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Iran: Concedere il visto a Raisi è voltare le spalle alle sofferenze del popolo iraniano

 

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Impedire al Presidente del regime iraniano di partecipare all’Assemblea Generale dell’ONU

 

Nel 1988, quando l’attuale Presidente del regime iraniano Ebrahim Raisi era sostituto procuratore della capitale, divenne uno dei quattro funzionari incaricati di far parte della “commissione della morte” di Teheran e di attuare così la “fatwa” della Guida Suprema che decretava la morte di chiunque si opponesse al regime clericale o rimanesse fedele alla principale opposizione democratica. Per circa tre mesi, quell’anno, Raisi ha contribuito a interrogare i detenuti politici nelle carceri di Evin e Gohardasht, dove la commissione di morte ha ordinato l’impiccagione immediata di chiunque fosse ritenuto colpevole di “inimicizia contro Dio”.

 

In tutto il Paese, il massacro del 1988 ha provocato oltre 30.000 vittime, di cui circa il 90% erano membri o sostenitori dell’Organizzazione Mojahedin del Popolo dell’Iran. Sebbene organismi simili fossero stati costituiti in tutto il Paese, la commissione di morte di Teheran fu senza dubbio responsabile della maggior parte di quelle uccisioni. Inoltre, l’allora leader supremo del regime, Ruhollah Khomeini, conferì personalmente un mandato più ampio allo stesso Raisi prima della fine del massacro, come riconoscimento per la sua zelante applicazione della condanna a morte.

 

Quella promozione è stata l’inizio di un percorso che ha portato alla nomina di Raisi a Presidente. Il successore di Khomeini, Ali Khamenei, ha pubblicamente appoggiato Raisi prima delle elezioni farsa del giugno 2021, spianandogli la strada verso la carica. In precedenza, Khamenei aveva già nominato Raisi prima a capo della cosiddetta fondazione religiosa nota come “Astan-e Quds Razavi”, poi a capo della magistratura del regime. Questi ruoli gli hanno permesso di supervisionare, rispettivamente, il finanziamento del terrorismo e dell’ideologia estremista e la violenta repressione della rivolta nazionale del novembre 2019, che ha ucciso 1.500 persone.

 

La nomina di Raisi è da intendersi come il via libera per ulteriori repressioni da parte del regime, a fronte di una sempre più diffusa contestazione pubblica dei metodi repressivi, che hanno caratterizzato le uccisioni di massa del 2019. Da allora, il regime ha affrontato diverse altre rivolte, ognuna delle quali è stata in qualche misura associata agli sforzi organizzativi e all’espansione del profilo pubblico delle “Unità di resistenza” del MEK.

 

 

Finora, la sfida del popolo è riuscita a mantenersi viva, ma la campagna di repressione si è chiaramente intensificata. Dalla nomina di Raisi, il tasso di esecuzioni in Iran è quasi raddoppiato: finora sono state eseguite più di 600 esecuzioni nel 2022, rispetto alle poco più di 300 di tutto il 2021. Questa tendenza coincide con un’accelerazione del tasso di arresti per motivi politici e con un aumento dell’applicazione generale di leggi repressive, tra cui quelle che vietano la pratica di religioni minoritarie e che impongono alle donne di indossare l’hijab e di rimanere isolate dagli uomini nella società.

 

Tutto ciò ribadisce la notoria identità criminale senza scrupoli di Raisi. Per la comunità internazionale, questo dovrebbe suonare come campanello d’allarme soprattutto l’incidenza di tale brutalità sull’aumento delle minacce terroristiche riconducibili al regime iraniano. È da notare infatti che tale tendenza è iniziata da quando Raisi è entrato in carica, e alcuni degli ultimi incidenti sono chiaramente diretti verso gli stessi obiettivi che hanno guidato le sue azioni all’epoca del massacro del 1988.

 

Lo scorso luglio, la Resistenza iraniana è stata costretta a cancellare una conferenza internazionale programmata presso la sede del MEK in Albania, nota come Ashraf 3, in seguito alla rivelazione di minacce concrete contro il raduno. La notizia è stata divulgata all’incirca nello stesso momento in cui le autorità albanesi hanno riferito di aver indagato per quattro anni su presunti agenti iraniani nel Paese, da quando è stato sventato un altro attentato terroristico contro Ashraf 3.

