Premiazione dei progetti aziendali più inclusivi e presentazione del Diversity Brand Index 2025, unica ricerca italiana che misura la capacità delle marche di sviluppare una cultura attenta alla DEIA
IN UN CONTESTO SOCIOCULTURALE SEMPRE PIÙ POLARIZZATO, NEL 2025 ANCORA UN DELTA DEL +24% NELLA CRESCITA
DEI RICAVI PER I BRAND PIÙ VIRTUOSI E IMPEGNATI NELLA DEIA
La DEIA guida le scelte d’acquisto del 69.5% di consumatrici e consumatori distribuite
tra i cluster Impegnatə, Coinvoltə, Consapevoli, Tribali e Inconsapevoli, a fronte di un aumento
di +3,8 punti percentuali delle persone più ostili alle diversità, tra Arrabbiatə e Indifferenti
Mentre l’inclusione resta sempre determinante come driver di scelta per consumatrici e consumatori nei confronti dei brand – 7 persone su 10 scelgono con convinzione marche che parlano di inclusione e altrettante non consiglierebbero quelle percepite come non inclusive -, sul mercato si assiste a un effetto di polarizzazione, riflesso anche dell’attuale contesto socio-politico: da una parte il differenziale di crescita dei ricavi continua a salire a favore delle marche più virtuose e impegnate (+24% per i brand che lavorano con continuità sulla Diversity, Equity, Inclusion & Accessibility – DEIA – a livello B2C e +20,1% per quelle aziende che hanno iniziato più recentemente o con minore continuità) , dall’altra si registra un lieve aumento delle persone più ostili alle diversità (+3,8 p.p.).
A fronte di un percepito comune che in Italia molti brand siano impegnati sul tema (+65% quelli citati rispetto al 2023), si rileva una leggera decrescita delle forme di contatto e di coinvolgimento delle consumatrici e dei consumatori verso la DEIA, accanto a una sostanziale stabilità se non un lieve incremento nei livelli di familiarità, probabilmente per un senso di saturazione da una parte e di disillusione dall’altra, poiché si ritiene che se ne parli molto ma alla fine di concreto si faccia ancora poco (o si faccia male).
Questi alcuni dei principali risultati emersi dal Diversity Brand Index 2025, ideato e curato dalla Fondazione Diversity e Focus Mgmt, unica ricerca italiana volta a misurare la capacità delle marche di sviluppare con efficacia a livello B2C una cultura orientata alla DEIA. La ricerca, realizzata nel 2024, sarà presentata integralmente giovedì 20 febbraio 2025 nel corso dell’ottava edizione del Diversity Brand Summit – Iniziative che cambiano il mondo, unico evento in Italia che premia le iniziative aziendali più inclusive, in streaming dalle ore 16.30 su www.diversitybrandsummit.it (previa registrazione). Durante l’evento, verranno illustrati i 10 progetti più meritevoli realizzati dai brand nel 2024, valutati dal Comitato Scientifico e dal Security Check Committee e selezionati per la loro capacità di lavorare concretamente sulla DEIA, impattando anche sulla percezione di consumatrici e consumatori: ACE, Alexa, Fastweb, Ferrovie dello Stato Italiane, Idealista, Ikea, Nuvenia, Procter & Gamble, Sephora e TIM sono le marche che hanno presentato i progetti che compongono la Top 10 del Diversity Brand Index.
Nel corso dell’evento, condotto dalla Presidente di Fondazione Diversity Francesca Vecchioni e dal Chief Operating Officer di Focus Mgmt Emanuele Acconciamessa, patrocinato dal Comune di Milano e dall’Unione Europea e con la partnership di ExtraLab, saranno assegnati i Diversity Brand Awards a un vincitore assoluto (il brand che si è distinto per il miglior mix tra impegno intersezionale sulla DEIA rivolta al mercato finale, valutato dai Comitati, e percezioni di consumatrici e consumatori, rilevate attraverso la survey), a un vincitore digitale (il brand che ha utilizzato nel miglior modo la leva del digitale per fare inclusione, incontrando il riconoscimento sia del mercato e che dei Comitati) e alla marca che più di altre ha saputo costruire un’iniziativa accessibile (“Accessibilità – Design 4 All”).
