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Inondare la piazza pubblica con una dose sufficiente di notizie spazzatura e di teorie del complotto è utile a distrarre i cittadini dalla reale portata dell’azione di Governo

 

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A cura di Paolo Costanzo, economista e autore

del libro pubblicato da Bookabook “Italia al bivio”
 

La “liberaldemocrazia” è un’elaborazione teorico-politica di alcuni pensatori liberali e progressisti dell’Ottocento particolarmente attenti all’incontro dell’ideale della libertà con quello della democrazia e all’esigenza dell’allargamento della giustizia sociale. Liberalismo e democrazia formano un insieme interdipendente e sono basati su differenti principi e istituzioni. La democrazia si riferisce al governo del popolo, che si concretizza in periodiche elezioni multipartitiche libere ed eque, basate sul suffragio universale. Il liberalismo si riferisce allo Stato di diritto, un sistema di regole formali che limitano i poteri dell’esecutivo, anche se quell’esecutivo viene democraticamente legittimato tramite un’elezione. Le istituzioni liberali proteggono il processo democratico ponendo limiti al potere esecutivo; qualora venissero erose, è la democrazia stessa a finire sotto attacco. I risultati elettorali possono poi essere manipolati con l’alterazione dei distretti elettorali o delle regole di ammissione dei votanti, o con false accuse di frode elettorale.

 

Bendetto Croce, nel 1932, in un momento buio per il nostro Paese, affermò che “L’ideale democratico si innesta su quello liberale. Ciò implica il riconoscimento di snodi interni alla macchina dello Stato, snodi diretti a salvaguardare i diritti e le libertà, contro l’atteggiamento assolutistico del potere assoluto”.  I leader sovranisti e populisti non hanno mai amato i sistemi di controllo e i contrappesi che, in una moderna democrazia liberale, limitano il potere dell’esecutivo. Ne sono la dimostrazione le notizie spazzatura e le teorie del complotto, volte a denigrare le Istituzioni, che inondano la piazza pubblica in occasione dei rilievi che una qualsiasi autorità indipendente, nello svolgimento del proprio ruolo, formula al Governo del Paese.

 

Vediamo alcuni esempi. In occasione dell’audizione alla Camera, Banca d’Italia ha sollevato critiche ad alcune delle misure contenute nella manovra di bilancio. La retorica populista di Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, braccio destro della premier nonché responsabile del programma di Fratelli d’Italia, non si è fatta attendere. A suo parere, essendo Bankitalia “…partecipata da banche private”, evidentemente “reputa più opportuno che i cittadini si avvalgano di una moneta privata del circuito bancario”. Non è la prima volta che la narrazione populista fondi sull’inganno il proprio racconto. Infatti, già in diverse circostanze le forze populiste hanno affermato che Banca d’Italia, nell’ambito delle politiche liberiste, è stata privatizzata a beneficio degli interessi della finanza privata. In realtà, come si legge anche dal sito della stessa Istituzione, “Banca d’Italia è la Banca Centrale della Repubblica italiana; è un istituto di diritto pubblico, regolato da norme nazionali ed europee”. Per ragioni storiche che risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, le quote del capitale sono detenute al 95% da banche e assicurazioni private, ma la governance e la quota di partecipazione agli utili neutralizzano l’interesse privato. Infatti, il diritto dell’assemblea dei partecipanti è quello di nominare il Consiglio superiore della banca, il quale ha compiti di amministrazione e vigilanza interna alla stessa e di nominare, su proposta del Governatore, il direttore generale e i vicedirettori generali di Banca d’Italia, che sono membri del direttorio. Il Governatore, che sceglie gli altri membri del direttorio, è nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, sentito il parere del Consiglio superiore della banca. Per quanto riguarda i profitti, l’art. 38 dello Statuto prevede che l’utile netto sia destinato fino a un massimo del 20% a riserva legale, fino a un massimo del 20% a riserva straordinaria o a fondi speciali, fino a un massimo del 6% ai partecipanti (le Banche Private), e che il resto vada allo Stato. A distanza di qualche settimana, anche il Ministro Crosetto è intervenuto giudicando inopportuna la politica monetaria adottata dalla Banca Centrale Europea. Evidentemente gli sfugge che la BCE debba operare in assoluta autonomia rispetto alle esigenze dei singoli Stati, così come sancito dall’art. 130 del TFUE, come del resto gli sfugge che l’art. 127 dello stesso trattato fissa come obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) la stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Ma quali sono le reali ragioni della polemica del Ministro? In un Paese con i fondamentali Macroeconomici in ordine, se il differenziale fra il tasso di crescita del PIL e il costo medio del debito è positivo, il debito tende a ridursi. L’alternativa è quella di sottrarre risorse dal ciclo economico per permettere un alto avanzo primario (differenza fra entrate e uscite al netto della spesa per interessi), ma non può essere continuamente protratta perché se da un lato paga politicamente nel breve periodo, dall’altro non permette di avviare un percorso di crescita. Che i tassi d’interesse dovessero risalire da livelli sia nominali che reali negativi, era inevitabile, come è inevitabile che la politica monetaria persegua la stabilità dei prezzi in presenza di un tasso di inflazione elevato. Infatti, dato che i prezzi che crescono di più sono quelli dei beni di cui non si può fare a meno, l’inflazione agisce come un Robin Hood al contrario che toglie molto di più ai poveri che ai ricchi. È evidente che le reali ragioni dell’invettiva del Ministro sono solo quelle di spostare l’attenzione e attribuire ad altri la responsabilità circa la mancata adozione delle promesse elettorali.
 

