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La necessità della difesa comune europea

e il riarmo della Germania

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di Angela Casilli

 

L’invasione dell’Ucraina è stato un brusco risveglio per chi pensava che un evento del genere non potesse mai verificarsi in Europa. Sulla spinta della tragedia in corso è tornata d’attualità l’esigenza di dotare l’UE di uno strumento adeguato per una difesa comune, ma raramente si va oltre l’auspicio di una svolta che, alla fine, lascia il tempo che trova.

La situazione attuale è tutt’altro che rassicurante: la Nato vede tuttora una preponderante presenza degli Stati Uniti, che però guardano soprattutto alla Cina come rivale da fronteggiare in questo momento storico. Nell’Unione Europea ci sono divergenze sostanziali tra i Paesi dell’Est, sfuggiti alla sfera d’influenza sovietica dopo la caduta del muro di Berlino, marcatamente nazionalistici e inclini a creare un rapporto preferenziale con Washington e, il nucleo degli Stati fondatori più portati a rafforzare l’integrazione.

La sfida di Putin, forte della dipendenza dal gas russo di importanti economie, come quella italiana e tedesca, si è inserita in un contesto già di per sé problematico. L’Europa non solo non può cedere ai ricatti di Putin, ma deve trattare alla pari, non su posizioni terzaforziste da nessuno giudicate credibili e, falsamente, autonome.

Se la politica di sicurezza e difesa dell’UE è uno stress-test per capire le difficoltà di un processo decisionale sempre più verticalizzato nel Consiglio Europeo e, se la difesa europea dipende dalla capacità di coordinare al meglio le difese nazionali, dove esiste non solo un problema di inefficienza e diseconomia nella spesa militare, ma anche di grave asimmetria, il massiccio riarmo della Germania, seppure necessario, è destinato ad ostacolare e non certo a rafforzare la difesa comune.

Come già avvenuto sul piano economico durante la crisi finanziaria del 2008, una Germania militarmente forte, in caso di crisi, è spinta a declinare la politica europea della difesa solo in funzione dei propri interessi geopolitici e geoeconomici.

Inaccettabile per i Paesi dell’Est europeo, la cui visione politica su come garantire la sicurezza europea non coincide con quella tedesca e dei Paesi centrali dell’Eurozona, Italia compresa. La militarizzazione separata rischia di essere messa così al servizio di interessi geopolitici e geoeconomici divergenti e di difficile ricomposizione, anzi, se ciò dovesse accadere ad opera della Nato, sarebbe sempre sulla base di priorità strategiche non europee.

Emerge, ancora una volta, l’ignoranza del passato, di quel XX secolo che dovrebbe insegnare proprio per l’atrocità di ben due guerre mondiali che, quando è in gioco la sicurezza, bisogna superare la logica intergovernativa, che genera solo divisioni difficili da ricomporre e capire, invece, che occorre dominare gli eventi e non lasciarsi dominare da essi nell’immediatezza del loro accadere.

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