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Iraq: Save the Children, a 20 anni dall’invasione guidata dagli Stati Uniti, i bambini e le donne dimenticati dell’Iraq lottano per ricostruire le loro vite

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Con l’emergere di crisi in altri Paesi della regione, i finanziamenti internazionali per l’assistenza umanitaria in Iraq sono diminuiti e si prevede un ulteriore calo nei prossimi anni.

Save the Children lavora in Iraq dal 1991 e sta attuando più di 15 progetti in 8 governatorati per fornire protezione e assistenza alle famiglie colpite dal conflitto.

 

In Iraq, 20 anni dopo l’invasione del Paese guidata dagli Statu Uniti, circa 1,2 milioni di persone sono sfollate interne, con un accesso limitato all’istruzione e all’assistenza sanitaria, e alcuni bambini sono costretti a lavorare per strada per sopravvivere. Questo l’allarme lanciato da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro.

Molte persone hanno perso le loro case o temono di tornare nelle loro città d’origine, a causa delle continue tensioni e della presenza sul territorio di ordigni esplosivi, mentre il conflitto e le crisi climatiche come inondazioni, aumento delle temperature, siccità e tempeste di sabbia, hanno distrutto i loro mezzi di sussistenza.

Manar* ha sette figli di età compresa tra 1 e 13 anni. Quattro dei suoi figli sono nati in una tenda in un campo di sfollati a Duhok, nel nord-ovest dell’Iraq, dove la famiglia vive da sette anni. Manar* proviene da un villaggio di Sinjar, a circa 180 km di distanza, che è stato prima conquistato dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) e poi distrutto dagli attacchi aerei. “Ci sono state tante volte in cui i miei figli mi chiedevano giocattoli o cibo, e io piangevo perché non potevamo permettercelo. Mi è stata diagnosticata una malattia al seno e i medici mi hanno consigliato di non allattare i miei figli, ma io continuo a farlo perché non posso permettermi il latte in polvere. A causa di tutto ciò, anche le mie figlie si sono ammalate”, ha detto Manar*, che è riuscita ad aprire il suo negozio di abbigliamento nel campo grazie a una sovvenzione di Save the Children, ma ha detto che spera di lasciare il campo un giorno.  

“È molto difficile vivere qui, in queste condizioni. Sono preoccupata per la loro sicurezza e per il fatto di non poterli sfamare, ma sono contenta perché oggi per la prima volta ho potuto dare a uno dei miei figli dei soldi per comprare dei dolci. Nonostante le cattive condizioni qui, ci sentiamo più sicuri che a Sinjar. Nella mia città ci sono molti gruppi armati. Non sappiamo chi siano e da dove vengano”.

Circa il 50% di tutti gli sfollati interni in Iraq si trova nei governatorati di Dohuk e Ninewa e le Nazioni Unite affermano che lo sfollamento prolungato in Iraq non sembra avvicinarsi ad una soluzione: 4,1 milioni di persone hanno ancora bisogno di assistenza umanitaria – circa il 10% della popolazione.  Secondo le Nazioni Unite, quasi un terzo dei 42 milioni di iracheni vive in condizioni di povertà.

La lenta ripresa economica post-bellica spinge le famiglie a ricorrere al lavoro minorile, poiché sono a corto di opzioni per soddisfare i bisogni di base, compromettendo l’istruzione e i diritti fondamentali dei bambini.

Zeinab*, 14 anni, è fuggita dalla sua casa a Mosul e ora vive a Kirkuk. Ha quattro fratelli, ma solo uno di loro frequenta la scuola: “Io e i miei fratelli dobbiamo lavorare per coprire le nostre spese, compresa la frequenza scolastica. Mio fratello di 10 anni vende pacchetti di fazzoletti per strada per poter andare a scuola, anche se sappiamo che il commercio ambulante è pericoloso”.

