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MAGISTRATURA, RITORNARE ALLA LEGITTIMITÀ

di Vincenzo Olita *

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Un’entità è, di fatto, legittima quando le viene riconosciuta merito e onorabilità, scrivendo ho presente la splendida canzone di Fabrizio De Andrè, Nella Mia Ora Di Libertà:

Non mi aspettavo un vostro errore
Uomini e donne di tribunale

Se fossi stato al vostro posto…
Ma al vostro posto non ci so stare

Forse merito e onorabilità non erano nelle corde del poeta De Andrè, di sicuro il deficit di legittimità della Magistratura è, da tempo, convinzione e sentimento di popolo.

E allora, i cinque referendum sulla giustizia, su cui siamo chiamati a pronunciarci il 12 giugno, sono in grado di avviare un sostanziale processo di rinnovamento dell’ordine giudiziario? Parlando il linguaggio della nostra verità e della nostra lealtà, Certamente no!

Intanto, una riforma strutturata e sistemica non è perseguibile attraverso l’istituto referendario, per sua natura, strumento di necessaria segmentazione anche dell’impegno riformista. Un sistema complesso come il potere giudiziario per essere, seppur minimamente, valutato abbisogna di un minimo di competenze e di capacità diagnostiche che sfuggono alla maggioranza dell’elettorato e ancor più alle scolarizzate nuove generazioni che, con l’incapacità a interpretare un testo scritto – un adolescente su due – confermano e testimoniano il naufragio della nostra scuola in simbiosi con lo smarrimento della nostra politica che affida a ignari spettatori la modernizzazione di un frastornato Paese.

Sarebbe stato, e lo è, compito e obbligo della politica intervenire, Marco Pannella avrebbe detto, per una giustizia giusta, noi aggiungiamo, anche, per una giustizia vera. Alla riflessione sulla politica si aggiunge quella sul sistema informativo; carta stampata e radio/tv, troppo prese dalla geopolitica, nella maggior parte dei casi per loro incomprensibile, hanno cancellato l’appuntamento referendario con l’interessata complicità della parte politica e giudiziaria contraria al referendum stesso.

Tutto in linea con il silenzio assordante del Presidente del CSM Sergio Mattarella, ci consentiamo un passaggio politicamente scorretto, che in sette anni e quattro mesi di presidenza, al di là delle sue dolci e suadenti parole, non ha ritenuto di esternare decisi, significativi e autorevoli interventi sullo stato della Magistratura. In questo quadro si avverte e si spiega, allora, il quasi certo non raggiungimento del quorum.

E noi, il nostro comportamento? Andremo a votare e invitiamo a farlo. E’ modo e momento per comunicare avversione per la condizione della magistratura e, se vogliamo, anche per quello dell’informazione.

Ci consentiamo solo una personalizzazione, voteremo quattro sì e un no motivato:

Riforma del CSM

Separazione carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti

Limiti agli abusi della custodia cautelare

Abolizione del decreto Severino

Equa valutazione dei magistrati NO

In ogni struttura operativa la valutazione periodica delle Risorse è uno snodo significativo in una gestione sistemica dell’organizzazione. Non così per il nostro comparto pubblico dove i ragionamenti su competenze, prestazioni e potenzialità, là dove presenti, assumono connotati autoreferenziali e a volte farseschi.

Intanto, una valida valutazione delle risorse umane non trova diretta corrispondenza con l’ampliamento dei valutatori. La proposta referendaria che prevede di estendere la partecipazione ai membri laici del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari, in particolare agli avvocati, non avverte fino in fondo che questo significherebbe affidare a una naturale dicotomia la responsabilità verso valutazioni professionali di una parte con cui si condivide una costante tensione dialettica.

A dimostrazione che significato e valore del processo di valutazione oltre a sfuggire a chi, oggi, ne gestisce modalità, contenuti e risultati sono del tutto estranei anche ai volenterosi riformatori.

La valutazione è uno strumento che Ignazio di Loyola introdusse nella Compagnia di Gesù nel XVI secolo e trova un momento fondamentale nell’autovalutazione come presa di coscienza del proprio percorso e individuazione di obiettivi futuri, in sintesi, comprendere quello che è vita e sviluppo e quello che non lo è.

 

Ormai da decenni la cultura della valutazione è un efficace patrimonio organizzativo, dalle grandi aziende, alle strutture del Vaticano, agli organismi internazionali, le risorse umane vengono coinvolte in processi di autovalutazione intesi come occasione di consapevolezza della propria efficienza.

Non è questo il caso della Magistratura e lo sarebbe ancor meno con la complicanza prevista dal referendum.

 

* Direttore Società Libera

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