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 “La verità oltre la sentenza: la voce dell’avvocato De Rensis”

Garlasco, una tranquilla cittadina della provincia pavese, è diventata il simbolo di uno dei casi giudiziari più controversi e discussi degli ultimi decenni in Italia. A distanza di anni dalla sentenza definitiva che ha condannato Alberto Stasi per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, la ricerca della verità continua a interrogare l’opinione pubblica. Tra i protagonisti di questa lunga vicenda giudiziaria, spicca la figura dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, ma anche – e soprattutto negli ultimi anni – quella dell’avvocato Paolo De Rensis, che ha difeso e continua a difendere l’innocenza di Stasi, ponendo domande scomode che vanno oltre il verdetto della Cassazione.

«La verità non sempre coincide con una sentenza», afferma l’avvocato De Rensis in una recente intervista. «Il processo Stasi è stato caratterizzato da una lunga serie di contraddizioni, perizie discordanti e ricostruzioni non sempre supportate da prove scientificamente inconfutabili. Quando ci si affida più all’intuizione che al dato oggettivo, il rischio dell’errore giudiziario è dietro l’angolo».

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Per De Rensis, il punto centrale non è solo difendere il suo assistito, ma sollevare una questione più ampia: quella della tenuta del sistema giudiziario quando si confronta con i limiti della prova indiziaria. Nel caso Garlasco, il movente è rimasto nebuloso, l’arma del delitto mai trovata, e l’intero impianto accusatorio si è retto su una concatenazione di elementi indiziari.

I punti oscuri del processo

Uno dei temi su cui De Rensis insiste maggiormente è quello delle prove scientifiche. «La famosa camminata sulle scale, la bicicletta, le tracce biologiche: tutto è stato interpretato, mai dimostrato in modo inequivocabile. Nessuna impronta, nessun DNA, nessun testimone diretto. Eppure, dopo due assoluzioni, Alberto è stato condannato in via definitiva».

Il riferimento è alla sentenza della Corte di Cassazione del 2015, che ha ribaltato le precedenti decisioni assolutorie e ha condannato Stasi a 16 anni di carcere. Una sentenza che, pur essendo ormai definitiva, lascia ancora oggi strascichi di polemiche e dubbi non sanati.

Per De Rensis, il processo Stasi è stato anche – se non soprattutto – un processo mediatico. «Quando un caso viene trasformato in spettacolo, la pressione dell’opinione pubblica può influenzare l’andamento del procedimento giudiziario. Si è cercato un colpevole a tutti i costi, e si è trovato in Alberto una figura già perfettamente incasellata nell’immaginario di chi cercava il ‘mostro della porta accanto’. Ma il diritto penale non può basarsi su suggestioni».

Il legale sottolinea come il vero rischio, in casi del genere, sia quello di confondere la verità processuale con la verità storica. «Una sentenza può chiudere un fascicolo, ma non sempre restituisce giustizia alla verità. E in questo caso, troppe domande restano senza risposta».

Nonostante la condanna definitiva, l’avvocato De Rensis non ha mai smesso di lavorare per cercare nuovi elementi che possano riaprire il caso. La strada della revisione processuale è difficile e strettissima, ma l’idea che un innocente possa scontare una condanna per un crimine non commesso è, per De Rensis, un’ingiustizia inaccettabile.

«Non chiediamo pietà, ma chiarezza. La verità non ha paura del tempo, né delle sentenze. E prima o poi, trova sempre il modo di venire alla luce».

Il caso Garlasco resta uno dei nodi irrisolti della cronaca giudiziaria italiana. Una tragedia familiare trasformata in evento nazionale, un processo che ha messo alla prova la fiducia dei cittadini nella giustizia. E, come ricorda l’avvocato De Rensis, una verità che forse non è stata ancora davvero trovata.

Finché esisterà anche solo un dubbio ragionevole, la vicenda di Chiara Poggi – e quella di Alberto Stasi – continuerà ad alimentare un dibattito che va ben oltre le aule di tribunale.


La giustizia ha parlato. Ma la verità, forse, ha ancora qualcosa da dire.

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