 Altri bambini intervistati da Save the Children hanno citato la distanza da casa a scuola o la mancanza di sicurezza sulla strada come motivi per non frequentare le lezioni. I bambini che non hanno un’istruzione sono più vulnerabili al lavoro minorile e al matrimonio infantile. 

I 20 anni di insicurezza e le limitate opportunità economiche hanno avuto un pesante impatto anche sulle donne irachene. 

Lama*, 27 anni, madre di tre figli yazidi di Sinjar, è la principale fonte di reddito della sua famiglia. È stata rapita dall’ISIL all’età di 18 anni.  Circa 400.000 yazidi – una minoranza etnica e religiosa – sono stati catturati, uccisi o costretti a fuggire dalla loro patria ancestrale di Sinjar nell’agosto 2014, dopo che l’ISIL ha attraversato il confine dalla Siria. Fino a 3.000 donne e ragazze sono state rapite e vittime di stupri e altre forme di violenza sessuale. Molte sono ancora disperse. 

Durante i 12 giorni in cui è stata tenuta prigioniera, Lama* ha assistito all’uccisione di bambini e uomini e, una volta liberata, è stata sfollata più volte e non ha potuto tornare al suo villaggio. “Tutto è ancora impigliato nella mia memoria. Quando chiudo gli occhi, vedo cose orribili. Le vedo nei miei sogni. Abbiamo affrontato le forme più dure di tortura. Ho ancora attacchi d’ansia, soffro di depressione e di mancanza di autostima. Durante lo sfollamento abbiamo affrontato molte difficoltà, soprattutto legate alle condizioni di vita nei campi. Non avevamo cibo e acqua, molti bambini e anziani sono morti di sete e di fame. Le donne e i bambini sono stati i più colpiti dalla crisi. Molte delle donne e delle ragazze sfollate con me sono state rapite, torturate o hanno subito violenze sessuali”.

Save the Children ha aiutato Lama* ad aprire un salone di parrucchiere a Sinjar. Suo marito non è riuscito a trovare un lavoro e la loro famiglia sta ancora affrontando problemi economici.  

Con l’emergere di crisi in altri Paesi della regione, i finanziamenti internazionali per l’assistenza umanitaria in Iraq sono diminuiti e si prevede un ulteriore calo nei prossimi anni. 

Il Piano di risposta umanitaria per l’Iraq del 2021 ha ricevuto solo il 63% dei 607,2 milioni richiesti e il livello di finanziamento per il Piano di risposta umanitaria del 2022 ha raggiunto a malapena il 67% alla fine di dicembre 2022.

“Il mondo si è dimenticato dei bambini iracheni. Abbiamo assistito a un calo dei finanziamenti umanitari in Iraq e temiamo che con lo spostamento dell’attenzione umanitaria su altre crisi, come l’Ucraina e i recenti terremoti in Siria e in Turchia, le famiglie vulnerabili sfollate nel Paese continueranno a soffrire”, ha dichiarato Sarra Ghazi, Direttore di Save the Children Iraq.

“Le donne e i bambini iracheni hanno dimostrato una notevole capacità di recupero, ma c’è ancora molto da fare perché possano ritrovare un senso di sicurezza e speranza. Gran parte delle infrastrutture del Paese sono ancora danneggiate o distrutte e centinaia di migliaia di bambini hanno bisogno di assistenza per accedere alle cure mediche di base. La coesione e l’inclusione sociale devono essere parti fondamentali del processo di costruzione della pace in Iraq; dobbiamo imparare dal passato e garantire che gli attuali sforzi di ricostruzione siano duraturi e che i bambini e le donne abbiano un ruolo centrale nella ripresa dell’Iraq” ha concluso Sarra Ghazi.

Save the Children lavora in Iraq dal 1991 e sta attuando più di 15 progetti in 8 governatorati per fornire protezione e assistenza alle famiglie colpite dal conflitto, fornendo loro protezione, istruzione, acqua e dei servizi igienici, mezzi di sussistenza e supporto psicosociale.

 

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