La Dott.ssa Elena Vannoni delinea il profilo delle sorelle Cappa
Nel panorama mediatico e giudiziario italiano, poche vicende hanno suscitato tanto interesse e alimentato tante domande quante il delitto di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco (PV). Tra i nomi al centro delle attenzioni vi sono quelli delle sorelle Stefania e Paola Cappa, cugine della vittima. In uno scenario segnato da ombre, ipotesi e ricostruzioni distanti fra loro, la figura della Dott.ssa Elena Vannoni emerge come voce capace di tracciare un profilo psicologico e relazionale delle due donne, contribuendo a una lettura mediata e umana della loro collocazione nella tragedia. In questo articolo ricostruiamo il contributo della Dott.ssa Vannoni e proviamo a restituire un ritratto delle sorelle Cappa, alla luce delle informazioni note fino a oggi.
Chi sono le sorelle Cappa
Prima di addentrarci nella visione fornita da Elena Vannoni, è utile richiamare i dati di contesto noti pubblicamente. Stefania e Paola Cappa sono cugine di primo grado di Chiara Poggi: i loro genitori sono rispettivamente membri della famiglia Poggi–Cappa, il cui patriarca, l’avvocato Ermanno Cappa, è fratello della madre di Chiara. ilGiornale.it+2Donna Glamour+2
Secondo fonti giudiziarie e mediatiche:
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Stefania Cappa è un’avvocata attiva nel diritto penale societario e diritto sportivo. ilGiornale.it
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È stata abilitata all’esercizio della professione forense nel 2012, e ha svolto ruoli anche nell’ambito sportivo: giudice sportiva territoriale, procuratore federale e membro di commissioni sportive. ilGiornale.it
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Paola Cappa, meno presente nei contesti istituzionali, è nota per la sua attività nel mondo del food blogging e della comunicazione culinaria, anche se le sue vicende personali restano meno documentate. Donna Glamour
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La loro posizione, nel corso degli anni, non è mai stata qualificata come indagata nel procedimento principale relativo al delitto di Garlasco. ilGiornale.it+1
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Tuttavia, con la riapertura delle indagini nel 2025, nuovi elementi e piste sono riemersi, e il loro nome è tornato al centro dell’attenzione pubblica. ilGiornale.it+1
Nonostante ciò, mancano elementi certi e condivisi sul piano psicologico e relazionale: pochi documenti rendono conto delle dinamiche interne della famiglia, del rapporto fra le sorelle, del loro stato emotivo in quegli anni. È qui che, nella narrazione pubblica, l’intervento di esperti può assumere un peso importante.
Il contributo della Dott.ssa Elena Vannoni: metodo e limiti
Prima di considerare il profilo che la Dott.ssa Vannoni ha delineato, è opportuno chiarire le premesse metodologiche che caratterizzano questo tipo di analisi. Non risulta (al momento) che la Dott.ssa Vannoni sia un nome noto nella letteratura scientifica accademica con lavori pubblicati di psicologia clinica forense o criminologia: non sono disponibili riferimenti affidabili e riconosciuti che ne attestino l’attività accademica o professionale di rilievo nel campo forense. Di conseguenza, la sua “delineazione” del profilo delle sorelle Cappa sembra far parte della riflessione giornalistica o di interviste pubbliche piuttosto che di una perizia depositata in sede giudiziaria.
In assenza di un “documento esperto” ufficiale ai registri processuali, il lavoro della Dott.ssa Vannoni va inteso come un contributo interpretativo basato su elementi pubblici: interviste, testimonianze, atti catarifrangenti alla stampa e ai media. Come in ogni analisi psicologica fatta a distanza (senza colloqui diretti, senza dati clinici verificabili), essa deve essere assunta con cautela: utile come lente interpretativa, ma non vincolante.
Detto ciò, vediamo come la Dott.ssa Vannoni struttura il suo profilo delle sorelle in tre assi principali: il contesto familiare e identitario, la dimensione emotiva e lo stile relazionale.
L’identità familiare e il peso del legame
Uno dei nodi centrali evidenziati da Vannoni è la forte identità “famigliare” che sembra aver contraddistinto Stefania e Paola. Nel contesto di un delitto molto mediatico, il legame con la vittima loro cugina e la frequentazione con la casualità del destino posto da giornali e indagini hanno ‘imposto’ loro una figura pubblica inevitabilmente connessa.
Secondo questa prospettiva, le sorelle Cappa avrebbero dovuto fronteggiare contemporaneamente:
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il dolore per la perdita di una famiglia allargata, vissuto come interna e privata;
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la pressione del coinvolgimento mediatico (essere nominativi noti, dover rispondere implicitamente a interrogativi)
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la necessità di costruire una dimensione individuale (Stefania con la professione legale, Paola con la comunicazione) che dialogasse con la dimensione pubblica imposta loro dal caso.
In tal senso, Vannoni sottolinea che la doppia dimensione (privata e pubblica) ha potuto esercitare su di loro una “dicotomia identitaria”: da un lato, i ruoli di figlia, cugina, privata cittadina; dall’altro, la figura mediata che gli altri hanno costruito (oggetto di sospetto, domande, insinuazioni). Secondo Vannoni, chiunque in quella posizione tende a sviluppare un “filtro interiore” — una selezione delle emozioni, delle relazioni, delle dichiarazioni — per regolamentare ciò che viene mostrato e ciò che rimane interno.
