma per unirsi a lui, attraverso il Signore.

Da quel giorno sono passati circa 9 mesi, ma da allora non ricordo ci sia mai stato anche un solo giorno in cui Roberto non si sia affidato al Signore, nell’abbandono della preghiera; non una domenica (che fosse dipeso dalla sua volontà) in cui non sia ritornato in chiesa con la sua famiglia, portando per mano i suoi adorati Riccardo Bianca, per dare loro testimonianza da buon padre cristiano… perché Roberto aveva non solo una bella anima cristiana, ma anche una feconda e intensa vita ecclesiale, praticata con zelo ed entusiasmo.

Lo ricordo prepararsi seriamente alla catechesi in prossimità dei sacramenti del battesimo, della prima confessione e della prima comunione dei suoi bambini.

L’ultima volta è stato il 26 settembre dello scorso anno, in cui, pieno di emozione per quel che Riccardo stava per ricevere ai piedi di questo altare, lo accompagnò per accogliere il Corpo di Cristo nel suo cuore e con lui disse: Amen!

Anche quella volta c’era tutta la sua famiglia venuta dalla Sicilia, c’erano i suoi suoceri e gli amici più cari… perché per Roberto la Chiesa, la religione e la spiritualità cristiana non erano occasioni convenzionali da vivere solo in date circostanze, ma pratiche di vita autenticamente vissute con tutta l’anima, con tutto il corpo e con tutta la famiglia”.

 

Tutti ad ascoltare la dolce e commossa voce di don Michele:

Poi sono venuti i giorni più bui, in cui nella sua anima si è fatta notte: i giorni della paura a motivo del male e della sofferenza che avanzava e sembrava avere il sopravvento sul suo spirito: sono stati i giorni della degenza ospedaliera e, in particolare, quando a chiusura del duro ciclo di chemioterapia, venne a sapere che gli avevano diagnosticato metastasi al cervello e che sarebbe stato operato.

Era in ospedale e ricordo quella telefonata in cui cercavo di infondergli coraggio e speranza; le sue parole furono: don Michele, voglio solo ritornare a casa, perché il tempo che mi resta da vivere voglio trascorrerlo insieme ai miei. Poi scoppiò in lacrime e fu l’unica volta che lo sentii piangere, perché non lo aveva mai fatto prima, né più lo avrebbe fatto dopo… Lui che faceva di tutto perché nessuno soffrisse a causa sua e che per questo faceva di tutto per nascondere agli occhi dei cari la sofferenza, fisica e spirituale, che evidentemente era feroce e immane. 

Lo ha fatto anche ieri mattina quando suo cognato Fabio lo stava accompagnando in ospedale perché improvvisamente le sue condizioni di salute erano precipitate. La sua più grande preoccupazione era non recare disturbo a nessuno e soprattutto non procurare dolore agli altri.

 

E così si è spento, con somma dignità, andando via in punta di piedi, mentre sua moglie Silvana gli teneva stretta la mano e gli sussurrava: “Ti Amo” e sulle sue guance tutto il dolore del mondo, più grande dell’oceano, trattenuto nel proprio cuore e rivelato nella delicatezza di una sola, piccola e umile lacrima, non per contegno ma per proteggere i suoi figli dal male più grande: la disperazione.

Silvana, in quest’anno in cui ti ho conosciuta meglio ho compreso fino in fondo perché Roberto ti ha scelta, ti ha voluta al suo fianco e ti abbia amata più di se stesso: perché sei la migliore compagna di viaggio tuo marito potesse meritare.

Gli hai fatto il regalo più grande e bello che meritasse: il dono di due meravigliosi figli che ho avuto la grazia di accogliere fra le mie braccia il giorno del loro battesimo: in Roberto e Bianca, Roberto continua a vivere e a sorridere, come amava fare e faceva di cuore. Sul loro viso vedrai ancora quello del loro amato padre e accarezzandoli, baciandoli, ed abbracciandoli, tu accarezzerai, bacerai e abbraccerai Roberto, che vive in loro”.

