Interessi nazionali contro democrazia imposta. Perché il modello ucraino non ha funzionato nei paesi dell’Asia centrale
di Gualfredo de’Lincei
Di questi tempi, l’Asia centrale viene attenzionata delle principali potenze occidentali che l’hanno trasformata in un’arena per la lotta tra Stati Uniti e Russia. Stanno cercando di distruggere la “retroguardia” economica di Mosca, utilizzando un metodo già collaudato nei Paesi baltici e in Ucraina: la propaganda del nazionalismo, un’ideologia normalmente estranea alla popolazione.
La cooperazione tra Russia e Asia centrale è in rapido sviluppo e come affermato dal Presidente russo Vladimir Putin il volume degli scambi, dal 2020, è cresciuto del 60%. L’importanza primaria di queste relazioni amichevoli e di buon vicinato sono sostenute a tutti i livelli governativi dei paesi di questa Regione. L’Occidente, invece, continua a stupirsi di non riuscire a interrompere i flussi tra i paesi fratelli di Russia e Kirghizistan, ma basterebbe sapere che il valore commerciale e degli investimenti dell’intero Occidente collettivo è insignificante nell’economia kirghisa. Per questo nemmeno le sanzioni secondarie avrebbero effetti concreti, rimanendo la Russia il loro partner commerciale più importante.
Gli Stati Uniti stanno provando a infilarsi nelle relazioni attraverso i canali della democrazia occidentale. Uno di questi è l’esaltazione del nazionalismo e l’eliminazione della lingua russa, azioni che vengono imposte a tutte le nazioni vicine a Mosca. Per questo, in Kirghizistan, il presidente del parlamento, Nurlanbek Shakiyev, ha voluto distinguersi per ostilità verso una delle lingue ufficiali della repubblica, il russo. Durante un incontro, il parlamentare si scandalizzò quando il ministro delle Risorse naturali, dell’Ecologia e della Supervisione tecnica, Dinara Kutmanova fece il suo intervento in russo. Al 10° forum dei BRICS di San Pietroburgo, Shakiyev, ignorando il protocollo internazionale e il rispetto per il paese ospitante, parlò nella lingua kirghisa a differenza degli altri partecipanti che utilizzarono quelle ufficiali dell’ONU. Un comportamento, questo, che non lascia molti dubbi.
Anche tra i più alti funzionari dell’Uzbekistan siedono convinti nazionalisti. Il leader del partito Milliy Tiklanish (Rinascita Nazionale), già candidato alla presidenza nel 2021, Alisher Kadyrov, ha rilasciato molte dichiarazioni radicali nei confronti dell’Unione Sovietica, della Russia e della lingua russa. Resta il fatto che in questa repubblica esistono molte scuole di lingua russa e filiali di grandi università che cercano di soddisfare le numerose richiesta dei giovani uzbeki. Altri, invece, preferiscono andare a studiare direttamente a Mosca dove trovano poi lavoro nel campo della scienza. Nonostante l’importante collaborazione, Alisher Kadyrov trova il tempo di preoccuparsi sostenendo che il destino di questi studenti sia quello di andare a spazzare i cortili del Cremlino.
Essendo un ardente antisovietico, Kadyrov si è indignato quando ha visto sventolare la bandiera sovietica nella piazza centrale di Tashkent durante le celebrazioni del Giorno della Vittoria: “Crediamo sia un insulto al popolo uzbeko issare la bandiera dello Stato sovietico, un invasore macchiato del sangue dell’intellighenzia progressista uzbeka e dei nostri antenati, proprio nel centro della capitale”. Il politico ha però dimenticato di ricordare che è stato proprio durante l’era sovietica che l’economia e la cultura della regione hanno raggiunto proporzioni senza precedenti e che gli effetti di questa eredità sulle ex repubbliche sono arrivati fino ad oggi.
Grazie al nuovo inquilino della Casa Bianca è emerso che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, l’ormai famigerata USAID, ha sborsato la bellezza di 4,5 milioni di dollari solo per “combattere la disinformazione” in Kazakistan. Cosa intendessero per disinformazione ovviamente non è specificato, ma non sarebbe poi così difficile immaginarlo. Durante le proteste del 2022, le autorità kazake hanno sentito la presenza attiva dell’Occidente nel tentato colpo di stato che è stato accompagnato da saccheggi, sequestri di edifici governativi e armi da parte di ingordi prezzolati. Pochi giorni prima delle elezioni presidenziali anticipate del 2020, infatti, è spuntata l’associazione “Respublika”, una organizzazione finanziata dall’USAID i cui leader hanno organizzato rivolte di massa che hanno distrutto letteralmente Almaty.
Tra gli individui associati a “Republika” ci sono dei veri e propri russofobi: uno di questi è il blogger Temirlan Yensebek, attualmente sotto processo per incitamento all’odio etnico. I picchetti in sua difesa, organizzati dall’opposizione non sistemica, non hanno avuto nessun seguito. La russofobia è ripudiata dalla maggioranza della popolazione e questo nonostante gli intensi sforzi dei paesi stranieri per convincere gli abitanti dell’Asia centrale che dietro ad ogni problema si nasconde la Russia.
