MORS TUA VITA MEA
“Torna a mio vantaggio quanto per gli altri è danno”. Il Mors tua vita mea poteva avere una sua giustificazione quando veniva pronunciato dal gladiatore che si apprestava a combattere nell’arena, il successivo uso dell’espressione denota, invece, soltanto opportunismo, cinismo. E a maggior ragione se di mezzo c’è la guerra. Al pari degli antichi Greci siamo dell’opinione che la guerra sia componente inevitabile della vita dei popoli, proprio perché gli stessi, o per meglio dire i loro capi, non sono giunti alla consapevolezza che per tutti, dal più forte al fragile, sia preferibile la pace a qualsivoglia conflitto, persino a quello per giuste rivendicazioni. Ma non possono, in primis, essere per la pace coloro che dalla guerra traggono motivazione per continuare a ricoprire il ruolo di potere: non vengono dalla guerra toccati direttamente, quindi può per essi valere il “dulce bellum inexpertis” di Erasmo da Rotterdam, in verità a quelli s’addice gratum più che dulce. Lontano da loro è quindi l’anelito alla pace rispetto a quanti la guerra, invece, patiscono e pertanto ad essa preferirebbero anche una pace ingiusta. I leader, perlopiù indifferenti alla umanità sofferente, a rovine e stragi pure del loro stesso popolo, sono per la guerra al di là della teatralità di un blaterato lamento per distruzioni e morte che talora manifestano ritorcendolo poi anche a loro pro. Certi potenti sono i più malvagi, soleva dire Socrate, e la storia, almeno sotto questo aspetto, docet. Aggiungiamo che lo sono soprattutto se hanno timore di non avere più, in una situazione diversa, a esempio non bellica, la possibilità di continuare a gestire il potere, quindi di perderlo. E nessuno, una volta giunto a possederlo, vuole abbandonarlo. Rarità Cincinnato che, dopo aver da dictator salvato Roma, preferì tornare ad arare il suo campicello. Meditiamo su come nel presente tempo con guerre attive in varie zone del globo (sono menzionate soprattutto la russo-ucraina e quella in Medio Oriente) vengano gestite le tregue che dovrebbero costituire il primo avvio per il conseguimento degli accordi di pace. La quale poi non dura per sempre, è solo, come vien detto di solito, un intervallo tra una guerra e l’altra che, prima o poi, inevitabilmente fa seguito. Dopo il tanto discusso incontro a Washington, nella Studio Ovale, fra i Presidenti Trump e Zelensky, e la successiva telefonata Trump-Putin, sono previsti il prossimo 24 marzo a Riad colloqui fra Russia e Usa, e separatamente dell’Ucraina con gli Usa. Il Presidente statunitense si è dichiarato soddisfatto: presto ci sarà con Kiev la firma sui minerali strategici, le cosiddette terre rare, ed è ciò che interessa maggiormente agli Usa. La Russia intanto continua, di volta in volta, a dare il numero dei droni lanciati sull’Ucraina, di quelli ucraini abbattuti. Tregua di bombe sui micidiali stabilimenti ucraini, ma altrove non è tregua, così morte e distruzione proseguono. L’Ue comincia a temere: bisogna riamarsi, e molto si discute, anche sull’opportunità di usare il ‘riamarsi’. Non si discusse, però, da ottobre 2021 a febbraio 2022 su quel grande ammassamento di mezzi russi e di militari lungo il confine russo-ucraino e in Crimea. Sarebbe stato opportuno discutere allora al fine di evitare le distruzioni e i tantissimi morti da entrambe le parti. Anche nella Striscia di Gaza continuano le operazioni di distruzione. Israel Katz, ministro israeliano della Difesa, annuncia di aver dato l’ordine di evacuazione alla popolazione di Gaza, e ciò al fine di proteggere la comunità israeliana di confine, avvertendo anche che “più Hamas continua a rifiutarsi di rilasciare gli ostaggi, più perderà territorio”. Tragico tira e molla a seguito di tragedie. Così la tregua finisce in centinaia di morti e feriti, con situazioni insostenibili per la vita. Un leader del movimento di Hamas precisa che “Hamas non ha chiuso le porte ai negoziati”, che non è quindi giustificabile tanta distruzione. Ma il leader israeliano Netanyahu ribadisce: “I negoziati saranno sotto il fuoco”. Il “fuoco” gli dà la possibilità di continuare ad avere potere, vuole quindi proseguire a oltranza, insensibile alle tragedie che la guerra provoca. A prevalere è sempre l’io, la brama di potere che è poi anche sua tutela, in definitiva prevale quel che l’io ritiene conveniente per sé. Non è, purtroppo, un caso isolato, dato che ben pochi fanno discorsi davvero concilianti che possano produrre pace. “La pace – scrive Erich Fromm in Avere o essere – intesa quale situazione di rapporti armoniosi e duraturi fra nazioni è possibile soltanto a patto che la struttura dell’avere sia sostituita dalla struttura dell’essere. L’idea che si possa costruire la pace mentre in pari tempo s’incoraggia l’ispirazione al possesso e al profitto, è un’illusione”. Noi, però, nonostante tutto, continuiamo a coltivare l’illusione di una pace, una pace che non voli subito via quale piuma al vento.
Antonietta Benagiano