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Intervista della scrittrice Loredana Zino alla giornalista Bianca Fasano. I perché di una vita dedicata all’arte.

 

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Ciao Bianca, grazie per avermi concesso questa intervista.

Ti conosco da tantissimi anni, dal 1996, quando presiedevi al primo premio “PARMENIDE” DI POESIA, NARRATIVA SAGGISTICA e parapsicologia”.

D): Come nacque questa iniziativa?

R): Si trattava di una “costola” della “Accademia dei Parmenidei”, nata nel 1995, che fu voluta da me e dagli altri soci fondatori, sia Cilentani sia provenienti da altre terre, avendo compreso la necessità di creare, in un mondo sempre più pressato dal contingente e dalle piccole grandi noie del quotidiano, un’occasione di riflessione, di aggregazione delle forze positive, di crescita spirituale e materiale e in senso lato una palestra di lavoro per quanti desiderino contribuire al miglioramento sociale, culturale e quindi economico della splendida area mediterranea denominata Cilento.

D): Nel tuo racconto “Ricordi di una scrittrice”, affronti la storia autobiografica di una bambina, iscritta ad una scuola d’arte, che stupisce l’insegnante rivelando di voler diventare una scrittrice. In realtà, il tuo percorso con la pittura viaggia parallelo, o uno sovrasta l’altro?

R): Scrivere è nato con me, ovviamente si è sviluppato all’età in cui ho appreso a farlo. Pochi anni dopo ho appreso a dipingere, “nipote d’arte”: Carmine Moriniello, pittore sociale, era mio zio. La scrittura ha sovrastato la pittura quando mi sono resa conto che, per “provare a migliorare il mondo”, scrivere era più utile.

D): Tu sei una giornalista impegnata a fondo nel sociale, hai collaborato con diverse testate. Ci puoi dire come è nata questa attività?

R): Nel Cilento, dove mi trovai a vivere, per rispondere alla necessità di far crescere il territorio e aiutare gli esseri umani. Un esempio? L’Alento, il fiume del Cilento, “ci entrava in casa”. Velia (la terra di Parmenide), aveva bisogno di un parco archeologico per proteggerne i ricordi. Il Cilento, per essere in qualche modo “difeso”, anche dall’abusivismo edilizio, di un Parco Nazionale. Il territorio, per essere percorso, di una rete stradale. E tanto altro. Scrivere sui giornali e portare all’attenzione le problematiche poteva essere utile.

D): Tornando alla pittura, come convivono in una persona come te linguaggi così diversi?

R): La mia pittura è nata come “Pittura sociale”. I miei primi temi: la contestazione operaia, i contrasti e le problematiche razziali, la sofferenza umana, la ricerca psicologica nei ritratti. Inserendo questi problemi sociali negli articoli e negli scritti di altro tipo, è restata libera l’interpretazione cromatica, la bellezza, l’inventiva e la copia dai grandi del passato: Raffaello, Michelangelo, Dalì e Hayez.

D): Esperta di grafologia e fisiognomica. In quali ambiti eserciti queste conoscenze, e come sei arrivata a questi interessi?

R): Lo studio della grafologia e di ogni cosa poteva essermi utile alla comprensione dell’essere umano, mi ha sempre accompagnata. Ho usato la conoscenza anche per essere un’insegnante migliore. Ho scritto e pubblicato libri per insegnare grafologia e “comunicazione non verbale”, oltre ad aiutare gli esseri umani a difendersi dalla bugia (dirle e caderci) e dalla tendenza a costruirsi gabbie.

D): La sfera del paranormale occupa un posto importante nel tuo significato di vita e di ricerca. Vuoi parlarcene?

R): Complesso. Sensitivi si nasce. Percepire presenze, intuire il futuro, significa anche essere ipersensibili. Studiare la parapsicologia e scriverne può essere utile a chiarirsi le idee in proposito e tentarne di fornirne un quadro ad altri, può evitare che si cada in ottiche aberranti, che spesso compromettono un minimo di veridicità in merito. Il mio “Voci dal passato” è un tentativo in tal senso.

