L’intervento di Carmelo Abbate a Quarto Grado il 26 settembre 2025 trasmissione su Garlasco
Venerdì 26 settembre 2025, la puntata di Quarto Grado dedicata al caso Garlasco ha riservato momenti di grande tensione e colpi di scena, soprattutto in corrispondenza dell’intervento dell’opinionista Carmelo Abbate. In una serata che prometteva di fare il punto sulle nuove analisi e sull’evoluzione dell’incidente probatorio, Abbate è salito in cattedra con toni decisi, puntando l’attenzione su tracce biologiche, profili genetici “ignoti” e interpretazioni che ridefiniscono implicazioni processuali annose.
Il contesto: nuove tracce e relazioni in corso d’opera
Per comprendere la rilevanza dell’intervento di Abbate, è necessario inquadrare il quadro d’indagine su cui Quarto Grado aveva deciso di puntare quella sera. Come già anticipato nei giorni precedenti, l’attenzione degli inquirenti è ora concentrata su undici tracce biologiche latenti rinvenute nella spazzatura della villetta di via Pascoli, nell’abitazione della vittima, e sulle tracce di DNA sotto l’unghia del pollice destro di Chiara Poggi. Libero.it
La puntata era attesa come quella della formalizzazione della proroga dell’incidente probatorio e, forse, dell’avvio delle analisi su nuove “impronte latenti”. Libero.it+1 Anche la scaletta ufficiale della trasmissione, riportata dalle guide tv, confermava che Garlasco avrebbe occupato una parte centrale dell’ampio parterre di casi trattati, con la presenza confermata dello stesso Abbate fra gli ospiti. Guida TV
In questo contesto, l’intervento di Abbate è apparso voluto e preparato: non un contributo marginale, ma una plateale rivendicazione interpretativa.
Le parole chiave: “ignoto”, impronta 33 e scenari alternativi
Nel corso della trasmissione, Abbate ha rilanciato alcuni temi già noti ma con argomentazioni incisive:
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La scoperta di un Dna maschile ignoto, separato dalle matrici genetiche già attribuite a Stasi o Sempio, diventa per lui un momento epocale: «È un’altra persona — ha affermato —: toglie definitivamente Stasi da questa storia».
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In verità, uno scenario di “ignoto 3” era già stato discusso in trasmissioni precedenti, secondo cui la garza del tampone orale avrebbe restituito porzioni non attribuibili alle profili noti. Abbate ne ha fatto tesoro, insistendo che le nuove rilevazioni impongono una riapertura radicale del ragionamento sul caso.
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Centrale nel dibattito è tornata l’impronta 33, da tempo punto controverso: secondo Abbate, è «dell’assassino», un’affermazione che ha suscitato la ferma reazione del generale Luciano Garofano, presente in studio, che ha denunciato l’eccessiva premura nel trarre conclusioni su elementi ancora da verificare scientificamente.
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In merito al comportamento di Alberto Stasi e alle sue telefonate la mattina del delitto, Abbate ha sostenuto che certe chiamate non fossero “sospette” in sé, ma che la coerenza cronologica del suo alibi (scrittura della tesi e uso del computer) non sia messa in discussione: «Non ci vedo nessuna anomalia, ma ci vedo totale coerenza».
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Altri elementi messi in rilievo: la presenza di video intimi sul computer di Chiara e Stasi, ipotizzati come potenziale movente latente da Abbate in precedenti puntate, è tornata come spunto in studio come tessera mancata di un mosaico potenzialmente rivelatore.
Nel complesso, l’intervento si è costruito come una tesi alternativa — non ufficiale, ma forzatamente assertiva — che mira a scardinare posizioni giudiziarie consolidate e a ricalibrare lo sguardo sul caso.
Lo scontro in studio: Abbate vs Garofano e le barriere del dibattito
Come prevedibile, le affermazioni di Abbate hanno generato reazioni forti, specie da una delle figure tecniche più presenti nei dibattiti sul delitto di Garlasco: il generale Luciano Garofano, consulente della difesa di Sempio e già protagonista di accesi confronti precedenti.
Il contrasto si è fatto duro sull’impronta 33. Mentre Abbate insisteva sulla sua natura decisiva, Garofano ha replicato che «non ci fu assolutamente sangue sull’impronta 33» e che le analisi legate a emoglobina e DNA erano risultate negative.
