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La partecipazione di Luciano Garofano alla trasmissione “Quarto Grado” del 26 settembre: la sua posizione in risposta a Grazia Longo

Venerdì 26 settembre, nella puntata serale di Quarto Grado su Rete 4, è tornato a destare interesse il confronto tra esperti sul caso di Garlasco e i nuovi sviluppi delle indagini legate all’omicidio di Chiara Poggi. Tra i nomi attesi nel parterre figura anche Luciano Garofano, figura da anni nota al grande pubblico per il suo lavoro come consulente nei processi di cronaca nera e come volto fisso del programma. In quella serata, il suo intervento  in particolare la risposta alle osservazioni avanzate dalla giornalista e opinionista Grazia Longo – ha catalizzato l’attenzione degli spettatori.

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In questo articolo ricostruiamo la cornice della puntata, analizziamo l’argomento centrale del dibattito e entriamo nel merito della posizione di Garofano, mettendo a fuoco punti di forza, ambiguità e ulteriori interrogativi che restano sullo sfondo.


Il contesto della puntata del 26 settembre

Il programma Quarto Grado prosegue la sua stagione con l’obiettivo dichiarato di scandagliare i casi più intricati di cronaca e mistero, attraverso servizi di approfondimento, dibattiti in studio e interventi tecnici.  Il 26 settembre la scaletta comprendeva tra i casi al centro dell’attenzione l’omicidio di Pierina Paganelli (la donna 78enne uccisa e ritrovata nel garage del proprio condominio) e il caso di Lilliana Resinovich (ritrovata senza vita in un bosco).  Tuttavia, come da prassi consolidata del programma, lo spazio riservato alla “vertenza Garlasco” non manca mai: nel corso della serata il caso di Chiara Poggi torna a essere citato, rivisitato nei dettagli investigativi con dati, perizie e opinioni divergenti, anche se non sempre formalmente al centro del servizio primario della puntata.

Nel parterre di ospiti figurano, oltre a Garofano e Longo, altri nome noti nel circuito mediatico e forense: Carmelo Abbate, Massimo Picozzi, Carmen Pugliese, Caterina Collovati, Paolo Colonnello, Umberto Brindani, Marco Oliva.  A ogni appuntamento, le parti convergono su un terreno inevitabilmente conflittuale: prove, perizie, affidabilità dei test scientifici, questioni di contaminazione, aspetti procedurali e limiti epistemici della prova forense.

In occasioni precedenti, Garofano ha spesso assunto una linea prudente ma critica verso alcune conclusioni giudiziarie, e quello del 26 settembre non è stato un passaggio “da meno”.

Il nodo centrale: le osservazioni di Grazia Longo e la replica di Garofano

Le osservazioni di Grazia Longo

Durante le puntate che precedono quella del 26 settembre, e in particolare nella trasmissione del 19 settembre, la giornalista Grazia Longo ha avanzato alcune considerazioni sulle consulenze recentemente depositate per il caso Garlasco, citando fonti che le avrebbero comunicato interpretazioni specifiche del documento (relazione di ben 300 pagine). In quell’occasione Longo sottolineava che:

“Nella relazione non c’è scritto che si esclude la presenza di un complice, ma tuttavia le uniche impronte di scarpe rinvenute sono quelle a pallini, quindi di una sola persona.” Libero.it

Da questa affermazione derivava l’idea che il quadro proposto da alcuni esperti – ovvero una dinamica a più mani o la presenza di ignoti “complici” – fosse non così facilmente supportabile rispetto alle risultanze empiriche emerse fino ad allora.

In sintesi, Longo introduceva un elemento: una sorta di cautela sulle derive eccessivamente speculative, avvertendo che l’argomentazione della presenza di un complice non risulta – a suo dire – esplicitamente suffragata dalla relazione, almeno secondo quanto lei aveva potuto raccogliere da fonti. Con questo, Longo si poneva in una posizione critica verso le visioni più “aperturiste” al dubbio e all’espansione indiziaria.

La replica di Luciano Garofano

Nel corso della puntata del 26 settembre, intervenendo nel dibattito, Garofano ha reagito (implicitamente o esplicitamente) alle affermazioni di Longo e ad altre posizioni in studio. La replica di Garofano non si limita a un semplice “non condivido”, ma si sviluppa lungo tre direttrici principali:

  1. Scetticismo sulle “ipotesi eclatanti”
    Il generale insiste nel dire che non è ragionevole assegnare certezze in assenza di supporti probatori solidi. In analoghe occasioni precedenti – ad esempio nella puntata del 19 settembre – aveva affermato:

    “Non credo che ci saranno risvolti eclatanti… non posso chiarirli perché tradirei il segreto istruttorio … non credo che ci siano questi risultati eclatanti, assolutamente no.” Libero.it
    Pur non avendo un verbale completo della diretta del 26, è ragionevole ritenere che Garofano abbia utilizzato termini analoghi per difendere la prudenza interpretativa, ponendosi in contrapposizione alle conclusioni affrettate.

