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La consulenza di Linarello realizzata dalla difesa di Stasi e non era nella disposizione della famiglia di Sempio. Come ha fatto Lovati ad averla?

 

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C’è un nuovo enigma che si affaccia sul caso Stasi, o meglio, sulla fitta rete di documenti, perizie e consulenze che da anni orbitano intorno a una delle vicende giudiziarie più complesse e controverse del nostro Paese. Al centro della nuova polemica: la consulenza del dott. Linarello, redatta originariamente su mandato della difesa di Alberto Stasi, e la sua misteriosa “comparsa” tra le mani dell’avvocato Lovati.

Un fatto in sé non eclatante, se non fosse per un dettaglio sostanziale: quella consulenza non era mai entrata ufficialmente nella disponibilità della famiglia Sempio, parte civile nel procedimento, né era stata versata agli atti in maniera tale da renderla pubblicamente accessibile. A ottenere quel documento fu, a suo tempo, l’avvocato Gianluigi Tizzoni, storico legale della famiglia Poggi, che ne acquisì copia nell’ambito di interlocuzioni riservate e con finalità ben precise legate alla strategia processuale. E l’avv. Tizzoni non e’ stato sicuramente lui a passare la perizia al legale di Sempio, inuitile dirlo anzi,anche il solo pensarlo, ha del ridicolo.

Il documento, redatto con taglio tecnico e contenente analisi delicate, non era dunque “circolante”, né disponibile tramite le fonti ordinarie o in archivi aperti al pubblico. Da qui la domanda che rimbalza con crescente insistenza nei corridoi del Palazzo di Giustizia e negli ambienti del giornalismo investigativo: come ha fatto Lovati ad averla? A mezzo di investigatori privati come ha asserito lui stesso?

Tuttavia, l’uso del documento all’interno di un recente speciale televisivo  nel quale veniva messo in discussione il ruolo di alcuni protagonisti del processo  ha riacceso il dibattito sulla correttezza deontologica e sulla gestione riservata degli atti.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Secondo fonti vicine alla famiglia Poggi, il fatto rappresenterebbe “una grave violazione della riservatezza” e potrebbe configurare addirittura una fuga di notizie o l’utilizzo improprio di materiale coperto da vincoli di riservatezza professionale. Non è escluso che nei prossimi giorni l’avvocato Tizzoni valuti iniziative formali per chiarire la dinamica di quanto accaduto.

Il caso, insomma, si arricchisce di un nuovo capitolo, in bilico tra la trasparenza del diritto di cronaca e il rispetto delle regole che governano i procedimenti giudiziari. Mentre l’opinione pubblica continua a interrogarsi sul passato, le nuove domande  questa volta rivolte al presente  potrebbero aprire uno spiraglio inedito su quanto ancora rimane da chiarire attorno alla vicenda.

Nel frattempo, una certezza rimane: la consulenza Linarello era destinata a rimanere in un circuito riservato. Che ora venga citata e diffusa pubblicamente, senza chiarire il canale attraverso cui è stata ottenuta, solleva interrogativi che vanno oltre il singolo caso e toccano i principi stessi della giustizia e dell’informazione.

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