GFI#12 | PREMIO LUIGI GHIRRI 2025
Daniele Cimaglia e Giuseppe Odore
La dote di Latera
“Gli abitanti di Latera, dove fino agli anni cinquanta la coltivazione della cannabis sativa per la produzione di fibre tessili era centrale nell’economia locale, hanno partecipato a un progetto di arte partecipativa. Molte famiglie conservano ancora tele tessute a mano, ereditate dagli avi. Abbiamo chiesto ai residenti di donarci alcune di queste tele, spesso inutilizzate, e raccolto le storie legate alla tradizione della dote: il corredo di lenzuola che i genitori regalavano alla figlia per il matrimonio. La lavorazione della canapa, richiedeva un’organizzazione collettiva. Dopo la raccolta, veniva insabbiata sulle rive del lago per macerare, trasformata in fibre e affidata alle tessitrici. Le storie raccolte testimoniano l’importanza di questi tessuti come simboli di cura, lavoro condiviso e sostentamento.
L’opera finale è un grande lenzuolo realizzato cucendo insieme i tessuti donati, decorato con stampe in cianotipia che ricostruiscono una fotografia delle sarte degli anni cinquanta. Questo lavoro rende omaggio alla comunità di Latera e alle sue tradizioni, evidenziando come conoscenze del passato possano ispirare risposte alle sfide contemporanee, come l’inquinamento dell’industria tessile e della fast fashion.
La canapa, coltivata con metodi naturali, è una fibra sostenibile che richiede meno acqua rispetto al cotone e favorisce l’economia circolare. Tradizioni come quella di Latera offrono modelli di produzione più etici e capaci di risanare il rapporto tra uomo e ambiente.”
Daniele Cimaglia (Roma, 1994), Giuseppe Odore (Pompei, 1995) hanno studiato fotografia e audiovisivo alla Rufa, Rome University of Fine Arts. Interessati alla fotografia vernacolare e alla sperimentazione di stampa in camera oscura, curano progetti fotografici che integrano la partecipazione attiva delle comunità locali, mettendo in dialogo memoria collettiva e linguaggi contemporanei. Nel 2020, con la serie fotografica Storie dell’abitare, vincono “Refocus 2” (progetti fotografici nell’Italia del post lockdown promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea e dal MUFOCO). Nel 2023, per Archivio Atena e in collaborazione con Nunzia Pallante, realizzano l’installazione Mamma Quercia: un mantello in lino e cotone, decorato con fotografie d’archivio tratte dagli album di famiglia delle comunità di Atena Lucana, stampate in cianotipia. L’opera è stata poi assemblata e ricamata grazie al prezioso contributo delle ricamatrici locali.
Rosa Lacavalla
La Festa dell’Equatore
Un tentativo di riparare un pezzo di cielo che si dispiega su un oceano di ricordi. Solide eppure prive di peso, le immagini fluttuano, trasportando frammenti di storie e culture in costante movimento. La Festa dell’Equatore è un viaggio iniziatico, un attraversamento di confini, un invito a immergersi in un flusso di trasformazioni. Un affresco intimo di un passato lontano, di storie familiari che si intrecciano con narrazioni contemporanee.
Allo stesso tempo, diventa una metafora della ricerca dell’umanità di un punto d’incontro che si rivela essere quella linea immaginaria che contemporaneamente divide e unisce, creando costellazioni familiari da un emisfero all’altro. Passato e presente, realtà e sogno si fondono, proiettandoci verso un futuro ancora da scrivere, mentre le stelle cantano dal blu profondo dell’eternità all’anima dell’Oceano.
Rosa Lacavalla (Barletta, 1993) è una fotografa e artista visiva italiana con sede a Bologna. Ha conseguito una laurea in Grafica d’Arte e in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, oltre ad un anno di studi all’interno del programma BA in Photography presso la Coventry University, Regno Unito, e ad uno stage con il collettivo Cesura. Il suo lavoro è stato presentato in diverse pubblicazioni cartacee e online ed è stato esposto in festival, mostre collettive e personali in Italia e all’estero. È inoltre tra gli artisti nominati da Der Greif per il programma FUTURES 2024.
Le narrazioni visive di Lacavalla si svolgono come viaggi di trasformazione. Navigando nella complessità dell’esperienza umana, le sue opere invitano gli spettatori a riflettere sugli intricati percorsi di guarigione, cambiamento e sui confini sfumati tra realtà e sogno.
