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Leonard Cohen e Dante. Alla ricerca di un amore in esilio.

C’è sempre un viaggio inascoltato lungo gli argini del tempo che intreccia memorie

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Pierfranco Bruni

Abitano il tempo e l’esilio della parola. La cognizione dell’esistere oltre il dolore. C’è sempre un viaggio inascoltato lungo gli argini del tempo che intreccia memorie tra Dante e Cohen…

“…il cuore errante è finalmente senza dimora”. Il tema dell’erranza è un principio fondante nel viaggio letterario, musicale e umano di Leonard Cohen. L’errante ebreo che cammina e viaggia lungo i passi dei deserti è un pellegrino dell’anima e della parola. Si serve dell’ascolto per capire. Si serve del vento per farsi trasportare lungo le eredità spirituali.
Leonard Cohen segue, dunque, il viaggio di Dante e lo raggiunge proprio sul piano metafisico e regge agli urti ontologici con i versi dedicati a Giovanna d’Arco. Dante spiritualista ed esoterico è il Dante eretico ed errante che si legge nel paesaggio mistico di Cohen. Mistico come è mistico il suo vivere tra i linguaggi.
La Giovanna d’Arco è il racconto di un misticismo eretico. Ma Dante non è forse nel misticismo eretico che mostra allo specchio la sua Beatrice nella quale vede la suprema purezza ma anche l’eresia? “Attraverso il buio Giovanna d’Arco precedeva le fiamme cavalcando nessuna luna per la corazza, nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco”. Siamo non alla poesia ma al poema. Ad un incipit che è sacro e mito. Ma la “Vita nova” non è forse un andare nella nuova vita in cui Beatrice non è solo bellezza ma anche finzione che appartiene al mistico dell’errante? Come Suzanne.
Ancora una volta è il mistico immaginario dantesco. “Suzanne ti ha voluto accanto nel suo posto in riva al fiume puoi sentire le barche che si allontanano puoi passare la notte al suo fianco,e lo sai che lei è un po’ pazza ma per questo sei con lei”. Beatrice è un po’ pazza. La pazzia è il dono di Dio. Ci siamo mai chiesti perché l’amore tra Dante e Beatrice non è un amore casto? Non lo è! Diventano due amanti e uccidono la tradizione. Sono due amanti. E Cohen ama gli amanti come li ama Prévert.
Il Prevert che si impasta di Dante e dell’amore dolce e sensuale è nel Cohen di “Ah, ma un uomo non è mai riuscito a riconquistare una donna di certo non implorando in ginocchio altrimenti verrei da te strisciando/ E cadrei ai tuoi piedi /E ululerei alla tua bellezza /Come un cane in calore”.
Certo c’è una storia in questo percorso. Una storia che parte da Saffo e giunge a Dante per toccare i luoghi delle parole di Vinicio de Morales, Brel, appunto Leonardo Cohen, Jaques Prevert, Fabrizio De Andrè.  Questi hanno stabilito un rapporto così armonico tra la parola e la musica che ha innovato il pensare alla poesia. Ma hanno anche restituito un linguaggio cantabile alla poesia stessa.
Perché la poesia vive se ha ritmo. E il ritmo è la musicalità del verso, l’accentuazione di alcune parole, l’appoggio di alcuni aggettivi o di sostantivi. E quindi da qui l’impostazione di un modello di linguaggi. Neppure bisogna dimenticare il contributo di personaggi come Bob Dylan o come Jack Kerouac nel panorama delle esperienze della poesia italiana.
La poesia del Novecento fino agli anni Cinquanta ha vissuto un intreccio di fenomeni tutti legati al testo scritto, al testo classico all’interno di una dimensione mistico – onirica. Ma è la tradizione che resta e rende tutto paesaggio tragico e sentimentale attraverso i segni del distacco. Credo che sia stato Leonard Cohen a svincolare il Dante dantista e a renderlo fruibile nella canzone tra i ritmi francesi e anglo – americani. Ma egli non diventa errante. È errante  tra la sua storia e le antiche identità che hanno voce nel mistico e spesso ha bisogno della solitudine per ritrovarsi nel suo esilio. Il suo esilio è l’erranza. L’esilio di Dante non è forse anche l’erranza per riscoprirsi nella poesia?
Scrive Coehn: “Resteremo soli/finché i tempi non cambieranno/ e coloro che hanno tradito/torneranno come pellegrini a questo momento/in cui noi non ci arrendiamo/e chiameranno quest’oscurità poesia”. Pellegrini. Siamo pellegrini per bisogno di solitudine.
Dante nonostante tutto è la solitudine dell’esilio che canta con voce consumata.  “…In effetti la mia anima si è tolta un peso/Ho imparato che l’amore è ben oltre il mio controllo”, questo e Leonard. “lo disio che li mena quivi è stinto: però proveggia a lo mio stato Amore”.Dante è il poeta dell’amore non “angelicato”. No. È l’amore degli amanti. Quando si riuscirà a capire ciò si comprenderà il ruolo dell’eros e della sensualità nella donna con il cor gentile.
Leonard Cohen lo aveva ben capito proprio scavando Dante. Quando gli chiesero cosa fosse il sesso Leonard rispose: “”Un momento di riposo su un letto di spine”.  Dante: “…esser baciato da cotanto amante… la bocca mi baciò tutto tremante…”. Perché si sostiene che il Paradiso è un albergo a sei stelle e l’Inferno è a zero stelle? L’ipocrisia della teologia è un vanto dell’ambiguità.
Già! Dante: “Amor condusse noi ad una morte”. ma amore e morte non sono l’estasi. Il sublime tra gli amanti non sta tra l’incipit e la fine? “Una donna guarda il suo corpo con difficoltà, come se fosse un inaffidabile alleato nella battaglia per l’amore”.

L’amore degli amanti vive sempre di sublime e di morte, di passione e perdizione, di bellezza e di tragico. Dante. Coehn sono sempre alla ricerca di una impossibile pietà che va oltre ogni nostalgia o rimpianto ma tutto resta in una memoria inossidabile. Una ricerca di un amore in esilio o di un esilio in amore.

 

 

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