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Il ministro degli esteri neozelandese a New York: “Noi per la soluzione a due Stati, il riconoscimento della Palestina è questione di tempo”

New York, 27 settembre 2025 — In un discorso molto atteso alla 80ª Assemblea generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri della Nuova Zelanda, Winston Peters, ha ribadito l’impegno ufficiale del suo Paese per una soluzione a due Stati al conflitto israelo‑palestinese. Tuttavia, contrariamente ad alcune aspettative internazionali, Peters ha chiarito che in questa fase la Nuova Zelanda non riconoscerà immediatamente lo Stato di Palestina — almeno finché non si verifichino le condizioni che rendano una simile decisione praticabile e credibile.

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Il discorso a New York: tono calibrato e prudenza diplomatica

Nel suo intervento all’Assemblea generale, Peters ha usato un tono solenne e misurato. Ha affermato che la Nuova Zelanda resta “una sostenitrice di lunga data” dei diritti dei palestinesi e del principio dei due Stati  uno Stato israeliano sicuro e uno Stato palestinese con confini riconosciuti e governance affidabile  da convivere in pace.

Tuttavia, ha aggiunto, “con una guerra in corso, Hamas ancora de facto governo di Gaza e senza chiarezza sui prossimi passi, vi sono troppi interrogativi sul futuro dello Stato di Palestina per ritenere prudente annunciare oggi un riconoscimento formale”.

Peters ha infatti messo in guardia sul rischio che un riconoscimento prematuro possa essere usato sia da parte israeliana che da quella palestinese (o da Hamas) come strumento retorico: da un lato, per affermare che la Palestina ha già “vinto” un riconoscimento indipendentemente dai negoziati; dall’altro, per accampare che Israele sarebbe de facto spinto ad assumere ulteriori misure militari o a rifiutare concessioni.

In parallelo, Peters ha annunciato che la Nuova Zelanda metterà a disposizione altri 10 milioni di dollari neozelandesi per l’assistenza umanitaria in Gaza, al fine di attenuare l’urgenza della crisi umanitaria che sta travolgendo la Striscia.


Una “questione di quando, non di se”

Un punto cruciale del discorso è stato l’espressione ricorrente: “quando, non se, riconosceremo lo Stato di Palestina”.  Secondo Peters, il riconoscimento non è escluso nel futuro, ma dipende da condizioni sostanziali di legittimità, governabilità, sicurezza e capacità di svolgere funzioni statuali.

Il governo neozelandese ha già spiegato che fra i prerequisiti per un riconoscimento vi sarebbero:

  1. un governo palestinese riformato e in grado di gestire le proprie istituzioni in modo trasparente e responsabile;

  2. la rinuncia alla violenza e una chiara separazione da gruppi come Hamas;

  3. il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas;

  4. la cessazione dell’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati e un dialogo negoziale più concreto;

  5. la garanzia che il riconoscimento non diventi un mero gesto simbolico privo di impatto concreto nei negoziati per la pace.

Peters ha insistito che questa cautela non equivale a neutralità passiva: “noi sollecitiamo tutti i lati a tornare al tavolo negoziale e a rispettare il diritto internazionale”, ha detto.


Reazioni interne e critiche

La posizione annunciata ha subito suscitato reazioni contrastanti nei ranghi politici della Nuova Zelanda. Il Partito Laburista, all’opposizione, ha definito la decisione “una mancata occasione morale” e ha ammonito che senza un segnale forte la Nuova Zelanda rischia di essere “dal lato sbagliato della storia”.  Alcuni parlamentari del Partito Verde hanno parlato di “codardia diplomatica”, denunciando che si chiede di sviluppare criteri di legittimità in un contesto di guerra già in corso.