Il claim scelto per l’edizione 2025 del Diversity Brand Summit è “No Doubt – Tutto quello che avreste voluto sapere sulla DEIA ma non avete mai osato chiedere” per rispondere a ogni dubbio sulla DEIA e come rapportarsi a essa in modo corretto ed efficace nel mercato; per questo è previsto in diretta un costante Q&A con alcune domande che arriveranno direttamente dal pubblico. In un contesto sempre più polarizzato, con mercati più esigenti e informati, si affronteranno le domande più urgenti: dai trend globali alle sfide sociopolitiche, fino alle reali esigenze del business. La DEIA non è più un’opzione, ma una leva strategica per l’innovazione e la crescita aziendale.
“Se in America colossi come Meta, Harley-Davidson, McDonald’s, Ford, Walmart hanno deciso di abbandonare le iniziative per la diversità e l’inclusione, in Europa il contesto è profondamente diverso, grazie anche a un quadro normativo che incentiva e tutela la DEIA come un asset fondamentale per la crescita economica, il benessere sociale e l’innovazione, come testimonia la promozione di policy come l’European Accessibility Act. D’altronde sono le nostre radici culturali: a differenza degli States, l’Unione europea si fonda proprio sul valore della diversità, tant’è che il suo motto recita ‘Unita nella diversità’” dichiara Francesca Vecchioni, Presidente di Fondazione Diversity. “In questo contesto sociopolitico così polarizzato, oggi più che mai le iniziative Diversity devono essere al centro delle mission e dei purpose aziendali e costantemente aggiornati: solo con una visione a lungo termine è possibile generare iniziative davvero efficaci ed evitare di creare l’effetto saturazione o di rigetto verso la cosiddetta cultura woke e il politically correct. Come emerge dai dati della ricerca di quest’anno, infatti, solo i brand capaci di creare un rapporto di fiducia coi propri clienti e costruire una reputazione solida e autorevole su questo fronte sanno fare davvero la differenza sul mercato, ancora di più in questo contesto, sia in termini di innovazione (disability drives innovation) che di competitività (diversity improves performance) guadagnandone anche in termini di ricavi”.
IL DIVERSITY BRAND INDEX 2025
I risultati del Diversity Brand Index 2025 partono da una survey web alla quale nel corso del 2024 ha risposto un campione statisticamente rappresentativo della popolazione italiana composto da 1.005 rispondenti, che hanno citato un numero di brand decisamente superiore rispetto al 2024 (488 contro i 295 del 2024, +65%, di cui 260 quelli emersi spontaneamente), il numero maggiore rilevato nel corso degli 8 anni della ricerca, dato che conferma la rilevanza numerica delle iniziative DEIA nel mercato e la sensibilità di consumatrici e consumatori
Complessivamente, i dati emersi confermano quanto le pratiche inclusive sui temi di genere, etnia, LGBT+, età, status socio-economico, disabilità, religione e credo e aspetto fisico (le 8 aree della diversity su cui si concentra la ricerca) impattino positivamente sulle aziende sia in termini di reputazione e di fiducia da parte del mercato che in termini economici, grazie al legame tra inclusione, NPS (Net Promoter Score, l’indicatore che misura il potenziale del brand in termini di passaparola) e crescita dei ricavi.
7 persone su 10 preferiscono o scelgono con convinzione aziende che parlano di inclusione (Net Promoter Score – NPS pari a +69,4%, -4,2 p.p. rispetto all’anno scorso) e di contro non consiglierebbero le marche percepite come non inclusive (-67,5%, +20 p.p.), mentre 3 su 10 non accettano nemmeno quelle “neutrali” e che non prendono posizione (-32%, +31,4 p.p. rispetto al 2024).
