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BELLA PRO PECUNIA

Nessuno, neppure il Potente più guerrafondaio, dopo i terribili effetti della bomba atomica a chiusura del secondo conflitto mondiale, ha l’ardire di magnificare la guerra. La quale non è scomparsa, è divenuta, in seguito, per tutti “operazione difensiva” (anche il Ministero della Guerra è detto Ministero della Difesa), pertanto pure gli arruolati, i cosiddetti contractors cui viene data carta bianca per ogni azione, anche la più crudele, diventano eroi perché le loro azioni vengono ipocritamente considerate per la difesa. Bisognerebbe, invece, togliere alla guerra ogni velo di ipocrisia (è pensiero lontano, di Machiavelli), dire apertamente ciò che essa in effetti è. Non c’è infatti altra via fra mettere a tacere la coscienza per agire con crudeltà e affinarla pian piano sino a far sì che possa giungere a seguire le leggi della morale. Tertium non datur. Dal seguire le leggi della morale siamo ancora molto distanti, nonostante il tanto blaterare da parte di tutti sulla bellezza della giustizia (è stata rimpiazzata dai ”buoni affari”) e della pace.                                                                                                                                         La guerra russo-ucraina (definita per “procura”, perché non compaiano gli Usa) è, purtroppo, ancora in prima pagina. Tra le ultime notizie concrete le esercitazioni militari della Nato insieme a Finlandia e Svezia: eccezion fatta per la Turchia di Erdogan, già si deduce che verrà accolta a braccia aperte la volontà della loro adesione, senza badare a Putin che tuona contro “l’abbaiare della Nato ai confini della Russia”, secondo l’espressione di Papa Francesco. Intanto lo Zar non manca di bacchettare la Nato e anche l’Europa che sta, a suo avviso, avviandosi al proprio “suicidio energetico”.                     Ma ritornano pure le esercitazioni di Mare Aperto (ci riguardano molto) tra Adriatico, Jonio, Tirreno e Mare di Sicilia, rituali dal 2003, con la presenza quest’anno di 7 Paesi.       Si pongono inoltre in rilievo, oltre alla colonna coi colori della bandiera ucraina posta al confine con la Russia, le navi spie russe nel Mediterraneo a breve distanza dalla Sicilia. Maggiore rilievo poi alla resa di Azovstal con l’interrogativo sui prigionieri. Tralasciamo tanto altro che viene annunciato: stato di salute di Putin e possibili sostituti, sua famiglia regolare e non regolare, decisioni punitive su generali e soldati russi recalcitranti, alternanza di consensi allo Zar. Se ne discute menzionando fonti non si sa quanto attendibili. In taluni casi si fa quasi pruderie.                                                                                                                          Intanto i negoziati, ciò che dovrebbe importare perché relativo a una tregua per ragionamenti di pace, rallentano. Lavrov commenta che a guidare i negoziatori ucraini sono Washington e Londra che per la pace mostrano scarso impegno.                                                           La guerra continua: bombe dall’una e dall’altra parte, distruzione e morte anche per l’impiego di armi sempre più sofisticate cui l’industria bellica è pervenuta.                                                                                                                          Gongolano le industrie delle armi, in particolare quelle statunitensi (Lockheed Martin, Raytheon e Boeing) che stanno inviando in Ucraina di tutto, dalla artiglieria pesante ai missili laser, dai blindati ai droni, a ogni altro tipo di materiale bellico. La richiesta è tanta da ritenere insufficiente la manodopera come il tempo per mantenere l’impegno dell’invio. E Biden afferma che il suo Paese è “un arsenale della democrazia”.  Ma l’eccesso di armi, come ben sappiamo, può divenire pure pericolo di allargamento del conflitto, e le stesse armi possono anche finire in mano ai trafficanti, armare terroristi e neonazisti.                                                                                                                                     Per produrre armi vengono stanziati parecchi miliardi: Usa 778, Cina 252, India 72.9, Russia 61.7. E nelle esportazioni del 2020 al primo posto gli Usa col 39%, poi Russia 19%, Francia 11%, Cina 4.6% (il Dragone pensa ad esportare altre merci), Germania 4.5%.                                                                                                                                    Tra gli Stati produttori di armi speciali è balzata la Turchia per i droni Bayraktar con impiego aria-terra-mare, di cui si avvale l’Ucraina. La Turchia sta vivendo una forte crisi economica e cresce il malcontento popolare anche a causa dei profughi siriani. Le armi sono un commercio florido, cui nessuno rinuncia, neppure Erdogan che è in un momento difficile e deve barcamenarsi tra Russia, Nato cui per il consenso all’ingresso di Finlandia e Svezia conta di poter chiedere relativamente ai Curdi, e situazione interna non più di forte consenso.                                                                                           Homo sine pecunia est imago mortis, recita un proverbio latino. Vale anche per gli Stati.                          La guerra, come tutte le azioni umane, può conseguire fini diversi da quelli perseguiti, segue, come la storia insegna, il principio formulato nell’Ottocento dallo psicologo e filosofo empirico tedesco Wilhelm Wundt, idest la “eterogenesi dei fini” (a ben riflettere c’era, però, già nei ricorsi di Giambattista Vico) per il sommarsi di conseguenze ed effetti secondari dell’agire. A sottrarsi a questo principio è la guerra come business legato alla produzione e vendita delle armi, dato che raggiunge sempre il fine perseguito, la pecunia. E non può non sorgere il sospetto che vengano desiderate bella pro pecunia.                                                         C’è, però, da dire anche che le guerre sconvolgono sistemi, creano innovazioni, trasformano la vita. Tralasciamo: apriremmo un altro discorso, anche controverso.

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Antonietta Benagiano

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