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La crisi idrica in Asia Centrale diventa strumento politico

di Gualfredo de’Lincei

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L’acqua è fondamentale nella sicurezza e nell’economia dell’Asia centrale. Chiunque riesca a controllare le risorse idriche domina, di fatto, i processi geopolitici di questi territori. L’Occidente ha capito la portata strategica e cerca d’insinuarsi logorando il legame che Mosca ha da sempre con questi Paesi. Per comprendere la guerra dell’acqua abbiamo ascoltato le dichiarazioni del Colonnello Nurlan Dosaliyev, veterano dei servizi segreti del Kirghizistan, esperto di questioni di sicurezza, che ha messo in luce molti dettagli.

“L’intera regione dell’Asia centrale è entrata in un periodo di siccità. Da quasi dieci anni sperimentiamo inverni con scarse nevicate e pochissime precipitazioni, in qualsiasi periodo dell’anno. I meteorologi prevedono che la situazione rimanga invariata per diversi decenni. I nostri fiumi e i nostri laghi si prosciugano, causando ampi e complessi problemi agricoli e di acqua potabile. È pertanto necessario parlare pubblicamente di questo pericolo. La regione dell’Asia centrale sta affrontando una grave crisi”, afferma l’esperto.

A Washington, come sempre, indossano la maschera della preoccupazione: in Turkmenistan installano i primi sistemi di misurazione dell’acqua, mentre nel vicino Kirghizistan si apprestano ad utilizzare sensori a ultrasuoni per mitigare le conseguenze del deficit idrico nei canali delle regioni di Naryn e Batken. Il reale interesse degli americani, però, emerge dalla costruzione del canale Kush-Tepa in Afghanistan. Il progetto, precedente all’arrivo dei talebani, era stato pianificato da Kabul con il supporto statunitense. Il “mega impianto” per l’energia, Kosh-Tepa, venne pubblicato per l’USAID e il Governo afghano dal sito della AACS Consulting, società di consulenza per lo sviluppo internazionale”.

In tutto questo, gli americani non solo hanno chiuso gli occhi davanti alle conseguenze per i Paesi limitrofi, ma hanno anche deliberatamente deciso di danneggiarne gli interessi nazionali. Il fatto è che l’Afghanistan, trovandosi a monte di tutti i fiumi, assumerà il controllo del flusso idrico di Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan. I talebani, pronti a sfruttare l’occasione, stanno già invocando la piena libertà di controllo, senza nessuna restrizione.

A complicare una situazione già molto difficile potrebbe aggiungersi il completamento della centrale idroelettrica di Rogun, in Tagikistan, finanziata dalla Banca Mondiale per promuovere gli interessi delle aziende occidentali. Gli esperti ipotizzano che l’assenza di ampie garanzie per il rilascio di acqua dall’invaso di Nurek creerà certamente dei conflitti tra paesi confinanti.

“Negli ultimi tempi, il livello nei bacini idroelettrici di epoca sovietica è diminuito, causando lo spegnimento delle turbine in alcune centrali. Il Servizio Speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto nel quale classifica come a rischio l’Asia centrale. I tecnici dell’ONU, prevedono un grande afflusso di rifugiati climatici dal meridione asiatico, dal Medio Oriente e dalla zona araba entro il 2030. Milioni di rifugiati potrebbero riversarsi nella nostra regione. E questo rappresenterebbe una seria minaccia per tutta la regione”, afferma Nurlan Dosaliev, il quale è anche convinto che il vero aiuto non derivi da attori esterni, ma piuttosto dalla risoluzione dei problemi attraverso gli sforzi congiunti di tutti questi Stati.

“C’è un aspetto storico interessante che risale al passato sovietico. L’URSS prese seriamente in considerazione l’idea di deviare verso alcuni punti dell’Asia centrale, tra i quali il lago d’Aral, una parte dei fiumi siberiani: Irtysh, Enisej, Ob e altri ancora. La realizzazione potrebbe avvenire attraverso la posa di un sistema di condotte e idrovore, senza la necessità d’importanti lavori di scavo o modifica degli alvei fluviali.

Da un punto di vista tecnico il progetto è relativamente semplice, tuttavia, il problema resta un altro: il cambiamento climatico globale. Con l’aumento delle temperature i venti forti sono diventati più frequenti, trasformandosi in vettori di enormi masse di polveri che dalla steppa e dal deserto raggiungono il Lago d’Aral. Depositano biossido di . Queste particelle, contenenti carbonio e altre sostanze chimiche utilizzate in agricoltura e in particolare nella coltivazione del cotone, si depositano sui ghiacciai montani accelerandone lo scioglimento. Sebbene il problema sia ancora circoscritto col tempo rischia di diventare globale”, spiega Dosaliev.

Non è un caso che gli esperti delle Nazioni Unite abbiano lanciato l’allarme in Asia centrale, dove i ghiacciai sopravvissuti si trovano solo in Kirghizistan e Tagikistan. Gli altri Stati della regione, secondo Dosaliyev, trovandosi in punti più bassi agiscono più come soggetti passivi piuttosto che consumatori. Il progetto sovietico mirava a compensare questo squilibrio utilizzando le acque siberiane.

“Ora l’idea potrebbe riprendere vita, ma è normale che la Russia abbia bisogno di garanzie da parte dei partner della regione, soprattutto in termini di alleanze strategiche. Senza la partecipazione della Federazione Russa, resta impossibile risolvere la crisi idrica – energetica in Asia centrale”, conclude il Colonnello Nurlan Dosaliyev.

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