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Garlasco. Enrico Manieri sulla BPA e la scena del delitto: ciò che ha detto a True Crime Live

 

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Garlasco, Pavia — Il silenzio che per anni ha avvolto la scena del delitto di Chiara Poggi è stato scosso, nelle ultime settimane, dalle parole di un nuovo protagonista dell’analisi criminalistica: Enrico Manieri. Esperto di balistica e di Bloodstain Pattern Analysis (BPA, l’analisi delle macchie di sangue), Manieri ha dichiarato in trasmissioni televisive e canali specializzati di aver condotto studi indipendenti che – a suo avviso – offrono scenari alternativi e inquietanti rispetto alle ricostruzioni ufficiali.

In occasione della sua partecipazione alla trasmissione True Crime Live, Manieri ha ripreso alcuni dei temi centrali che lo hanno reso uno degli esperti più discussi sul caso: la traccia ematica sul telefono della vittima, impronte ancora “invisibili” o misconosciute, la presenza plausibile di più soggetti sulla scena del crimine, e una possibile arma “semestrale”, rimasta in loco.


Il sangue sul telefono: dettaglio rivelatore

In apertura dell’intervista, Manieri ha posto l’attenzione su una piccola macchia sotto la cornetta del telefono nella casa di via Pascoli, a Garlasco, che fino ad oggi ha avuto un ruolo marginale o controverso nelle ricostruzioni ufficiali. Secondo l’esperto, quell’ematomaccia non è un mero effetto collaterale del flusso ematico spontaneo: «L’inclinazione della goccia suggerisce che la cornetta fosse sollevata», ha affermato, dunque qualcuno l’avrebbe staccata intenzionalmente.

Questa circostanza, sostiene Manieri, è dirompente nella ricostruzione classica: significa che la vittima – Chiara – non avrebbe avuto né la forza né la capacità di compiere quel gesto, e che quindi l’intervento di un altro soggetto era in corso o imminente. L’esperto ha aggiunto che non vi sono impronte rilevabili nella zona del telefono attribuibili alla vittima, elemento che – per lui – rafforza l’ipotesi che l’azione sia avvenuta “a tradimento”, con un soggetto estraneo che ha manovrato il dispositivo per disturbare la scena o la ricostruzione.

Questa tesi non è del tutto nuova nel panorama delle critiche: negli scorsi mesi, Manieri ha già sostenuto questa versione anche a programmi come Zona Bianca, definendo la macchia sotto la cornetta come una delle tracce “divisive” del caso. IlSussidiario.net


Impronte e “invisibili”: due o più persone

Dalle macchie di sangue, Manieri è passato ad analizzare le impronte sulle scale che conducono alla taverna, dove è stato rinvenuto il corpo della giovane. Egli sostiene che non vi era soltanto l’impronta della scarpa Frau numero 42  quella attribuita all’imputato Alberto Stasi – ma anche tracce di una suola con risalti rettangolari, di tipo diverso. Una di queste è stata indicata con il numero “44” nelle foto originali, che però non sarebbe mai stata repertata né analizzata nei dossier ufficiali.

Secondo Manieri, quelle impronte non corrisponderebbero a nessuna delle 27 paia di scarpe che furono sequestrate ai vari soggetti entrati nella casa dopo il delitto, comprese quelle degli operatori forensi. Ci sarebbe dunque una “calzatura fantasma” che ha partecipato materialmente alla scena del delitto e che non è mai stata identificata né collegata a persone note. Libero Quotidiano+3Corriere di Maremma+3Il Tempo+3

Da qui l’ipotesi che più persone fossero presenti in quel momento, al lavoro sull’aggressione, e non soltanto un unico assassino. Manieri ha parlato anche di un’“impronta columnariforme” rilevata sulla coscia sinistra di Chiara, che non combacia né con il modello a pallini né con la suola standard, suggerendo così una dinamica complessa e multipla. Corriere di Maremma

Questa tesi, radicale ma insistente, si collega ad altre dichiarazioni rese da Manieri in articoli di stampa e interviste: in molte di queste, egli sostiene che la scena sia stata in qualche modo parzialmente alterata o non completamente raccolta nelle sue componenti autentiche. Il Tempo+1


L’arma che “restò”: portavaso e ferite compatibili

Un ulteriore tassello che Manieri ha presentato in sede televisiva riguarda la possibile arma del delitto. Contrariamente all’assunto che l’arma fosse asportata o occultata, Manieri ipotizza che il portavaso in ferro battuto presente nella casa potesse essere stato l’oggetto che ha causato le ferite sul viso, sulla tempia e sul cranio della vittima.