Il Primo Ministro Christopher Luxon, intervenendo a Wellington, ha difeso la scelta governativa, sostenendo che non è solo il riconoscimento in sé a far avanzare la pace, ma il cambiamento reale sul terreno  in particolare una tregua negoziata, il cessate il fuoco, e il ritorno alle trattative diplomatiche. “Non è il momento giusto adesso”, ha dichiarato. Luxon ha ribadito che la posizione ufficiale del governo è che il riconoscimento arriverà “quando le condizioni saranno mature”.


Posizione internazionale: allineamenti, divergenze e contesto

L’annuncio di Peters giunge in un momento di grande fermento diplomatico: molti Paesi, soprattutto in Europa e nel mondo arabo, hanno recentemente deciso o stanno valutando di riconoscere lo Stato di Palestina come elemento del loro contributo alla pace. Al contempo, altri governi mantengono cautela o rifiuto, citando ragioni strategiche, di sicurezza o timori di legittimazione di gruppi estremisti.

La scelta neozelandese si colloca fra queste due tendenze: da una parte, l’impegno dichiarato per il modello a due Stati; dall’altro, l’astensione dall’impegno immediato, giustificata con argomenti di prudenza diplomatico‑politica.

Alcuni analisti internazionali osservano che la mossa rispecchia la tradizionale politica estera della Nuova Zelanda, che tende a bilanciare valori — come i diritti umani e il multilateralismo — con un approccio realistico alle condizioni sul terreno. In passato Wellington ha sostenuto risoluzioni ONU a favore dell’ampliamento del ruolo palestinese nell’Assemblea Generale, senza però arrivare a un riconoscimento completo.

In diversi interventi ufficiali, la Nuova Zelanda ha sottolineato che il riconoscimento non è un fine in sé, ma uno strumento che deve rafforzare, non indebolire, i negoziati per una pace duratura.


Il dilemma del riconoscimento in tempo di crisi

La condizione attuale di conflitto rende il riconoscimento dello Stato palestinese particolarmente complesso. Da un lato, il sostegno simbolico globale e la pressione dell’opinione pubblica spingono molti governi a “fare qualcosa”. Dall’altro, molti esperti mettono in guardia: se il riconoscimento è percepito come una concessione unilaterale e prematura, potrebbe indebolire la posizione negoziale delle autorità palestinesi e aggravare le tensioni con Israele.

Peters lo ha evidenziato chiaramente: “non vogliamo che il nostro riconoscimento diventi strumento di propaganda di Hamas o pretesto per ritorsioni israeliane”.  Inoltre, ha sottolineato che la riconversione diplomatica dev’essere accompagnata da una sostenibile capacità statuale palestinese: autorità amministrative funzionanti, sicurezza interna, legittimità internazionale e trasparenza.


Bilancio e prospettive

L’operato del ministro Peters a New York rappresenta un passo importante per chiarire la posizione ufficiale neozelandese: sostegno alla soluzione a due Stati, ma senza precipitazioni nel riconoscimento dello Stato palestinese. Il messaggio è chiaro: Wellington ritiene che il riconoscimento sia una decisione di fondo che va presa con sobrietà e solo quando le condizioni politiche, istituzionali e di pace lo consentano.

Questo atteggiamento ha suscitato sia apprezzamenti — per la coerenza e prudenza diplomatica — che critiche — per chi lo considera un’occasione mancata in un momento in cui il mondo si aspetta segnali concreti di solidarietà con i palestinesi.

Restano aperte le domande fondamentali: quando la Nuova Zelanda deciderà che è “il momento giusto”? E che ruolo potrà giocare nel rilanciare i negoziati di pace? Molto dipenderà dagli sviluppi sul terreno — dal cessate il fuoco, alla liberazione degli ostaggi, alle riforme interne palestinesi — e dalla capacità della comunità internazionale di rinnovare le condizioni per una pace credibile.

Per ora, Winston Peters ha impresso una linea diplomatica definita: sì al riconoscimento di uno Stato palestinese, ma solo in un quadro di realismo e sostenibilità — non come gesto simbolico, ma come passaggio consapevole verso una pace duratura.

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