Un passaparola che determina ancora un differenziale nella crescita dei ricavi a favore dei brand ritenuti più inclusivi pari al 20,1% (-3,3 p.p. rispetto al 2024); un dato che si riallinea a quello del 2018 (20%) e di poco inferiore a quello del 2022 (21%). Va sottolineato che i brand sempre presenti nella TOP 10 a partire dal post-Covid con le loro iniziative DEIA registrano un delta nella crescita dei ricavi ancora superiore, pari al +24% (quindi con un ulteriore +4 p.p. rispetto allo media e +0,6 p.p. rispetto all’anno scorso), dato che segnala una tendenza alla polarizzazione fra brand protagonisti di iniziative realmente efficaci e brand che non affrontano in alcun modo il tema.
Cambia il profilo di consumatrici e consumatori, sebbene per il secondo anno consecutivo non si registri l’ingresso di nuovi cluster: decresce leggermente il numero di persone complessivamente più propense nei confronti dei brand percepiti come inclusivi, ora al 69,5% (-3,8 p.p. rispetto all’anno precedente, tornando pressoché al valore del 2023, quando era al 69,3%), mentre di contro risale la forma di negatività con il +3,9 p.p. delle persone Arrabbiate 2.0, l’unica categoria realmente negativa nei confronti della DEIA, che si attesta al 17,8% complessivo, e una leggera discesa delle persone Indifferenti (al 12,7%, -0,1 p.p.), tipicamente individualiste che mostrano disinteresse verso le tematiche della diversità e si dichiarano poco vicine/i ai temi della sostenibilità sia sociale che ambientale.
Il cluster più numeroso resta comunque saldamente quello delle/degli Impegnatə, con il 26,7% (-1,7 p.p.), mentre resta sul podio quello delle/dei Coinvoltə, che scendono al 13,9% (-1,3 p.p.). Pressoché stabili i Tribali all’11,1% (-0,1 p.p.), persone caratterizzate da un atteggiamento collettivista e da un’attenzione ai temi della DEIA, soprattutto LGBT+, solo se coinvolgono il proprio nucleo familiare, poco vicine ai temi della sostenibilità etica e ambientale. Sale invece il gruppo delle persone Consapevoli, al 10,4% (+1,6 p.p.), persone con un alto contatto con la DEIA, ma che non si sentono direttamente coinvoltə, superando le/gli Inconsapevoli, in discesa al 7,3% (-2,4 p.p.), coloro che non hanno ancora nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con la diversità, ma di base propensi, comunque, verso la collettività.
Rispetto al 2024, si rileva un lieve miglioramento (o stabilità) dei livelli di familiarità verso la maggior parte dei temi della diversità (lieve diminuzione solo nei confronti del genere).
Per quanto riguarda il livello di contatto, si registra un peggioramento in tutte le forme di diversità: per alcune (genere e LGBT+) è lieve mentre per altre (status socio-economico o aspetto fisico) è più marcato.
Ancora più sensibile la decrescita di tutti i livelli di coinvolgimento, soprattutto per la diversità di genere, etnica, quella relativa alla disabilità e all’aspetto fisico.
Dati che indicano un generale rischio “disillusione” verso le tematiche DEIA, ma con importanti differenze generazionali: la Gen Z risulta infatti essere molto sensibile alla DEIA e penalizzante verso i brand non inclusivi; meno severe ma simili alla Gen Z le persone Millennials, mentre Gen X e Boomer hanno meno familiarità e contatto con le tematiche e si sentono meno coinvoltə.
Analizzando la profilazione dei due gruppi più estremi, il cluster delle persone Impegnate è equamente distribuito tra donne e uomini, con una leggera prevalenza di questi ultimi (51,7%), con un’età compresa tra i 35 e i 54 anni (53,6%), ma con una percentuale significativa (11,8%) di individui tra i 18 e i 24 anni; le generazioni più rappresentate infatti sono i Millennials e la Generazione X, ma con una quota importante di Generazione Z. Circa tre quarti di essi percepisce un reddito lordo inferiore ai 50mila euro. In termini di area geografica, vi è una netta predominanza dell’area Sud e Isole (quasi la metà del cluster, 45,5%). Il 36,9% di loro ha conseguito una laurea (sia di primo che di secondo livello).