D): Nel tuo libro “Jessica Smith Association for revival and reliance. Risveglio (Idea da un fatto di cronaca)”, tratti con grande accuratezza e notevole fantasia il tema dell’ibernazione. Carla, la protagonista del romanzo di genere fantascientifico, è una Rebirth sedicenne che si risveglia in un’epoca sconosciuta, senza memoria del suo passato e dei suoi legami, ormai trapassati da tempo. Nel romanzo descrivi nei minimi particolari l’intera organizzazione di una società futura, le strutture sociali e familiari, perfino il tipo di alimentazione, inserendo il lettore, gradualmente, in quell’atmosfera così diversa da tutto ciò che si conosce. Come ti è nato l’interesse per questo argomento?

R): Da un fatto di cronaca: Al momento in cui lessi la storia vera ( Roma, 18 novembre 2016), che si nasconde dietro questo scritto, restai fortemente impressionata sentendomi molto vicina sia alla sofferenza della ragazzina (un’adolescente britannica ammalata di cancro, che ovviamente, desiderava vivere), che a quella dei genitori.

La madre era decisa ad aiutare la figlia nel desiderio di speranza che poteva darle l’ibernazione dopo il suo decesso, ma il padre non era d’accordo, per cui alla fine la ragazza ottenne dai giudici il via libera per essere ibernata (tra l’altro con un alto costo), nella speranza di essere un giorno “risvegliata” e guarita con nuove cure. Il corpo della quattordicenne fu trasportato negli USA e congelato tramite “criogenesi”. Da un racconto (molto seguito), è venuto poi fuori un romanzo. Per scriverlo ho dovuto studiare e sviluppare dalla realtà presente un futuro “possibile”.

D): Come definiresti la tua missione, se ritieni di averne una?

R): Probabilmente ciascuno di noi ne ha una, anche senza saperlo. La mia? Se c’è, è il tentativo di diffondere un sapere che non resti sterile cultura nozionistica e aiuti l’essere umano ad “esserci”. Amo la concezione di Heidegger che definisce “l’uomo come gettato nel mondo, ovvero in una situazione esistenziale che non ha scelto, non ha programmato egli stesso”.

D): Scrivere è terapeutico?

R): Ritengo proprio di sì. Lo consiglio. Molti dei miei scritti mi hanno aiutata in momenti davvero difficili della mia vita.

D): Quali sono i tuoi sogni, i tuoi progetti da qui, diciamo, a dieci anni?

R): A settantatre anni? Non guardo troppo lontano. Mi sveglio e affronto la mia giornata lasciando un altro piccolo seme, sperando che divenga una piantina viva. Come questa intervista, nata da una conoscenza reciproca e positiva.

D): Il libro che non hai ancora scritto?

R): Davvero ne ho scritti tanti. Non immaginavo. Da domani leggerò, di Massimo Teodorani “Entanglement. L’intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza”, su consiglio di mio fratello Vincenzo Fasano, ottantatre anni, scacchista e studioso. Ho la sensazione che la meccanica quantistica, che intendo studiare, possa rispondere anche alle mie domande di parapsicologia, laddove la scienza positivista si arena. Vedremo. Forse ne nascerà un libro.

D): Il libro di un autore o autrice che ti ha ispirato di più?

R): Difficile. Tanti letti e tanti amati. Forse D’Annunzio: “L’innocente”. Forse di Pirandello “Uno nessuno e centomila”, “Il fu Mattia Pascal”, ma anche “Il berretto a sonagli”. Tutto Pirandello insegna. I libri, insegnano. Tutti.

D): Ci parli dei tuoi libri, indicando dove li possiamo trovare?

R): Me lo chiedevano sottilmente ironici, tanti in passato. La scusa di non trovarli per non comprarli? Non ne potevo proprio più. Invece ora è semplice: Bianca Fasano su Google. Escono: in ebook e cartacei, gratuiti, anche.

D): Domanda fantasy, se ti va di giocare un poco. Immagina che dalla tua mente ora nasca un personaggio, maschile o femminile, reale o immaginario, che concluda con una frase la nostra intervista. Cosa direbbe?

R): Reale. Giuseppe Giusti: “Il fare un libro è men che niente se il libro fatto non rifà la gente”.

Loredana Zino

 

 

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