 

Questo del 2018 non è stato l’unico episodio di questo tipo, né il maggiore. Nel giugno dello stesso anno, un diplomatico-terrorista iraniano di nome Assadollah Assadi ha introdotto clandestinamente una bomba in Europa, consegnandola a due complici con le istruzioni per farla esplodere durante l’affollatissimo evento organizzato nei pressi di Parigi dal Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran. Oltre a decine di migliaia di iraniani espatriati in tutto il mondo, all’evento hanno partecipato decine di politici americani ed europei, studiosi e altre personalità.

 

Dopo che il piano è stato sventato grazie ad un esemplare coordinazione tra le forze di Polizia di più Paesi europei, Assadi è stato processato in Belgio e condannato a 20 anni di carcere. Ciò che lascia molto perplessi, però, è che Assadi potrebbe tornare in libertà dopo soli quattro anni dalla condanna, in base ad uno sciagurato trattato tra Belgio e Iran che consente il “trasferimento di persone condannate” per scontare la pena nel loro Paese d’origine. Ancora più scioccante è la possibilità per l’Iran, prevista dal trattato, di annullare la sentenza pronunciata dal Belgio nei confronti di Assadi o di chiunque altro sia legalmente detenuto per un reato grave.

 

Sebbene il trattato sia apparentemente volto a favorire il rilascio di un operatore umanitario belga preso in ostaggio dal regime iraniano, questo riflette comunque una tendenza a politiche tristemente inappropriate per affrontare le minacce terroristiche iraniane. Tale inadeguatezza è resa ancora più grave dal fatto che le azioni di Assadi hanno preceduto una brusca virata verso una linea sempre più dura da parte del regime clericale, che riflette chiaramente il desiderio di smembrare in qualsiasi modo la più grande minaccia per il potere dei mullah, che è anche la voce principale della democrazia iraniana.

 

La deprecabile mancanza di assertività dietro questo imminente scambio di prigionieri non riguarda solo il Belgio o l’Unione Europea. Si riflette anche nel fatto che le Nazioni Unite hanno lasciato aperto l’invito a Raisi a partecipare alla 77a sessione dell’Assemblea Generale a settembre, mentre gli Stati Uniti non hanno fatto alcuna mossa per impedire a Raisi di recarsi a New York. Questo è inaccettabile due livelli, in quanto dà l’impressione di una pericolosa sottostima delle crescenti minacce terroristiche provenienti dal regime di Teheran e allo stesso tempo chiude gli occhi di fronte al coinvolgimento di Raisi in molteplici e gravi crimini contro l’umanità.

 

Una delle conseguenze tangibili di un tale approccio al regime è dimostrata dal fatto che i responsabili del massacro del 1988 non sono ancora stati processati. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati fatti dei progressi in questa direzione. Nel 2019, un ex funzionario carcerario iraniano di nome Hamid Noury è stato arrestato appena arrivato in Svezia per una visita. È stato incriminato per crimini di guerra per aver partecipato al massacro del 1988 alla fine della guerra Iran-Iraq, durata otto anni. Noury è stato condannato all’ergastolo lo scorso luglio.

 

Il mese successivo, i sopravvissuti al massacro del 1988 e i parenti delle vittime hanno avviato una causa contro Ebrahim Raisi presso il tribunale federale degli Stati Uniti. La richiesta è stata accettata dal Distretto meridionale di New York e, sebbene sia ancora da stabilire se vi sarà un processo, rappresenta già un importante e raro riconoscimento della criminale storia di Raisi.

 

Il governo degli Stati Uniti non dovrebbe trascurare il “background” di Raisi nel concedergli il visto per recarsi a New York in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questo e il rilascio di Assadi rischiano di inviare a Teheran un segnale opposto alla condanna di Noury e alla citazione di Raisi come imputato in un’importante causa civile.

 

Entrambi i gesti rafforzerebbero ulteriormente quel senso di impunità predominante nel regime di Teheran, in un momento in cui la presidenza di Raisi lo rende ancora più pericoloso per il mondo.

 

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