La tesi, lievemente provocatoria, è spiegata nei dettagli: le lesioni sul volto non suggerirebbero esclusivamente un’arma da punta o taglio, bensì un contatto tra la faccia di Chiara e un oggetto rigido. In pratica, sostiene Manieri, sarebbe stata la vittima in caduta a “colpire” il portavaso, che in quel momento occupava uno spazio fisso. I colpi alla nuca, poi, sarebbero stati successivi e di contatto diretto. Panorama+2Corriere di Maremma+2

Questa ipotesi comporta – nella visione di Manieri – che non sia necessario far sparire o trasportare la presunta arma: essa avrebbe fatto parte della scena stessa, ed è stata ignorata o sottoutilizzata negli atti investigativi. Panorama

In collegamento diretto con questa ricostruzione, l’esperto afferma di aver inviato alla Procura di Pavia un video con la simulazione 3D dell’ipotetica sequenza dell’aggressione, corredato da simulazioni fotogrammetriche. Tuttavia, non è noto se la Procura abbia accolto queste proposte o le stia valutando seriamente.


True Crime Live: momento di confronto e rilancio

Durante la puntata di True Crime Live, Manieri ha ribadito queste tesi senza reticenze, invitando il pubblico, i colleghi esperti e le autorità investigative ad aprire una riflessione critica sul materiale accumulato nel corso degli anni. Ha sottolineato che il valore dell’analisi BPA è quello di far “parlare le tracce” indipendentemente da pregiudizi: se il sangue, le impronte e le posizioni relative degli oggetti raccontano un racconto dissonante rispetto alla versione consolidata, il dovere dell’investigazione è riesaminare tutto.

Ha dichiarato inoltre che il contatto (anche minimo) che ha avuto con il caso risale a pochi mesi fa, ma ha investito ogni momento successivo nella rivalutazione delle fotografie, dei rilievi e delle registrazioni. Ha citato la difficoltà di accesso ad atti completi, di plastici originali e di documentazione rustica, ma ha insistito che, nonostante ciò, le tracce emergenti non possono essere ignorate.

In chiusura, Manieri ha lanciato un appello: «Se anche uno solo dei miei rilievi fosse confermato, l’architettura del procedimento nei confronti di Stasi andrebbe rivista. Non sto affermando che Stasi non c’entri nulla, ma che la dinamica finora accettata rischia di essere incompleta o falsata».

Le dichiarazioni di Manieri non sono rimaste inascoltate. I legali difensori di Alberto Stasi, in particolare, hanno reagito con cautela. Antonio De Rensis, avvocato difensore, ha affermato che ogni nuova tesi va vagliata con rigore e che non si può né demonizzare né accogliere acriticamente ogni “nuova ipotesi mediatica”.

D’altra parte, le procuratorie coinvolte – in particolare quella di Pavia  mantengono uno stretto riserbo su eventuali iniziative o ulteriori attività investigative, anche alla luce della riapertura dell’incidente probatorio e del deposito di nuove relazioni firmate dal RIS. Libero.it+2Panorama+2

Tra gli osservatori più attenti, la tesi di Manieri è vista come un ulteriore stimolo a valutare il caso sotto un’ottica multidimensionale: non più come un fatto compiuto e “chiuso”, ma come un enigma in divenire, da risalire dai frammenti delle tracce rimaste.

Va però detto che le affermazioni di Manieri, pur corpose e argomentate, devono confrontarsi con vincoli tecnici e giuridici non semplici. La perdita o la distruzione di evidenze, la qualità e la memoria delle immagini, le trasformazioni nel corso del tempo, le contestazioni di contaminazioni e le prescrizioni processuali sono tutte barriere concre­ti.

Non è chiaro, infine, se True Crime Live abbia acquisito da Manieri tutti i materiali (video, analisi, simulazioni) per poterli sottoporre a un contraddittorio tecnico nel corso di una puntata successiva. Se ciò avvenisse – e se la trasmissione invitasse anche altri esperti a offrire repliche – potremmo essere di fronte a un confronto pubblico di rilievo sul caso

A diciotto anni dall’efferato omicidio di Chiara Poggi, la figura di Enrico Manieri irrompe nel dibattito con una proposta forte: che la scena del crimine contenga indizi ancora non pienamente interpretati e che la BPA possa restituire un “romanzo del sangue” molto diverso da quello oggi condiviso.

Il suo intervento a True Crime Live non è solo un episodio televisivo, ma un atto provocatorio nei confronti degli archivi giudiziari, degli organi d’inchiesta e della memoria collettiva. Perché, come spesso accade nella cronaca nera, la verità non è ciò che appare a prima vista: è il risultato di tensioni, omissioni, scelte e, soprattutto, del coraggio di riaprire scenari che molti credevano ormai archiviati.

Resta da vedere se – e quanto – le sue affermazioni troveranno terreno fertile nelle aule giudiziarie, se autorizzeranno nuove perizie, se spingeranno la Procura a riesaminare atti o se, semplicemente, si sommeranno ad altri stimoli in un dibattito ancora aperto. In ogni caso, chi crede che la scena del crimine abbia già detto tutto forse non ha ascoltato bene il linguaggio delle tracce.


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