Il cluster delle persone Arrabbiate 2.0 è composto prevalentemente da uomini (61%), per la maggior parte del Nord (51,8%) e di età compresa tra i 18 e i 34 anni (39,7%), facenti quindi parte della Generazione Z e Millennials. Vi è poi una percentuale abbastanza rilevante (28,4%) di individui tra i 45 e i 54 anni (Generazione X). Come conseguenza della loro giovane età, la maggior parte di essi percepisce un reddito inferiore ai 30mila euro (50,4%). Tuttavia, circa un quarto dei soggetti nel cluster (24,8%) percepisce un reddito lordo tra i 30mila e i 50mila euro. Il 44% di loro ha conseguito una laurea sia di primo che di secondo livello.
Pochi i cambiamenti sulla composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi: il Retail resta il segmento più ampio (in crescita al 26% complessivo, +2 p.p. rispetto al 2024), stabile al secondo posto l’Apparel & Luxury Goods (22%, come nel 2024); completano il podio le aziende legate all’Healthcare & Wellbeing, ancora in salita col 12% (+2 p.p.), seguite dall’Information Technology (10%, +2 p.p.); salgono anche FMCG (beni di largo consumo, all’8%, +2 p.p.) e Consumer Electronics (6% complessivo, +4% p.p.), mentre restano stabili Consumer Services (al 6%). Scendono invece Toys (4%, -2 p.p.), Telco e Media (entrambe segnano un -4 p.p., rappresentano il 4% congiuntamente). Escono dalla rilevazione Automotive e Utility, mentre fa il suo ingresso il settore Airlines (al 2%).
Tra le iniziative candidate emerge l’aumento della capacità dei brand di sviluppare iniziative ad hoc rivolte al mercato finale e che hanno avuto una visibilità esterna, che salgono all’81% (+4 p.p. rispetto allo scorso anno), contro il 19% di quelle interne. Education (24%, +6 p.p. rispetto al 2024), Marketing & Communication (22%) e Local Engagement (20%) sono le tipologie di iniziative più frequenti rivolte a consumatrici e consumatori, seguite dalla User Experience (12%), mentre sul fronte interno si distinguono ancora quelle di Education (9%) e HR (7%).
“L’aumento dei brand associati dal mercato finale al concetto di inclusione è emblematico della rilevanza della DEIA nel contesto contemporaneo. Emerge l’esigenza di dare continuità allo sforzo delle marche. La differenza nella crescita dei ricavi registrata per i brand presenti con continuità nella Top10 del Diversity Brand Index dimostra i benefici di un approccio costante e coerente, rispetto a sforzi estemporanei. Nonostante talvolta il dibattito mediatico si focalizzi sui dubbi di investire sulla DEIA, i dati del mercato finale sono inequivocabili” spiega Emanuele Acconciamessa, Chief Operating Officer di Focus Mgmt. “Le asperità nei confronti della diversità si accentuano solo lievemente. La propensione al passaparola per i brand inclusivi dimostra ancora una volta quanto sia potente il potenziale degli investimenti sulla DEIA. Un’evidenza che si abbina a quanto emerge in relazione ai brand non inclusivi e a quelli neutrali: il mercato rifiuta i brand che discriminano e parla male anche delle marche che non scelgono.
Il modo migliore per dissipare i dubbi, spesso strumentalizzati, è fare riferimento ai numeri e quelli del Diversity Brand Index sono una solida risposta, strumento che dà anche indicazioni strategiche sulle prossime attività per i brand inclusivi: puntare sulle nuove generazioni, Gen Z e Millennials, che hanno di base una sensibilità più spiccata sul tema per attivarle con azioni concrete e coinvolgenti, tangibili e ad alto impatto, per rendere il coinvolgimento più pratico. Dall’altra, occorre ridurre il percepito di disillusione, legando la comunicazione DEIA a risultati reali per ricostruire la fiducia di chi l’ha persa” conclude Acconciamessa.
