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L’ECCESSO

Follie individuali e collettive, sempre più presenti, non solo in Italia, scalzano talora da stampa media e social la maxima insania, sembra infatti la guerra non pervenire più all’audience precedente nel ripetersi del trantran, anche se pur sempre drammatico.                              Vero è che ci si impegna molto nell’esercizio della esagerazione delle varie situazioni, le quali non richiederebbero di certo quell’esercizio, essendo di per sé tragiche, ma, come accade, vengono tirati in ballo i personaggi della scena, stanno diventando sempre più numerosi e discussi, e taluni paiono ballerini incerti negli schieramenti. Tutti poi, dell’una e dell’altra parte, sono condannati alla luce della esagerazione, si perde pertanto la dimensione reale, ben pochi riescono a coglierla per superficiale impegno e a causa della mancanza di chiarezza, ma anche delle non più allenate capacità critiche.                                                                                                                                  Intanto continua, a breve distanza dall’Italia e dall’Europa (incerte e appannate entrambe rispetto agli Stati leader ma anche agli altri Stati che vanno balzando in primo piano) la guerra russo-ucraina: assedi, distruzioni, sofferenze e morti, di più ora in una parte, ora nell’altra, e forti ripercussioni negative in campo energetico, economico e, soprattutto, alimentare. Continuano drammatiche le vicende di popoli, di militari e generali, finiscono pur essi nel nulla. La guerra esprime, secondo Machiavelli, la conflittualità presente in ogni Stato, la molteplicità delle passioni che lo Stato deve governare. Nella suddetta guerra chi è in grado di sostenere la supremazia del momento politico su quello militare?                                                                                                                                          “La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, vale a dire con mezzi di violenza, i quali presuppongono anch’essi accurata preparazione e rigoroso calcolo delle forze. Pensiero del generale prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831), scrittore ritenuto anche nei secoli successivi esponente di rilievo della polemologia, particolarmente per i due volumi, tradotti in italiano e intitolati “Della guerra”. Furono pubblicati postumi dalla consorte Maria, anche Prefatrice dell’opera. L’ amato coniuge giudicava quanto aveva scritto della guerra “una massa informe di pensieri” che, nel caso non avesse potuto rivedere perché improvvisamente passato a miglior vita (e gli accadde così), avrebbero potuto dare adito a critiche, come scrive nell’Avvertenza del 10 luglio 1827. Venne quest’opera, invece, nonostante la mancata revisione, elogiata da Marx ed Engels, da Lenin e Mao, da Paul Ludving Hindeburg e Benedetto Croce, da molti altri.                 E Cyril Falls, storico militare, giornalista e accademico militare britannico del Novecento, con il vissuto quindi delle guerre mondiali, pone in rilievo come Carl von Clausewitz sia stato il primo a valutare l’elemento morale, a considerare l’azzardo e l’abilità dell’attrito, il primo a inventare la teoria della forza decrescente dell’offensiva. Necessaria anche questa forza in ogni guerra per vederla decrescere, perché si spenga ciò che è da considerarsi l’eccesso della politica, e ogni eccesso, come si sa, va in ogni modo fermato quanto prima possibile.                                                                                     Ci si dovrebbe chiedere pure che cosa si intenda per difesa relativa e assoluta, e riflettere inoltre che la difesa non è attesa, non è quindi passiva, presuppone anche reazioni offensive, così come l’attacco non può procedere in modo continuo, impone anche momenti difensivi.                                                                                                                         Soprattutto non vengono posti gli interrogativi che dovrebbero essere posti: quanto costa a un popolo la resistenza? a quali condizioni attuarla?                                                                                                                                  Carl von Clausewitz si era formato nelle guerre contro Napoleone, guerre solo terrestri quindi, con tecniche e armi del tutto superate nel nostro tempo, ma a contare è il suo pensiero filosofico della guerra, il significato ch’egli dà ad essa, i suoi aspetti permanenti che vanno dalla supremazia della politica alla imponderabilità di tanti fattori (non escluso quello umano e della guerriglia), dall’importanza della difesa al pericolo dell’offensiva per annientamento, alla genialità militare. La guerra per il generale prussiano non è un fatto esclusivamente militare (non hanno quindi neppure validità assoluta le norme tattiche stabilite a priori), pertanto la sua opera vale anche per i conflitti mondiali, per gli scontri ideologici e morali. Non è quindi il suo concetto di guerra solo per una determinata epoca storica, si fa universale e assoluto, e per esso le esigenze di Stato debbono essere superiori alle esigenze militari. Pertanto è il governo politico, non il comando militare a dover dare regole alla guerra, per la quale va considerata la situazione delle popolazioni, dato che breve è il passo dallo scontro dei professionisti della guerra allo scontro dei popoli.                                                                                                                              Nel marasma della nostra contemporaneità, presuntuosa e al tempo stesso in allarme, converrebbe forse meditare anche sull’opera del polemologo del tempo passato che della guerra aveva un pensiero valido in ogni tempo.

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Antonietta Benagiano

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