Sara Lepore
Ingrediente pentru un tort de miere, cu dragoste
Una tovaglia di plastica diventa un ponte simbolico, che guida l’artista attraverso un viaggio a ritroso lungo il suo albero genealogico, con uno sfasamento geografico, linguistico, generazionale. Il disordine delle fotografie rivela un misunderstanding linguistico: nell’archivio fotografico della madre, l’artista scopre quella che immagina — o desidera — essere una lettera d’amore di gioventù sul padre. Scritta in una lingua che, sebbene materna, non le è mai stata trasmessa, la lettera si rivela essere una piccola raccolta di ricette. Il piccolo ricettario diventa l’occasione per ricongiungersi dopo anni dalle zie in Romania e cucinare con loro, in un contesto di totale incomprensione reciproca, una torta — ancora una volta oggetto di ambiguità. Per la fretta, o l’emozione, quella che doveva essere una torta di miele finisce per diventare una torta di mele. Il progetto documenta così lo straniante affetto verso un’identità familiare perduta. Questa riconnessione viene simbolicamente ricreata attraverso il tavolo stesso, un luogo di incontro fisico e metaforico dove il linguaggio, il cibo e i gesti servono come strumenti per ricostruire un dialogo tra passato e presente. Trasformando l’incomprensione in un’opportunità di riscoperta, la lingua diventa uno strumento di rivendicazione culturale e identitaria.
Sara Lepore è una fotografa nata a Carpi nel 1999. Dopo aver completato gli studi a Bologna presso Spazio Labo’ nel 2020, ha approfondito la sua formazione attraverso percorsi interdisciplinari come Speciale 1825 di Fotografia Europea e Jest, Torino. Successivamente ha ottenuto una borsa di studio per il Master Filling the Gap presso Fondazione Studio Marangoni a Firenze. Attraverso le strategie transmediali lavora con la fotografia e il video per parlare di temi legati all’identità e all’opacità. La sua pratica esplora la relazione tra contenuto e contenitore per dare forma al risultato finale dei suoi progetti.
Selezionata come artista in residenza presso l’IIC di Bucarest, ha esposto in mostre personali e collettive, tra cui A pick Gallery, Shado Officine Fotografiche, Centrale Festival, Bucharest Photofest, IIC di Bucarest. Attualmente insegna fotografia mentre sta completando gli studi in Comunicazione e Media Contemporanei per le Industrie Creative presso l’Università di Parma.
Grace Martella
Memorie del transitare
Memorie del transitare è un progetto visivo che indaga in modo intimo il percorso di affermazione di genere di cui l’autrice fa esperienza in quanto adolescente transgender nel Sud Italia, cercando di restituire complessità alla rappresentazione dell’esistenza trans attraverso una riflessione sulla temporalità. L’obiettivo della sequenza è in particolare quello di trascendere dei paradigmi visivi e narrativi tracciando un racconto emotivo e metaforico del “transitare” interpretato come movimento nello spazio, nel tempo e nello spettro di genere.
L’artista sublima la sua esperienza personale riscrivendo attraverso la fotografia eventi, processi e sensazioni quali la nascita, la gioia, la rabbia, l’adolescenza e la solitudine, disorientando lo spettatore, che non ha gli strumenti per ricondurre la narrazione ad un corpo e ad un tempo specifici, ma permettendo alle immagini di essere abitate in quanto spazi di solidarietà e di contaminazione emotiva.
Il corpo dell’artista nell’attraversare il tempo, lo spazio e gli stereotipi di genere, si propone dunque come ponte: un corpo vitale che si risignifica e muta costantemente, che è carne e concetto allo stesso tempo.
Grace Martella nasce nel 2006 in provincia di Lecce. Nel 2018 si approccia alla fotografia come esercizio di introspezione e autoconsapevolezza rimappando emotivamente la quotidianità.
La sua ricerca fotografica è una continua indagine intorno all’identità, alla temporalità, il territorio e al modo in cui questi elementi interagiscono con l’esperienza transgender e la sua rappresentazione. Nello specifico, attraverso nuovi codici e corto-circuiti narrativi, si riferisce a un immaginario in cui personale e politico risuonano dislocando specifici paradigmi visivi.
Erdiola Kanda Mustafaj
Pasqyra e Lëndës (Sommario)
“Questo progetto, fatto di immagini frammentarie che ho scattato negli ultimi sei anni tra l’Albania, la Grecia e l’Italia, viene qui presentato come una metafora che invita lo spettatore a riflettere sulla circolarità del tempo e della storia, tra la sovrapposizione di geografie disparate e l’intimità di un paesaggio complesso e meditativo, che paradossalmente fa nascere il conflitto tra generazioni in perpetuo movimento.
Concentrandomi sulla politica e sul paesaggio, desidero richiamare l’attenzione sul significato della diaspora e sul suo impatto sull’ambiente. In questa serie di fotografie, atmosfere sublimi appaiono e scompaiono, alcuni luoghi sono stati trasfigurati, in altri troviamo rituali che mostrano una tensione all’interno del paesaggio, offrendo un doppio sguardo e costruendo insieme una sorta di archeologia della memoria dimenticata dell’esilio.
