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Fondazione Palazzo Te

 

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Le pareti delle meraviglie.

Corami di corte tra i Gonzaga e l’Europa

a cura di Augusto Morari

 

Fino al 26 giugno

 

 

Un excursus sorprendente

in occasione degli ultimi giorni di apertura della mostra.

Ve ne offriamo una descrizione speciale grazie alle parole del giornalista culturale Luca Melchionna e di Adolivio Capece, scacchista, giornalista e scrittore, che l’hanno visitata.

Cuoio e Calligrafia

di Luca Melchionna

 

Palazzo Te a Mantova apre un percorso espositivo dedicato all’arte di vivere, e lo fa a colpi di cuoio, un materiale deperibile, e quindi straordinariamente appropriato, visto che per stare bene al mondo bisogna prima di tutto rinunciare ad ogni illusione di prolungare i piaceri effimeri.

Le pareti delle meraviglie. Corami di corte tra i Gonzaga e l’Europa seduce anche per l’idea, che uno inevitabilmente si fa, di una giovane Gonzaga mollemente appoggiata non su una polverosa parete, ma su un corame lavorato, per sentirsi “zentile e fresca” – e sono le parole con le quali, ci spiega il curatore della mostra Augusto Morari, a metà Quattrocento Francesco Gonzaga spiegava perché rivestire le pareti con il cuoio.

Ma la mostra dovrò rivedermela, perché in pratica sono andato in fissa alla prima opera esposta nella prima sala. Si tratta di un “frammento di corame con vasi e fiori”, che esibisce dei motivi decorativi chiaramente di gusto islamico, sinuosi e serpentini, e tuttavia sistemati in una griglia quadrata. La razionalità occidentale che cerca di organizzare l’estro sinuoso dei safavidi, uno pensa. Ma chi organizza chi? La meccanica di potere tra l

inea curva e angolo retto è molto meno chiara di quanto possa sembrare.

Sono sempre stato incuriosito dai tentativi di quadratura del cerchio, e dagli spazi che ne progettano impossibili sintesi. Il punto è che non si capisce se sentirsi a proprio agio, in un ambiente circolare che insiste su un quadrato, o viceversa se sia più opportuno uscire urlando.

Nella piazza circolare del Mart mi sono sempre sentito protetto. Lasciando da parte sia l’uomo vitruviano che Palladio, succede lo stesso nel cortile della casa di Andrea Mantegna a Mantova. Nella Camera Picta a Palazzo Ducale, invece, si abita uno spazio cubico, e non si vorrebbe fuggire. Ma poi uno alza lo sguardo e vede proprio un’anticipazione della Fuga Definitiva. Gli storici dell’arte lo chiamano oculo, ma non prendono in giro proprio nessuno: è un cerchio per andarsene, un po’ come Cagliostro nella prigione di San Leo.

Disagio o sintesi? Anche a non risolvere la questione, da studente davo per scontato che l’impostazione del problema fosse rinascimentale, italiana. Che botta rendersi conto di quanto questo interplay tra cerchio e quadrato debba alla tradizione figurativa orientale. Mantegna lo scoprì nel 1463 grazie al calligrafo Felice Feliciano. Oggi lo possiamo vedere nelle opere di Ghani Alani (Bagdad, 1937), conservate al British Museum. In una di queste, (non in mostra ma visibile qui) linee curve trascrivono antichissimi versi di componimenti epici in tutte le direzioni. Ghani è contemporaneo, però quei versi sono non solo pre-occidentali, ma anche preislamici. Per leggere bisogna ruotare continuamente il foglio, con moto circolare, di 180° gradi. Miracolosamente, ogni tensione è annullata.

 

FOTO I giocatori di scacchi di Ludovico Carracci © Wikimedia Commons

 

 

I giocatori di scacchi di Ludovico Carracci

di Adolivio Capece

 

I giocatori di scacchi è un quadro di Ludovico Carracci dipinto nel 1590. Raffigura due gentiluomini impegnati in una partita a scacchi; il tavolo è coperto da un tessuto estremamente raffinato su cui è posta la scacchiera. La partita sembra essere giunta alle fasi finali: il giocatore di destra sembra attendere la mossa dell’avversario mentre si prepara a dare scacco matto. Il quadro si trova nella Gemaldegalerie art museum di Berlino ed è stato soggetto di un francobollo emesso dal Nicaragua.

Ludovico Carracci (Bologna, 21 aprile 1555 – 13 novembre 1619) era il più anziano esponente della famiglia Carracci, cugino dei fratelli Agostino e Annibale Carracci. Si formò presso Prospero Fontana, viaggiò a Firenze, Parma, Mantova, Venezia e venne anche a contatto con Camillo Procaccini. Predilisse la pittura religiosa finalizzata alla moralizzazione. Da ricordare che tra il 1604 e il 1605 lavorò nel chiostro di San Michele in Bosco a una serie di affreschi in collaborazione con i suoi allievi, tra i quali Guido Reni.

 

Secondo i critici d’arte, il dipinto è soprattutto un pretesto per mostrare l’ambiente, raffinato e tutto decorato con i corami*. Ma se così fosse si sarebbe potuto usare un altro soggetto, per esempio una natura morta. Quindi è probabile che fossero raffigurati realmente due rappresentanti della Casa d’Este dove è noto che i corami erano molto apprezzati ma anche che gli scacchi erano coltivati con grande passione.

Grande interesse per i corami lo ebbe Isabella d’Este Gonzaga, marchesa di Mantova, nota e importante anche dal punto di vista degli scacchi: sappiamo che per perfezionarsi nel gioco invitava a corte i migliori giocatori di tutta Europa; amava i giochi di artistica fattura e ne commissionò ai più famosi maestri intagliatori del tempo (tra i più noti il milanese Cleofas Donati) a volte discutendo sul prezzo, come dimostra una lettera conservata nella Biblioteca Ambrosiana a Milano.

Tra il 1499 e il 1503, Isabella ospitò Leonardo da Vinci e fra’ Luca Pacioli in fuga da Milano occupata dalle truppe francesi di Luigi XII. Pacioli le dedicò il suo libro di scacchi con molti diagrammi disegnati da Leonardo. Tra gli altri personaggi della Casa d’Este appassionati di scacchi ricordiamo Nicolò III (1390-1441): giocava spesso e possedeva vari libri che insegnavano “a zugare a scachi…“.

E poi Borso (1413-1471), principe munifico e protettore delle arti. Nel 1459 invitò papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini, salito al soglio pontificio l’anno prima, che gli confermò la concessione del ducato di Ferrara, Modena e Reggio) e lo fece assistere ad una partita a scacchi disputata alla cieca. Nella Biblioteca Reale di Torino si conserva un manoscritto miniato sul gioco a lui dedicato.

Da ricordare anche Alfonso (1505-1534) che sposò prima Anna Sforza e poi Lucrezia Borgia, perché si fabbricava personalmente i pezzi. Ed Eleonora (1537-1581), che passava gran parte delle giornate a seguire le partite fra i cortigiani. È nota perché protesse e ospitò Torquato Tasso, pure scacchista.

 

 

 

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