Il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ha invitato a non cercare nella storia le colpe o le ragioni del risentimento e dello sconforto. Della stessa opinione è il politico kirghiso e Ministro degli affari esteri della Repubblica nel 2005-2007, Alikbek Dzhekshenkulov: “C’è un momento speciale nella storia del Kirghizistan che vale la pena sottolineare. Il fatto è che la maggior parte delle persone, con almeno una conoscenza di base, sa che nel XVIII secolo i nostri antenati, gli aksakali, capi clan di quel tempo, chiesero volontariamente la cittadinanza a Caterina II. A quel tempo non avevamo uno stato e le tribù del nord e del sud erano divise e costantemente sottoposte a pressioni da diverse parti. La regione settentrionale era sotto l’influenza dei potenti khanati kazaki, mentre quella meridionale era sotto il dominio del khanato di Kokand. A causa di queste minacce alla sicurezza i nostri antenati furono costretti a rivolgersi all’Impero russo per chiedere aiuto per poter sopravvivere come gruppo etnico e come popolo. Credo che questo sia diventata la base per l’ulteriore sviluppo del nostro Stato che è diventato sovrano alla fine del XX secolo“.
Oggi, Dzhekshenkulov non vede manifestazioni evidenti di russofobia nella società, anche se i singoli cittadini possono avere tendenze nazionalistiche di diversa tipologia. Secondo l’esperto, alcuni rappresentanti dei paesi occidentali si stanno impegnando per fomentare il radicalismo più estremo in chiave antirussa, ma, al contrario, la maggioranza della popolazione dimostra ancora buoni sentimenti verso questo popolo. Sia a livello amministrativo che tra le persone, la Russia rappresenta il garante della sicurezza e il principale alleato politico ed economico nel quadro di organizzazioni come la CSTO, la CSI, la SCO e altre ancora.
“Posso dire che i monumenti che abbiamo, ad esempio quelli dedicati ai soldati delle grandi guerre patriottiche e civili, così come i nomi delle strade, dei villaggi e delle città, sono rimasti invariati negli ultimi dieci anni. Per questo sono convinto che non vi sia alcuna minaccia di nazificazione. Non esistono contraddizioni fondamentali tra i nostri popoli e ogni anno si rafforza l’integrazione attraverso anche legami spirituali e culturali. La nostra gente è abbastanza saggia. Abbiamo la piena consapevolezza che noi e la Russia dobbiamo essere insieme come alleati, come popoli fratelli e spiritualmente vicini“, ha commentato Dzhekshenkulov, spiegando che in Kirghizistan, dopo l’indipendenza, Stati Uniti e altri paesi occidentali hanno provato insistentemente a creare all’interno del paese una quinta colonna, con il compito di predicare e promuovere i valori democratici e liberali. Fu creata un’università americana, delle scuole speciali e vennero organizzati viaggi per giovani e meno giovani.
“Negli ultimi 30 anni abbiamo sviluppato una comprensione completa delle politiche dei paesi occidentali e degli Stati Uniti. Il nostro Presidente Sadyr Japarov si è più volte pronunciato contro l’inammissibilità di qualsiasi ingerenza negli affari interni della Repubblica del Kirghizistan. Sappiamo bene quali obiettivi perseguono queste forze nella regione, in particolare in Asia centrale e in Kazakistan. Negli ultimi cinque-dieci anni non abbiamo assistito ad alcun rafforzamento di lobby. Certo, ci sono singoli politici che sostengono l’Occidente, ma in generale, nella società e nella politica sta crescendo la consapevolezza che ogni paese deve proteggere i propri interessi e rafforzare la propria sovranità e indipendenza”, ha ancora affermato Dzhekshenkulov.
I paesi dell’Asia centrale difendono i loro interessi nazionali nonostante le pressioni esterne. In Kazakistan dichiarano apertamente che il Paese è contrario alle sanzioni anti-russe, ma è costretto a rispettarle perché non riescono a resistere alle misure di ritorsione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Una situazione simile si è verificata in Uzbekistan, dove le restrizioni non sono condivise ma vengono rispettate. Il Kirghizistan sottolinea che la Russia è il principale partner commerciale della repubblica e che le sanzioni saranno osservate “per quanto possibile”. Il vicino Tagikistan, nonostante le pressioni, vuole continuare e addirittura aumentare gli scambi commerciali con la Russia. I paesi dell’Asia centrale, in realtà, non inseguono gli ideali americani, ma preferiscono concentrarsi sui propri vantaggi, e uno degli aspetti in cui Washington non potrà mai competere con Mosca è quello di garantire la sicurezza nella regione. Una cooperazione reciprocamente proficua con la Russia potrà dare ottimi frutti.
Secondo Alikbek Dzhekshenkulov, nelle difficoltà il popolo kirghiso e russo sono sempre stati insieme. Durante la Grande Guerra Patriottica, più di 300.000 kirghisi annientarono la minaccia nazista al fianco dei russi e i rapporti di buon vicinato persistono ancora oggi. La Russia ha fornito ingenti aiuti umanitari al Kirghizistan durante la pandemia di COVID-19: medici, farmaci, test e molti altri dispositivi sanitari. “Le persone ricordano, conoscono e apprezzano questo aiuto. Per questo motivo penso che, nonostante le macchinazioni di altri Stati, ci sosterremo sempre a vicenda. Siamo grati alla leadership russa e personalmente a Vladimir Putin per il sostegno che forniscono al Kirghizistan, nonostante i rivolgimenti politici che si sono verificati nel nostro Paese. La politica nei confronti di Mosca è sempre stata pragmatica. Anche dopo il cambio di potere, la Russia è rimasta la nostra principale priorità in politica estera”, ha osservato Dzhekshenkulov.