Un grido di colore e sangue: l’ultima opera di Francesco Guadagnuolo commemora i giornalisti caduti a Gaza
L’ultima tela del Maestro Francesco Guadagnuolo questa volta è avvolta da un silenzio irreale, soffocato a tratti dal respiro umano da chi l’osserva. In fondo, al centro della parete principale del suo studio svetta il grande dipinto dell’artista, un’opera verticale di straordinaria forza emotiva che rende omaggio ai cinque giornalisti assassinati nell’ultimo attacco a Gaza il 25 agosto 2025, in quello che l’artista definisce “un atto di viltà contro la verità”.
Il carro armato: simbolo di terrore
La scena domina l’occhio dello spettatore: un carro armato minaccioso che sfonda l’orizzonte sabbioso di Gaza. La lente prospettica lo fa avanzare quasi in spinta, come se stesse per uscire dalla tela e spalancare il suo orrore nella stanza. Guadagnuolo ha scelto toni scuri, quasi nerofumo, per ritrarre la corazzatura; ogni scorza di metallo è incisa da pennellate nervose, segnate da lampi di luce d’acciaio.
Lo scoppio e la luce della distruzione
Alle spalle del carro, un’esplosione condensata in un bagliore giallo-arancio: un vortice di luce che squarcia il cielo come un urlo. L’effetto è drammatico, quasi cinematografico, e richiama l’attimo fatale in cui si è consumata la strage. La luce non restituisce sollievo, ma amplifica la tragedia, trasformando ogni singolo granello di polvere in segno di morte imminente.
I volti dei caduti come memoria murale
Ai lati del carro armato, Guadagnuolo ha appeso le immagini dei cinque giornalisti: fotografie trasformate in manifesti murali, che pendono precarie sui resti dell’ospedale bombardato. I volti, trasudano dignità e determinazione. L’artista ha sovrapposto strati di pittura rossa che sembrano colare dalle loro immagini, quasi a voler marcire la menzogna del conflitto con il prezzo del loro sangue.
Il velo e la giovane vittima
Sotto la torre metallica del carro armato, una scia di sangue rode il terreno polveroso. E, al termine di quella striscia rossa, giace il corpo esanime di una giovane palestinese, il volto nascosto da un velo sperduto. Il contrasto tra il tessuto candido e la macchia cremisi rende ancora più straziante la sua sorte: simbolo di innocenza violata, di una generazione negata.
Pennellata e protesta
L’opera di Guadagnuolo a tecnica mista e collage non è una mera ricostruzione: è un urlo di rabbia. La pennellata è furiosa, scandita da scatti improvvisi di colore che si sovrappongono in un caos controllato. Il rosso, in tutte le sue gradazioni, diventa fiume, braciere, ferita aperta. Il nero è presenza costante: un’ombra che avvolge ogni figura, che risucchia la speranza.
Un invito a non dimenticare
L’artista ha dichiarato: “Questa tela è un memoriale e un’accusa. Non possiamo voltare lo sguardo
quando cadono i testimoni della verità”. Il curatore della prossima mostra, ancora da scegliere il luogo, ha aggiunto che l’opera fungerà da punto di riflessione permanente: “Ogni volta che entreremo nella Sala della mostra, rivedremo quei volti, sentiremo quel tonfo di metallo e quel lampo di morte”. Una serie di incontri e tavole rotonde con giornalisti, storici e rappresentanti delle comunità per la Pace si terranno in occasione dell’esposizione.
L’ultima opera di Francesco Guadagnuolo non chiede pietà: impone la memoria. È un invito a farsi carico della verità, a piangere chi ha pagato con la vita il diritto di informarci. E, soprattutto, a non permettere che la colpa cada nell’oblio.
La verità ha un prezzo alto, ma l’indifferenza costa ancora di più.