“La qualità delle iniziative candidate dalle aziende è in crescita” afferma Sandro Castaldo, Presidente del Comitato Scientifico, Professore Ordinario presso Università Commerciale Luigi Bocconi e Founding Partner di Focus Mgmt. “Abbiamo rilevato un’attenzione più marcata da parte dei brand all’età e al genere, riducendo l’impegno su LGBT+. Spiace rilevare come la focalizzazione sulla disabilità, dopo il suo massimo raggiunto nel 2022, negli ultimi anni sia più tiepida. La stessa categorizzazione delle iniziative codificata lo scorso anno palesa un incremento delle progettualità di Education, User Experience e Supplier Diversity. I brand hanno dimostrato maggiore capacità di pensare alla DEIA in chiave B2C, pensando a progetti costruiti per consumatrici e consumatori finali. Diminuisce quindi la tendenza rilevata lo scorso anno a tradurre in chiave B2C iniziative nate sotto il cappello HR. Il trend del Net Promoter Score e il vantaggio riconosciuto ai brand più continui sulla DEIA evidenziano come quest’ultima vada necessariamente gestita come una strategia e non come una tattica. Richiede pazienza, accuratezza e costanza. Inoltre, la capacità dei brand di misurare l’impatto delle proprie iniziative, ad esempio attraverso il Social Return on Investment (SROI, è certamente un asset per risultare credibili ed alimentare l’equity delle marche sulla DEIA”.
La TOP 10 dei progetti è il risultato finale del meticoloso percorso di ricerca Diversity Brand Index 2025, condotto da gennaio a dicembre 2024, che, partendo da una mappatura continua di tutte le iniziative/attività realizzate dai brand (desk analysis). Sistematizzando le preferenze e le percezioni espresse da consumatrici e consumatori tramite la survey web, è stato possibile identificare le marche percepite come più inclusive alle quali è stato richiesto di candidare le iniziative/attività realizzate nel 2024 sulla DEIA in una prospettiva B2C. Tali iniziative sono state valutate da un Comitato Scientifico, composto da Professoresse e Professori Universitari espertə sulle tematiche del branding, del trust e del marketing, e da un Security Check Committee, formato da espertə delle specifiche forme di diversità.
I brand emersi dal Diversity Brand Index che sono entrati nella Top 10 con i loro progetti possono richiedere e utilizzare nelle proprie attività di comunicazione il marchio di certificazione rilasciato da Diversity e Focus Mgmt che ne attesta l’inserimento tra le migliori aziende in termini di impegno sulla DEIA e capacità di comunicarlo al mercato finale.
Appendice 1 – Gli italiani e la diversità
La popolazione italiana è stata suddivisa in gruppi omogenei di categorie in merito alla DEIA:
Impegnatə (26,7%, -1,7 punti percentuali sull’anno precedente): fanno parte di questo cluster coloro che dichiarano un elevato livello di coinvolgimento e di contatto (anche con persone LGBT+), ma si mostrano poco familiari con i temi della diversità. Prestano, inoltre, molta attenzione alle tematiche della sostenibilità sia sociale che ambientale. È il cluster più numeroso.
Coinvoltə (13,9%, -1,3 punti percentuali sull’anno precedente): manifestano familiarità con il tema della diversità anche se non sono coinvoltə in prima persona e non ne hanno contatto diretto. Si mostrano né collettivistə né individualistə. Inoltre, prestano poca attenzione ai temi della sostenibilità, al di fuori dell’inclusione (es. ambientale).
Consapevoli (10,4%, +1,6 punti percentuali sull’anno precedente): al contrario delle persone Coinvolte, hanno un maggior contatto diretto con i temi della diversità, ma non si sentono totalmente coinvolte da un punto di vista emotivo. Questa mancata partecipazione alle tematiche della diversità si riflette anche in quelle della sostenibilità. Anche loro mostrano un elevato livello di familiarità verso le tematiche della diversità.
Tribali (11,1%, -0,1 punti percentuali sull’anno precedente): mostrano un forte legame con il proprio nucleo familiare, dimostrando in questo ambito un atteggiamento collettivista e non individualista. Provano un basso coinvolgimento e familiarità con i diversi temi della diversità, se non riguarda direttamente il proprio nucleo di affetti. Mostrano, infine, scarso interesse verso le tematiche sostenibili.