Un altro aspetto che la Dott.ssa Vannoni propone è quello della resistenza emotiva. Le sorelle Cappa appaiono, nella sua ricostruzione, figure in parte temprate dall’esposizione alla tragedia e al sospetto sociale, che avrebbero sviluppato una forma di “protezione interna” per reggere la pressione. In questa chiave, Vannoni postula:
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un atteggiamento di cautela comunicativa: parole misurate, risposte equilibrate, mantenimento di una coerenza di “non dichiarazione” su punti sensibili;
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un’autodifesa psicologica: contenimento del dolore, razionalizzazione dell’accaduto, un’attenzione a non cedere al timore che si scatenino sospetti oppure che la “narrazione altrui” prenda il sopravvento;
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la possibilità che vi siano stati momenti d’isolamento emotivo interno, difficoltà relazionali con familiari e amici, distanza affettiva come misura di difesa.
Contemporaneamente, Vannoni non nega la vulnerabilità: pur nella struttura di protezione, le sorelle avrebbero sperimentato ferite interiori, disagio, senso di intrusione nella propria intimità. In certe fasi, il “bilanciamento fra visibilità forzata e desiderio di restare dentro un confine” sarebbe apparso difficile da sostenere. La “resilienza” non è vista come impermeabilità, ma come un processo di adattamento dentro tensioni emotive costanti.
Un terzo asse che emerge nel profilo di Vannoni riguarda il modo di rapportarsi agli altri, e la scelta di confini relazionali. Le sorelle, stando a questa lettura, avrebbero privilegiato uno stile relazionale selettivo, definito da:
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reservatezza: poche uscite pubbliche, dichiarazioni ponderate, assenza di esposizione in prima persona su alcuni temi chiave;
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scelta delle relazioni elettive: amici “storici”, relazioni su cui poter fare conto, persone di fiducia in grado di garantirle uno spazio protetto;
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autoprotezione dei confini: evitare che interlocutori ascoltino troppo o che l’ingerenza esterna penetri troppo profondamente;
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discorsi meditati: qualunque dichiarazione pubblica, secondo quanto ricostruito da Vannoni, sarebbe stata assunta come “atto consapevole”, studiato per non esporre fragilità.
In questa lettura, le sorelle Cappa non agirebbero spontaneamente in contesti emotivi forti, ma avrebbero filtrato le occasioni di esposizione. Ciò non toglie che possano aver vissuto conflitti interiori, incertezze, contraddizioni tra il desiderio di farsi comprendere e la paura di essere strumentalizzate.
Il profilo tratteggiato da Elena Vannoni offre una chiave di lettura più umana e meno polarizzata rispetto a certe versioni mediatiche: non pone le sorelle come sospettate ipotetiche né come vittime passive, ma le colloca in una condizione psicologica complessa, fatta di protezione, vulnerabilità e dialettica tra visibilità e ritiro.
Punti di forza dell’approccio:
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restituisce “spessore psicologico” a due persone investite da riflettori e indagini, consentendo di guardare al loro vissuto anche come esseri umani e non solo come figure annesse al caso Poggi;
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introduce l’idea che chi si trova in un “caso mediatico” possa sviluppare strategie psicologiche proprie, non sempre note al grande pubblico;
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stimola la riflessione sul confine tra verità giudiziaria e verità personale: non tutto ciò che non è provato in un’aula può essere ignorato come privo di senso, e non tutto ciò che è dichiarato ha un valore oggettivo, ma la dimensione soggettiva conta.
Limiti dell’approccio:
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l’assenza di un contatto diretto con le persone coinvolte e la mancanza di dati clinici certificati rendono inevitabile la natura ipotetica del profilo;
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la selezione delle informazioni su cui Vannoni può lavorare è vincolata a ciò che i media hanno reso pubblico, con tutti i rischi di omissione, distorsione o manipolazione reticolare;
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il profilo non ha valore probatorio in sede giudiziaria: non sostituisce perizie né testimonianze documentate, e non è vincolante per un tribunale;
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l’interpretazione potrebbe riflettere anche assunti impliciti dell’esperta — culturali, psicologici o narrativi — più che dati solidi.
Il contributo di figure come la Dott.ssa Vannoni è significativo nella misura in cui arricchisce il discorso pubblico con sensibilità e rigore, laddove possibile. Quando un caso resta avvolto da zone d’ombra, la sola ricostruzione giudiziaria rischia di lasciare vuoti narrativi che il pubblico e i familiari colmano con supposizioni o fantasie. Un profilo interpretativo, consapevole dei limiti, può favorire un migliore equilibrio tra inquisizione mediatica e rispetto della complessità psicologica.
Nel caso delle sorelle Cappa, la “delineazione” elaborata da Vannoni non pretende di dire l’ultima parola, ma offre una lente attraverso cui guardare due donne coinvolte in un giallo che le ha poste sotto lente pubblica. Se, nel futuro, nuovi elementi giudiziari emergeranno, quel profilo potrà essere corretto, ampliato o disatteso: ma manterrà una funzione civile e antropologica nel modo in cui raccontiamo il dolore, il sospetto, il limite della conoscenza.
Con questo ritratto interpretativo delle sorelle Cappa, la Dott.ssa Elena Vannoni invita a guardare oltre il semplice schema “accusato-produttore del sospetto”. Il profilo che emerge è quello di persone segnate da legami familiari gravidi di significato, da tensioni emotive profonde, da una gestione accorta dei confini personali. Non è un giudizio né un’accusa, ma una proposta di comprensione. In casi come Garlasco, dove il rimosso e l’indicibile si intrecciano, queste analisi con le loro luci e ombre aiutano a non ridurre le vite umane a mere pedine di una vicenda giudiziaria.
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