Il rigore e la democrazia attraverso l’emozione dell’arte teatrale.
di Francesca Moro
Il teatro etnico sconta da sempre la penalizzazione di strutture precarie e spesso di finanziamenti inadeguati e nonostante tutte le difficoltà l’associazione ARTE di Cagliari
porta avanti con tenacia il suo Circuito Regionale Teatro Etnico con la messinscena di un denso cartellone di spettacoli nei Comuni dell’isola, territori selezionati quali luoghi materiali della memoria, portando in scena vicende legate a filo doppio alla faticosa maturazione civile e culturale dei sardi, per esaltare il ricordo di persone che hanno rappresentato insieme quell’ansia di cambiamento e di innovazione del tessuto culturale isolano, al loro percorrere la strada della democrazia e dell’autonomia per diffondere la conoscenza del patrimonio di studio e di lotta e di emancipazione delle classi lavoratrici e subalterne sarde.
Come nell’intreccio fra teatro, oralità e memoria nell’allestimento “Dietro lo specchio segreto” della compagnia Humus Teatro a cura di Giuseppe Podda, che esordisce nella stagione teatrale 2021 del circuito per proseguire nel 2022 grazie proprio al progetto di un circuito “etnico” ideato alla fine degli anni ’80 dall’associazione ARTE, con il sostegno delle associazioni locali e dell’Assessorato Cultura della Regione Sardegna, per divulgare la cultura etnica incentrata sull’identità come un luogo aperto al mondo.
In particolare, nell’allestimento “Dietro lo specchio segreto”, ci sono i pensieri, le parole, gli scritti e i progetti
del regista sardo Nanni Loy, come la sua storia d’amore, di impegno e di lotta politica per il cinema, per il teatro e la televisione. I
l titolo allude a una tecnica usata per la realizzazione di una trasmissione televisiva di successo di Loy, in onda nel 1964 sui canali della RAI, con telecamere nascoste, microfoni nascosti e appunto lo specchio segreto, finto, per cui una persona pensa di essere da sola e di guardarsi allo specchio mentre lo spettatore la vede.
La trama del lavoro teatrale è collocata alla fine degli anni ’60 quando Nanni Loy ritorna a Cagliari per una “rimpatriata” malinconica e struggente, per trovare i parenti e girare per la TV un breve servizio sulla squadra di calcio di di Scopigno e di Riva. Un viaggio alla “ricerca del tempo perduto”, di quando era ragazzo e giocava dietro le mura di Castello, con coetanei usciti dalla stessa matrice sociale, giovani che trovarono la loro maturazione umana ed ideologica discutendo in “casteddaiu”, la lingua sarda campidanese parlata a Cagliari, in modo confuso e di nascosto, di letteratura americana, di jazz, di Ford e Renoir, di “new deal”, di rigore morale e politico, del rispetto per la personalità e le opinioni altrui, cioè di una serie di valori che schematicamente si potrebbero riassumere nella parola democrazia: una democrazia effettiva, alquanto diversa dalla democrazia formale.
Nella messinscena parla direttamente Giovanni Loy Donà nato a Cagliari il 23 ottobre 1925, laureato in giurisprudenza, con moglie e quattro ragazzi. Un padre di famiglia, come tanti e vissuto fino a diciotto anni nel quartiere Castello, sotto la tutela del padre avvocato, la madre nobile e religiosissima (una Sanjust), i parenti devoti che si muovevano seguendo rigidi schemi e antiquati cerimoniali, Giovanni non è tuttavia diventato – come era nel programma del casato – un “uomo d’ordine”. Spinto dalle insistenze dell’avvocato suo padre, nonché dalle pressioni dell’ambiente “per bene”, dopo la laurea è diventato assistente nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma. Qui ha conosciuto alcuni giovani colleghi che si dirigevano in tutt’altra direzione: verso il teatro, il cinema, lo spettacolo in genere. Ed anche lui, Giovanni Loy Donà, conclusa un’esperienza esaltante come aiuto di Luigi Zampa e autore di documentari, ha finito col seguire la sua autentica vocazione, quella di regista.
Un teatro popolare
insomma
che intende unire tutti i vari componenti della società attraverso l’emozione dell’arte teatrale
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con una drammaturgia della scena in grado di
comunicare direttamente con lo spettatore e con un obiettivo: il convincimento di dar vita ad un teatro regionale, capace di raccontare vicende universali.
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