Legale di Meerab Mohsin ad ACS: da ieri la ragazza è stata affidata al padre ma il giudice non ha annullato il matrimonio
Meerab Mohsin, è una sedicenne cattolica pachistana di Orangi Town, città situata nella parte nord-occidentale di Karachi. Meerab è stata vittima sia di violenza sessuale, finalizzata a un matrimonio forzato, sia di conversione forzata alla religione del presunto responsabile di tale violenza, Noman Abbas. Quest’ultimo ha precedenti penali per reati analoghi, avendo già venduto due ragazze del Punjab dopo aver contratto matrimonio con loro. La minorenne il 19 aprile scorso è riuscita a fuggire raggiungendo i genitori e trovando riparo, a seguito della decisione del giudice, presso il Panah Shelter Home di Karachi. Fonti di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) rendono noto che ieri, 28 aprile, il tribunale di Karachi Ovest ha disposto che la minorenne sia nuovamente affidata al padre, Mohsin Gulzar.
La sua avvocata, Tabassum Yousaf, patrocinante presso l’Alta Corte del Sindh, in un colloquio con ACS racconta che «Meerab attualmente è molto confusa, psicologicamente traumatizzata e fisicamente molto provata. Ha bisogno di assistenza medica». Quanto alla tutela fisica della minorenne, prosegue il legale, «nessuno, a livello istituzionale, provvede alla sicurezza della bambina o della famiglia. Ci sono alcuni volontari cristiani che a turno vanno a visitarli per senso di solidarietà cristiana. I tre cugini del rapitore, accusati dalla famiglia di averlo aiutato, ora sono liberi su cauzione e abitano proprio nella casa del rapitore che è di fronte a quella della bambina, sulla stessa strada. Ovviamente loro, insieme ai gruppi islamisti, sono una minaccia significativa per la sicurezza della minorenne e della sua famiglia». Vi è tuttavia un problema ulteriore, tuttora irrisolto. Tabassum Yousaf spiega infatti che nonostante la famiglia sia felice per il ritorno della figlia, i genitori «sono molto preoccupati per la decisione ambigua del tribunale. Questa decisione secondo i genitori rappresenta una spada di Damocle perché in qualsiasi momento la sentenza potrebbe essere interpretata diversamente e la famiglia potrebbe essere costretta a restituire la figlia a quello che rimane tuttora suo marito, visto che il tribunale non ha annullato il matrimonio».
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In merito al pronunciamento del tribunale, l’avvocata afferma che «Meerab Mohsan è stata consegnata alla famiglia dal tribunale di Karachi solo sulla base delle sue dichiarazioni e non in applicazione della legge contro un reato. Il tribunale non ha né annullato il matrimonio né l’ha dichiarato illegale, anche se questo è possibile secondo il Sindh Child Marriage Restraint Act del 2013. Ci sono molte lacune sia nella normativa sia nella decisione del tribunale. Secondo la legge – prosegue l’avvocata – un minore sotto i 18 anni di età non può sposarsi di spontanea volontà e senza il consenso del tutore o genitore, e anche se Meerab, sedicenne, ha dichiarato di fronte tribunale che ha, appunto, sedici anni, il giudice non l’ha considerato», di conseguenza non ha adottato «il provvedimento necessario per l’annullamento civile del matrimonio».
I casi analoghi a quelli di Meerab sono circa 2.000 l’anno, per cui è opportuno chiedersi se vi sia un cambio di rotta da parte delle istituzioni, finora protagoniste di atteggiamenti gravemente omissivi nei confronti delle vittime appartenenti alle minoranze religiose. Tabassum Yousaf commenta: «Non penso che in merito ci sia un cambiamento di rotta a livello governativo o statale. Se le istituzioni fossero libere da pressioni da parte dei gruppi fondamentalisti islamici non avrebbero preso una decisione ambigua e poco chiara».
Quanto ai prossimi passi sul piano giudiziario il legale aggiunge: «Prima di tutto il matrimonio deve essere annullato in quanto Meerab ha solo sedici anni, e questo rappresenta un caso di matrimonio forzato e di conversione forzata. Legalmente la bambina non deve essere abbandonata e il caso non deve essere chiuso perché altrimenti non si riuscirà mai a istituire un precedente per evitare che in futuro ci siano altri casi di conversioni e matrimoni forzati. Grazie dunque ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che ha deciso di sostenere le spese legali», conclude.
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