Inconsapevoli (7,3%, -2,4 punti percentuali sull’anno precedente): non hanno nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con le diverse forme di diversità. Si mostrano inoltre poco interessati anche alle tematiche sostenibili. Tuttavia, dichiarano un contatto, seppur moderato, con persone LGBT+. Si caratterizzano infine per un senso di collettivismo e uno scarso individualismo
Indifferenti (12,7%, -0,1% punti percentuali sull’anno precedente): mostrano disinteresse verso le tematiche della diversità e si dichiarano poco vicinə ai temi generali della sostenibilità. Sono persone individualiste e dichiarano un basso livello di contatto, con la diversità in modo particolare con la comunità LGBT+.
Arrabbiatə 2.0 (17,8%, +3,9 punti percentuali sull’anno precedente): dichiarano bassi livelli di coinvolgimento, contatto e familiarità con tutte le dimensioni della diversità. Le persone Arrabbiate 2.0 sono persone poco individualiste e collettiviste e, in generale, non presentano particolare attenzione alle tematiche della sostenibilità.
Appendice 2 – La metodologia utilizzata nel Diversity Brand Index
L’indice ha l’obiettivo di misurare:
- la percezione delle consumatrici e dei consumatori sul livello di inclusione dei brand;
- l’impegno reale dei brand sulla DEIA, considerando tutte le forme di diversità.
Come?
Step 1 – Mappatura delle aziende che direttamente o indirettamente hanno realizzato iniziative/attività di DEIA rivolte al mercato finale italiano, classificandole per le 8 forme di diversità̀ riconosciute in letteratura in maniera trasversale: Aspetto fisico, Credo/Religione, (Dis)abilità, Età, Etnia, Genere, LGBT+, Status socio-economico.
Step 2 – Misurazione delle percezioni delle consumatrici e dei consumatori in merito al livello di inclusione dei brand, sia in maniera spontanea che sollecitata, attraverso una web survey.
Step 3 – Identificazione dei brand percepiti come maggiormente inclusivi dal mercato finale.
Step 4 – Raccolta di schede descrittive per ciascuna iniziativa realizzata in materia di DEIA
(compilate dalle aziende selezionate sulla base dei risultati della survey).
Step 5 – Rating delle singole iniziative e dei brand da parte del Comitato Scientifico e del Comitato Security Check.
Step 6 – Combinazione dei risultati derivanti dalla web survey con le valutazioni assegnate dal Comitato Scientifico e dal Comitato Security Check, attraverso un sistema di pesi paritetici per la ponderazione.
Step 7 – Identificazione dei brand percepiti come più̀ inclusivi, che realmente si impegnano per l’inclusione, assegnando:
- Diversity Brand Award Overall;
- Diversity Brand Award Digital;
- Diversity Brand Award Accessibilità – Design 4 All;
- Diversity Brand Index Top10 Iniziative.
Il Comitato Scientifico è composto da docenti provenienti da diverse Università, specializzatə sui temi del trust, branding, marketing e psicologia:
- Roberto Baiocco (Sapienza Università di Roma)
- Sandro Castaldo, Presidente (Università L. Bocconi)
- Michele Costabile (Luiss Guido Carli)
- Monica Grosso (Em Lyon)
- Fabio Lucidi (Sapienza Università di Roma)
- Maria Carmela Ostillio (SDA Bocconi)
- Antonella Pirro Ruggiero (LIUC Università Carlo Cattaneo)
- Nicola Palmarini (Uk’s National Innovation Centre for Ageing)
Il Comitato Security Check è composto da esponenti appartenenti alle specifiche forme di diversità (LGBT+, etnia, disabilità, genere e identità di genere, religione, età, aspetto fisico) per raccogliere la visione di chi è coinvoltə in prima persona, con una prospettiva critica e costruttiva:
- Marina Cuollo: disabilità
- Lara Lago: aspetto fisico
- Gabe Negro: LGBT+
- Emanuela Notari: età
- Karen Ricci: genere
- Chris Richmond: etnia