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Una istituzione che venne giudicata inutile

di Francesco S. Amoroso

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Il teatro è cultura, è luogo sociale, e il nostro Paese vanta una importante tradizione teatrale le cui origini risalgono all’antica Roma, e precisamente alla Magna Grecia; la sua funzione era quella di istruire il popolo.

Per questo motivo nel 1942 con la Legge n. 365/1942 fu istituito l’Ente teatrale italiano (ETI) per promuovere le attività teatrali e di pubblico spettacolo.

All’atto della istituzione il suo capitale fu costituito dalle partecipazioni di INPS, INAIL, INA, Banca Nazionale del Lavoro, Ente italiano per gli scambi teatrali con l’estero.

Organi dell’ETI erano il consiglio di amministrazione e il collegio dei revisori dei conti.

L’ETI continuò poi a svolgere la propria attività anche nell’Italia repubblicana contribuendo a ricostruire il tessuto teatrale del Paese d’intesa con gli enti locali e con i privati.

Nel 1978, con un successivo intervento normativo, la legge n. 836 (di riordinamento dell’Ente) ne ridefinì le competenze e, in particolare, il ruolo di coordinamento sul piano nazionale della circolazione dei complessi teatrali, di coordinamento e gestione delle attività teatrali nell’Italia meridionale ed insulare, di promozione di iniziative teatrali italiane all’estero, di iniziative straniere in Italia, e infine di programmazione di sale teatrali, anche tramite la gestione diretta di esercizi teatrali di proprietà o in uso in base ad accordi o convenzioni con enti, organismi ed imprese. L’ETI acquisì così la proprietà dei Teatri Valle a Roma, della Pergola a Firenze, e assunse la gestione diretta di spazi come il San Ferdinando di Napoli, il Duse di Bologna, il Quirino di Roma e il Piccinni di Bari.

Alla produzione dei teatri si affiancava la redazione di una testata editoriale e l’organizzazione di festival e rassegne.

L’Ente venne commissariato nel 2000 e, successivamente venne riorganizzato.

Contava allora 173 dipendenti e usufruiva di un finanziamento pubblico di 12 milioni di euro. Secondo dati dell’ETI a quel tempo meno del 40% delle entrate venivano utilizzate per il personale, il 6% era destinato al funzionamento, e più del 40% veniva invece investito nelle attività di pertinenza quali: progetti internazionali per favorire la circolazione degli artisti italiani nel mondo, per costruire reti a livello europeo con gli altri Paesi, e progetti sulla danza.

L’Ente insomma era un centro propulsivo determinante, un nodo nevralgico per tutta una rete di meccanismi nazionali e internazionali imprescindibili per il quotidiano svolgimento dell’attività artistica in Italia.

Sconsideratamente il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 sancì la soppressione dell’Ente giudicandolo inutile. E così venne dismesso. Da quel momento le relative funzioni furono trasferite alla Direzione generale Spettacolo del Ministero della Cultura che ne ereditò alcune competenze.

Tanto è che le motivazioni economiche che furono addotte alla base della decisione di soppressione non convinsero i lavoratori dell’Ente che evidenziarono allora un risparmio di soli 160.000 euro a fronte di una manovra complessiva che ammontava a 25 miliardi.

È invece più probabile che alla base della decisione di soppressione vi sia stata la seguente motivazione: l’allontanamento del pubblico dal teatro, una tendenza evidente se confrontata con il consumo di altre forme di intrattenimento, come il cinema e la televisione che hanno sottratto pubblico al teatro fin quasi a soppiantarlo.

Purtroppo in Italia, per quanto riguarda il settore culturale, mala tempora currunt.

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