Rivolgendosi a tutti i presenti ha detto:

“Carissimi fratelli, sono certo che per ognuno di noi, dinanzi a tutto questo la nostra ragione si arresta, perché non riesce a varcare il limite segnato dalla fine. Ma è proprio ora, in un momento come questo, che la fede è chiamata a sorpassare la ragione, perché è solo per fede e con la fede che si può guardare al di là di ciò che la mente non comprende. È solo con la fede che per questa famiglia sarà possibile andare avanti, e noi siamo qui a pregare per questo, perché il Signore aumenti la loro fede e la nostra, perché possiamo avere per loro parole e gesti che diano forza e coraggio al cuore”.

 

Ed ancora:

 “Sono certo di non essere smentito da alcuno se dico che, lasciando questo mondo, Roberto non abbia nessun debito d’amore con nessuno, perché Roberto era un puro di cuore, dotato di senso critico che gli ha permesso di farsi apprezzare nella sua professione in seno al Corpo della Guardia di Finanza, in cui ha meritato la stima dei suoi colleghi e superiori che oggi hanno voluto essere accanto a lui e alla sua famiglia: Il generale di Divisione, Francesco Mattana, Comandante della regione Puglia, il Colonnello Massimo Dell’Anna, comandante provinciale di Taranto, e con loro altri alti ufficiali del Corpo (il Tenente Colonnello Valerio Bovenga, Comandante Nucleo P.E.F. Taranto; il Maggiore Arturo Boccuni, Comandante Compagnia di Martina Franca; il Capitano Mauro Nuzzo, Comandante Gruppo Taranto; il Capitano Giuseppe Detommaso, Comandante 2° Nucleo Operativo).

Ci sarebbe ancora un mondo da dire per narrare quanto Roberto fosse bello, ma so bene che non occorre, perché ognuno di voi ne è fermamente consapevole.

         

Caro Roberto, questa volta voglio essere io, vogliamo essere noi a dirti Grazie, come tu hai sempre fatto con tutti. Sempre, anche quando non c’era ragione di ringraziare. 

Grazie perché hai voluto condividere con noi la bellezza della tua vita, io, e noi ci diciamo non solo grati, ma anche onorati per averti conosciuto”.

 

Ed ha concluso la sua Omelia, da tutti molto apprezzata:

“Tu che ora in Dio sei e tutto in lui puoi, aiutaci a sollevare il cuore per rivolgere lo sguardo della fede verso Colui dinanzi al quale ora sei, caro Roberto.

La Regina del Paradiso, la Madonna che hai amato e venerato a Tindari, ti avvolga fra le sue braccia e ti dia il bacio e la carezza della tua sposa, dei tuoi bambini e di tutti noi”.

 

Nell’ascoltare questa Omelia gli occhi di tutti sono diventati lucidi. Quanti hanno avuto la fortuna di conoscere Roberto hanno perso (io incluso) un vero amico di estrema gentilezza e disponibilità, sempre mosso da alto senso del dovere e della responsabilità, come ha pure ricordato il Colonnello Massino Dell’Anna, Comandante Provinciale delle Fiamme Gialle di Taranto (ove prestava servizio Roberto)che ha voluto ringraziare Roberto per la grande lezione di vita lasciata a tutti. Durante la sua malattia, infatti, ha saputo infondere e trasmettere la sua forza di combattente e di stare dentro di quest’avventura con amore, con fede e con tanta dignità e forza fino alla fine. Come un dono dal cielo ha riempito di luce e di ogni bene la sua famiglia (e anche la sua seconda famiglia, quella delle Fiamme Gialle) donando loro un’eredità umana da custodire, coltivare e difendere.

 

In conclusione, tutti in piedi, è stata letta in onore di Roberto “La preghiera della Guardia di Finanza”.

 

Concludiamo con le condoglianze personali e della redazione alla moglie Silvana Magazzile, ai figli Riccardo e Bianca, al papà Antonino, alla mamma Giuseppina Mosca, ai fratelli Giuseppe e Marco; ai suoceri Fernando Magazzile e Filomena Laterza, ai cognati, nipoti e parenti tutti.

 

Nino Bellinvia

 

Nella foto Roberto Bellinvia.

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