Il giornalista ha risposto che un’affermazione del genere tradisce un’eccessiva cautela tecnica: «E’ una mia opinione, non giungo a conclusioni da ignorante», ha cercato di smorzare Abbate, pur mantenendo fermezza.
Lo scontro si è ampliato anche alla questione delle responsabilità delle perizie in corso: Garofano ha ribadito che non è possibile anticipare alcunché prima che gli esami vengano completati e validati. Abbate ha controbattuto che il pubblico ha bisogno di orientarsi già da ora, e che certe interpretazioni “forzate” possono servire a non lasciare il dibattito in balìa dell’indeterminatezza.
L’effetto televisivo è stato netto: il pubblico ha percepito un contrasto non solo tecnico ma anche metodologico, tra un giornalista «interrogatore» e un consulente tecnico che difende sacrosanti steccati scientifici.
Le reazioni “fuori onda” e il peso mediatico dell’intervento
Fuori dallo studio, l’intervento di Abbate ha già sollevato commenti nei media online, nei blog di cronaca nera e nei social affezionati al caso Garlasco. Qualche giornale ha enfatizzato la definizione «clamorosa» data dallo stesso Abbate all’idea che “ci sia un altra persona non considerata finora”.
Da parte delle difese e dei consulenti è arrivata più prudenza: fonti vicine all’entourage di Sempio hanno affermato che non si può ancora parlare di “ribaltamento” sulla base di ipotesi interpretative, e che i reali effetti giudiziari dipendono da esiti tecnici non ancora definiti.
L’effetto mediatico dell’intervento dipende da quanto il pubblico percepisce queste interpretazioni come fondate o come “fumo da talk show”. Alcuni commentatori hanno già espresso perplessità sulla responsabilità di un giornalista nel formulare deduzioni così nette su casi in corso.
Bilancio critico: opportunità e limiti del giornalismo d’interpretazione
L’intervento di Abbate del 26 settembre può essere letto come paradigma del giornalismo d’interpretazione applicato ai cold case: non si accontenta di raccontare, ma pretende di offrire una chiave di lettura forte, propositiva. In quell’ottica, il suo ruolo è doppio: stimolare l’attenzione pubblica e provocare le forze investigative a non considerare nulla come scolpito.
Però, esistono limiti evidenti. Anzitutto, l’asserzione di certezze su elementi ancora in fase di analisi rischia di anticipare o condizionare le valutazioni tecniche ufficiali. Anche un giornalista di lungo mestiere come Abbate non può sostituirsi ai periti, né imporre una verità alternativa sulla base di “sensazioni”.
In secondo luogo, il confronto si gioca sul terreno della credibilità: quando lo stile diventa assertivo e “provocatorio”, si corre il rischio di polarizzare l’opinione pubblica più che contribuire a una ricostruzione serena e rigorosa.
Tuttavia, l’intervento ha avuto anche meriti: ha messo in risalto elementi forse trascurati nei dibattiti più “tecnici” e ha costretto gli esperti in studio a motivare ogni cautela. In un caso tanto sfuggente come quello di Garlasco, rompere il silenzio interpretativo può servire a non dare per scontato nulla.
Conclusione: un momento spartiacque nel racconto del caso Garlasco?
Non sappiamo ancora se l’intervento di Carmelo Abbate del 26 settembre 2025 verrà ricordato come una svolta, una forzatura mediaticamente utile ma processualmente sterile, o una scintilla che spinge a nuove piste sul caso Garlasco. Quello che è certo è che ha messo in chiaro una cosa: la narrazione pubblica del delitto di Chiara Poggi non è mai ferma, e ogni interprete giornalista, consulente, magistrato è attirato nel vortice di ipotesi, sospetti e rilanci.
Nel panorama televisivo e giudiziario italiano, quella sera Quarto Grado ha dimostrato ancora una volta che il confine tra cronaca e speculazione è sottile, e che il pubblico se ben stimolato può avere un ruolo attivo, ben oltre il semplice spettatore. Se, in futuro, una delle tracce biologiche ignote dovesse trovare un nome, molti chiederanno se quella visione “anticipata” di Abbate aveva colto qualcosa che altri stavano ancora cercando.











