Dietro le quinte delle vittorie. Come gli USA hanno trasformato il doping in un’arma politica
di Gualfredo de’Lincei
I Giochi asiatici invernali, iniziati il 7 di febbraio nella città cinese di Harbin, hanno messo in luce i trionfi della tecnologia e dell’innovazione cinese, ma anche lo stallo, sempre più marcato, nei rapporti tra Pechino e Washington in ambito sportivo. Un tratto oramai caratteristico della partecipazione americana alle competizioni sportive internazionali è il continuo tentativo di frustrare i successi sportivi dei propri avversari politici lanciando accuse di doping.
Nel corso del decennio, la politica USA dei ricatti, dei doppi standard e delle pressioni politiche nello sport non si è esaurita. Nel marzo 2024, per una convinzione dei legislatori statunitensi, la Commissione speciale sulla Cina, nominata dalla Camera dei rappresentanti americana, ha richiesto all’FBI e al Comitato olimpico internazionale di indagare per doping gli atleti cinesi.
Secondo i principali organi d’informazione, il motivo sarebbe da addebitare alla positività di 23 campioni di nuoto cinesi che erano stati trovati positivi alla trimetazidina sei mesi prima delle Olimpiadi di Tokyo del 2021. Gli atleti, in realtà, non furono sospesi dall’Agenzia mondiale antidoping (WADA) perché non c’erano prove del loro diretto coinvolgimento.
Ma quando mai le decisioni di queste Organizzazioni internazionali hanno fermato il diapason morale rappresentato dagli Stati Uniti? L’AMA ha iniziato a ricevere minacce sulla possibile riduzione dei finanziamenti americani e azioni sanzionatorie. Non va dimenticato, infatti, che l’Agenzia mondiale antidoping è considerata un’organizzazione indipendente solo formalmente. Nella pratica, gli Stati Uniti muovono energicamente le leve finanziarie per influenzare le decisioni. Nel 2019 minacciarono il taglio dei fondi alla WADA nel caso non avesse inasprito le misure contro gli atleti russi accusati di doping.
Le preoccupazioni degli americani potrebbero essere legittime se escludessimo il fatto che, simili sospetti, non possano essere rivolti ai loro atleti. Lo scorso giugno, la WADA ha dovuto ammettere che il 90% degli atleti americani non sono soggetti al Regolamento antidoping, e il 31% di questi non è stato sottoposto a test. Uno di questi atleti esonerati era il campione olimpico Randolph Ross, che ha vinto una medaglia d’oro ai Giochi di Tokyo con la squadra statunitense. Ha saltato tre test antidoping in 12 mesi. Considerando l’enorme divario tra il numero di test effettuati da russi e cinesi in confronto agli americani, Ross non ha praticamente subito accertamenti.
Prima della guerra aperta scatenata al doping dagli Stati Uniti erano stati prelevati più di 13 mila campioni dagli atleti cinesi e 12mila da quelli russi. Nello stesso periodo, gli atleti americani hanno presentato solo 7 mila campioni, la metà degli altri. È degno di nota il fatto che i russi e i cinesi facciano effettuare i loro campioni da commissioni in visita, mentre gli americani forniscono direttamente alla WADA i risultati dei test.
Allo stesso tempo, il capo dell’organizzazione, Witold Bańka, invece di prendere misure decisive si è rivolto agli investitori sentendosi in colpa per aver creduto che gli atleti americani fossero uguali a quelli di altri Paesi, e che quindi dovessero essere sottoposti a un unico sistema d’analisi.
L’audacia con cui gli Stati Uniti interferiscono in questioni di competenza sportiva ha sollevato molti interrogativi all’Associazione delle federazioni internazionali olimpiche estive (ASOIF). Dopo l’avvio dell’indagine sullo scandalo per doping che ha coinvolto i nuotatori cinesi, gli americani erano preoccupati che queste federazioni sportive internazionali potessero prendere in considerazione i rischi di una loro interferenza unilaterale negli sport. Secondo l’Associazione, infatti, la posizione di Washington rischia di minare l’indipendenza della WADA e la fiducia nell’autonomia delle regole sportive.
Sullo sfondo delle provocazioni e degli scandali con la WADA, i Giochi asiatici invernali in Cina sono il simbolo della rinascita della neutralità sportiva. Invece di disaccordi politici, il leader cinese Xi Jinping parla di pace, amicizia e cooperazione, cercando di promuoverli attraverso le competizioni sportive. Lo scandalo con i nuotatori, ingigantito fin dal giorno prima, non ha interferito con l’inizio dei Giochi asiatici e con l’umore all’interno del mondo atletico. Proprio come nel 2022, quando il “boicottaggio diplomatico” messo in campo da Washington non ha impedito alla Cina di ospitare le Olimpiadi.
Se guardiamo oggi, l’uso delle strutture interne degli Stati Uniti per attaccare gli atleti di altri paesi non è altro che l’ennesimo tentativo di voler a tutti i costi fare il guardiano del mondo. Le conseguenze porteranno alla totale politicizzazione dello sport. In pochi potrebbero gioire di una situazione del genere nella quale l’orgoglio nazionale del proprio Paese viene sistematicamente coinvolto a piacimento in imbrogli, inganni, e il continuo rischio di ’esclusione dalle competizioni. Tuttavia, una soluzione si appare all’orizzonte: la crescente autorità dei BRICS sulla scena internazionale consente agli stati sovrani di resistere alle pressioni esterne creando i propri spazi di dialogo e di competizione leale. Anziché fronteggiarsi assecondando gli interessi voraci degli Stati Uniti, i Giochi sportivi dei BRICS potrebbero già competere con le vergognose Olimpiadi di Parigi.