Ci aspettiamo che saranno diverse le occasioni in cui il Governo riproporrà fake news e accuse di complottismo per giustificare le irrealizzabili promesse elettorali con le quali hanno ingannato gli italiani. Quando era all’opposizione, in un intervento alla Camera del 2014, l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri, eccepì dubbi circa la titolarità dell’Oro di Banca d’Italia e rivendicò la necessità che fosse depositato all’interno dei confini nazionali. Nel marzo del 2019, ad una precisazione del Governatore, Giorgia Meloni replicò dicendo che “Il governatore Visco sostiene che le riserve auree italiane sono di proprietà di Bankitalia. Non si è fatto sfuggire l’occasione dopo che qualche giorno fa il premier Conte aveva incredibilmente sostenuto questa assurdità rispondendo in Parlamento a un quesito di Fratelli d’Italia. L’oro è degli italiani, non dei banchieri. Siamo pronti a dare battaglia in Italia ogni sede e a portare gli Italiani in piazza se sarà necessario”.

 

In realtà, le riserve ufficiali del Paese, detenute dalla Banca d’Italia, sono costituite dall’oro e dalle attività in valuta estera verso non residenti nell’area dell’euro. Il patrimonio di Banca d’Italia, al 31 dicembre 2021, si componeva, tra gli altri, di 2450 tonnellate circa d’oro, valorizzato nel bilancio dell’Istituto per 127 mld di euro circa. Per ragioni di carattere economico e quindi per permetterne la negoziazione senza che ciò comporti costi di trasferimento, ecc., le riserve vengono depositate, oltre che in Italia anche nei principali mercati di negoziazione.

 

Immaginiamo che la fake news diffusa dall’attuale Primo Ministro non possa essere riproposta dato che si rileverebbe un vero boomerang per l’attuale esecutivo, anche tenuto conto della circostanza che Banca d’Italia e i suoi asset sono un patrimonio del Paese.

 

Non poteva mancare nella disanima delle fake news il Mes, un acronimo indigesto per i sovranisti e populisti che, a causa delle balle raccontate in questi anni, vedono l’Italia l’unico paese dell’Ue a non aver ancora ratificato il trattato. In una recente intervista rilasciata al Sole 24 ore, Tremonti, attuale Presidente della commissione Affari esteri ed europei della Camera, ha affermato che “Il Mes è in un certo senso come un’automobile. Un’automobile è utile e positiva se viene utilizzata per andare al lavoro, lo diventa meno se è usata per fare una rapina”. Sembrerebbe quindi che ci sia stato un ripensamento da parte dell’attuale esecutivo, o meglio ancora un bagno di realismo, che comporterà la ratifica del trattato non prima però di aver trovato una giustificazione da vendere agli italiani. Sarebbe opportuno anche che si accedesse alla linea di credito sanitaria del MES che ci permetterebbe di effettuare gli opportuni investimenti nella Sanità Pubblica, date le carenze emerse in occasione dell’emergenza sanitaria. A maggior ragione in un momento storico di rialzo dei tassi che si contrappongono allo 0,08% previsto dalla linea di credito sanitaria.

Le complessità che caratterizzano l’attuale momento storico non ci consentono ulteriori passi falsi e perdite di tempo le cui conseguenze ricadrebbero in maniera seria e dolorosa sui cittadini e sulle future generazioni. L’auspicio è che i partiti, a maggior ragione quelli che hanno responsabilità di governo, archivino la stagione del complottismo e delle notizie spazzatura che hanno la capacità di distrarre i cittadini dalla reale portata dei problemi e si concentrino sulla realtà, provando a fare del pragmatismo europeista la spina dorsale di una nuova stagione auspicabilmente irreversibile: quella dei doveri e della responsabilità. I cittadini britannici oggi stanno scontando gli effetti delle false promesse che hanno condotto alla Brexit e, al di là dell’Atlantico, l’assalto ai palazzi del potere in Brasile dell’8 gennaio 2023 dimostra quanto le rivoluzioni antidemocratiche possano essere contagiose date le simmetrie con quanto accaduto il 6 gennaio 2021 al Congresso americano.  Ciò dovrebbe suggerire, in particolare a chi ha responsabilità di Governo, di non mostrare alcuna ambiguità nel condannare i fatti come quelli registrati in Brasile. Certo, significherebbe riconoscere gli errori commessi in un passato recentissimo compresi quelli di far parte dell’asse “Bannon” che partiva da Trump, passava da Bolsonaro e arrivava fino a Putin.

 

Paolo Costanzo affronta alcuni di questi temi centrali nel dibattito pubblico italiano nel suo nuovo saggio Italia al bivio. Benessere diffuso o declino? edito da Bookabook disponibile in libreria e acquistabile anche sui principali store online.
 

Paolo Costanzo, socio fondatore di Costanzo & Associati, è Dottore Commercialista, Economista e Coordinatore del Gruppo Milanese di +Europa. Specializzato in corporate governance, operazioni di finanza straordinaria e di risanamento aziendale, è autore di numerose pubblicazioni in tema di informativa societaria, corporate governance, diritto societario e reddito di impresa. Ha inoltre collaborato alla stesura della relazione al Disegno di Legge Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale nazionale nel 2004.

www.paolocostanzo.eu

 

Come tutti i libri di Bookabook, Italia al bivio. Benessere diffuso o declino?  è stato scelto con cura, due volte. La prima dagli editor della casa editrice, che hanno dato un giudizio professionale sulla qualità dell’opera; la seconda dai lettori che hanno sostenuto il libro pre-ordinandolo dopo aver letto l’anteprima e diventandone, in questo modo, gli editori morali.

www.bookabook.it

 

Scheda Libro

Titolo: Italia al bivio. Benessere diffuso o declino?

Autore: Paolo Costanzo

Casa Editrice: Bookabook

Pagine: 295

Prezzo: 15,00 € (cartaceo); 6,99 € (eBook)

In libreria e in formato eBook

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