L’esule è una figura distaccata, sfugge alle coordinate del tempo, è continuamente fuori sincrono, espulso dalle terre ancestrali, questa figura esotica incarna una realtà che si forma a partire da memoria dislocata, aprendosi alla creazione del mito che riposa da qualche parte tra la verità e la distorsione. E il ricordo diventa il sarcofago da cui emergono strutture amorfe che lacerano lo spazio del visibile, e il sudario bianco della carta fotografica si trasforma qui nella somma di utopie vissute e raccontate mille volte, ombre che naufragano sulla spiaggia della memoria come il relitto di una nave.”
Erdiola Kanda Mustafaj è un’artista visiva italo-albanese. Nella sua ricerca artistica combina con estrema fluidità immagine, video, scrittura e suono, ripercorrendo la travagliata storia del suo Paese in una narrazione che si intreccia con la tradizione orale, il mito e la fiaba, offrendo una visione personale del patrimonio spirituale dell’Albania.
Le sue opere si articolano principalmente in un rapporto profondo con lo spazio, e la sua trasformazione, in cui la materia prima e l’uomo creano una connessione, inseparabile,
modellandosi a vicenda senza gerarchie di valori. L’atto fotografico diventa quindi un processo intimo, una metamorfosi delle forme in relazione allo spazio e al tempo, guardando soprattutto ai diversi modi in cui incarniamo la memoria.
Nel 2019 ha esposto ad Arthouse e al Marubi National museum of photography in Albania e più recentemente ha partecipato alla residenza tenuta da Photoxenia in Grecia, sostenuta dalla G&A Mamidakis Foundation. In 2024 è stata finalista al Ardhje Contemporary Art Prize in Tirana e nel 2025 ha inaugurato una solo exhibition at Kunst-im Kreuzgang, Bielefeld, Germania. Attualmente fa parte della masterclass Reflexions 2.0.
Serena Radicioli
Non sei più tornato
La sera del 29 Ottobre due gruppi criminali si diedero appuntamento per un regolamento di conti finito male, probabilmente dovuto ad un debito.
(“Latina oggi”)
“Quella sera morirono due persone, una delle due era mio padre. Non ho mai saputo realmente quale fosse il suo vero lavoro. Consideravo normale non vederlo tornare per un determinato lasso di tempo, come consideravo normale saltare la scuola per andare a visitare un carcere e ritrovarlo lì. La sera dell’agguato, lo aspettavo a casa, ma non è mai tornato.
La morte di mio padre è stata improvvisa, la mia famiglia non parla quasi mai dell’accaduto, neanche al tempo se ne è mai parlato. Io sono cresciuta piena di domande su di lui, dopo 10 anni ho iniziato a fare ricerche ed esplorare i fatti: ho cercato nei suoi documenti, trovato fascicoli, foto, lettere dal carcere, e riscoperto persone che in qualche modo lo rendono ancora vivo.
Il progetto coniuga immagini dell’archivio pubblico e di famiglia, la mia memoria personale con immagini scattate nel presente. Non sei più tornato è un insieme di ricordi, avvenimenti e fatti che rivelano attraverso gli occhi di una bambina le scelte di vita di un padre che è stato ucciso. E’ un progetto che parla della fine di un’attesa, ma anche di una speranza spezzata, trasformatosi in un incolmabile vuoto che chiede di essere inseguito. Mio padre a casa non è più tornato, e questo è il centro del mio progetto.”
Serena Radicioli è nata a Latina nel 1997. Diplomata al liceo scientifico, ha poi frequentato la scuola biennale di Officine Fotografiche di Roma e attualmente è laureanda presso la RUFA (Rome University of Fine Arts) al corso di laurea triennale di fotografia e audiovisivo.
Utilizza la fotografia come strumento di esplorazione e indagine, adottando un approccio istintivo e complesso. Il suo lavoro supera i confini della pura estetica, accogliendo anche gli errori intrinseci del mezzo fotografico. Il processo creativo prende forma attraverso la ricerca d’archivio e la ricostruzione di una realtà presente, intrecciata profondamente con il passato.
Porta avanti la sua ricerca personale con il progetto di tesi Non sei più tornato, con il quale vince nel 2023 il Premio per le arti di Castelfiorentino e il Premio Musa, classificandosi finalista nel 2024 al Festival Arturo Ghergo sezione Giovane Talento. Ha partecipato a diverse mostre, tra cui il festival Der Verzicht 2024 a Verona e la Biennale di Fotografia Femminile di Mantova, ottenendo inoltre diverse pubblicazioni, anche internazionali, presso il quotidiano francese “Libération”.