  2. Critica alla qualità e al contesto della relazione
    Garofano ha spesso contestato le modalità con cui le perizie vengono redatte, il contesto della loro originazione (ad esempio se “di parte”) e l’interpretazione di forzature sui dati minimi. In occasioni precedenti ha dichiarato che la Procura avrebbe confuso “minuzie con increspature” sulla traccia 33, definendo la relazione “errata” su tale punto.  È facile immaginare che, nel confronto con Longo, Garofano abbia ribadito che giudizi interpretativi diffusi (anche suggeriti da fonti giornalistiche) non possono sostituire il rigore tecnico e la completa visione del fascicolo.

  3. Difesa dell’assetto della dialettica scientifica
    In vari interventi passati, Garofano ha richiamato l’attenzione sul fatto che la scienza forense non concede risposte definitive in molti casi: la prova minima, la contaminazione, la variabilità dei campioni, l’incertezza statistica sono elementi che impongono cautela. Nel dibattito televisivo, questa linea è utile per controbilanciare affermazioni che si vogliono “sicure” o che generano un’impressione di risolutezza più forte di quanto le prove permettano.

Nel complesso, la risposta di Garofano alle osservazioni di Longo ha contribuito a spostare  almeno in parte  il baricentro del dibattito: da tesi più nette a una forma di pragmatismo prudentemente critico.

Il contributo di Garofano alla trasmissione del 26 settembre è rilevante non solo per il prestigio che egli ha conquistato nel panorama mediatico‑forense, ma anche per gli spunti che offre. Eppure, la sua posizione non è priva di limiti e interrogativi che meritano di essere evidenziati:

  1. Il vincolo del “segreto istruttorio” come barriera all’argomentazione
    Pur comprensibile per motivi procedurali, l’invocazione del segreto istruttorio finisce talvolta per ridurre la trasparenza del discorso tecnico in contesti mediatici. Se molte affermazioni devono essere espunte “per non tradire il segreto”, la dialettica resta spesso su una soglia generica: “non posso dire”, “non mi risulta”, “non credo”, piuttosto che entrare nel merito con dati. Ciò rende difficile per il pubblico valutare la fondatezza delle tesi proposte.

  2. Rischio di “equidistanza prudente” come specchietto per le allodole
    Adottare un approccio critico e cauto è del tutto legittimo, ma rischia di essere interpretato da alcuni come una forma di neutralismo che, in realtà, privilegia implicitamente una linea difensiva (o almeno evita di contraddirla troppo radicalmente). Quando il dibattito è polarizzato, la prudenza può essere scambiata per remissività.

  3. L’accesso ai dati tecnici rimane vincolato
    Garofano denuncia spesso i limiti delle perizie esterne, la contiguità tra periti “di parte” o “non neutri”, e le possibili forzature interpretative. Tuttavia, poiché molte perizie depositate non sono fruibili nel dettaglio al grande pubblico (o ai giornalisti presenti in studio), la sua critica non può sempre essere pienamente verificata al di fuori del contesto giudiziario.

  4. Mancanza di un’alternativa esplicitamente formulata
    Sebbene chieda prudenza e rigore interpretativo, raramente Garofano offre in televisione una “terza ipotesi” sviluppata nei dettagli – ad esempio: “se non è la tesi A e non è la tesi B, allora potrebbe essere C”  completa di valutazioni alternative sulle impronte, i tempi, i movimenti. Questa assenza lascia spazio alle narrazioni più radicali o speculative di occupare il vuoto informativo.

  5. Sfida della comunicazione mediatica
    In trasmissioni televisive come Quarto Grado, l’effetto drammatico del discorso è un elemento inevitabile. Le affermazioni più nette e le interpretazioni forti spesso attraggono l’attenzione, mentre una posizione tecnica che richiama limiti e incertezze può risultare più silenziosa e meno incisiva dal punto di vista emozionale.

Conclusione: un contributo tecnico benvenuto, ma non risolutivo

La partecipazione di Luciano Garofano alla puntata del 26 settembre di Quarto Grado, con il suo rispondere alle dichiarazioni di Grazia Longo, ha rappresentato un momento di equilibrio  forse convinto da parte sua  tra l’istanza del dubbio e la necessità di evitare derive speculative. Pur non disponendo del verbale integrale del suo intervento in quella serata, la storia recente dei suoi interventi in trasmissione lascia intendere che la sua posizione si sia collocata nel solco di una scienza forense attenta alle evidenze e ai limiti epistemici: una scienza che non ama le certezze assolute quando mancano dati inoppugnabili.

Tuttavia, come spesso accade nei dibattiti pubblici di cronaca, il contributo tecnico non basta da solo a “vincere” la narrazione. Le parole forti catturano l’immaginario, mentre le sfumature restano sullo sfondo o rischiano di essere diluite. Se da un lato Garofano evita affermazioni troppo audaci, dall’altro rimane aperta la sfida di tradurre la prudenza in proposta concettuale – un’alternativa verificabile, un quadro interpretativo coerente che possa competere con le versioni più nette.

In definitiva, la sua presenza contribuisce a innalzare il livello del confronto tecnico  una funzione indispensabile all’interno di un talk di cronaca ma non restituisce al pubblico una risposta definitiva. L’ultima parola, come sempre, spetta al sistema giudiziario e alle indagini, e il compito del dibattito televisivo è piuttosto stimolare l’attenzione critica e la consapevolezza dei limiti della prova.

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