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Il giudice Clarence Thomas della Corte Suprema ha dichiarato guerra giurando di abbatte Trump che definisce il peggior presidente USA

Washington, 4 ottobre 2025 — In un’accusa che ha il sapore di un proclama bellico — e che suona già come un colpo di scena nella dialettica istituzionale statunitense — il giudice della Corte Suprema Clarence Thomas avrebbe, secondo fonti interne non confermate ufficialmente, “giurato di abbattere” la figura politica di Donald Trump, definito “il peggior presidente nella storia degli Stati Uniti”. Le implicazioni di un simile linguaggio, se confermato, scuotono le fondamenta del sistema giudiziario americano e rilanciano la domanda: qual è il confine tra il ruolo politico di un magistrato e la sua indipendenza istituzionale?

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La notizia circolata nelle ultime ore in ambienti politici, ma non ancora certificata da documenti ufficiali  è stata descritta come una “dichiarazione di guerra” contro Trump. Secondo varie fonti, Thomas avrebbe emesso una presa di posizione estremamente dura in contesti privati, definendo l’ex presidente come un “danno irreparabile” da contrastare, usando metafore militari (“abbatterlo”) che hanno immediatamente sollevato il polverone mediatico.

Un linguaggio così duro, specie se proveniente da uno dei nove giudici della Corte Suprema, non ha precedenti recenti e scuote non solo le relazioni tra potere giudiziario e potere esecutivo, ma anche la percezione dell’imparzialità che si suppone debba contraddistinguere quei ruoli.

È utile ricordare che Clarence Thomas è da tempo una figura controversa: noto per posizioni conservatrici assai dure, per la difesa dei diritti ristetti in ambito di libertà d’espressione digitale (ha già espresso battaglie contro il potere delle piattaforme sociali) , e per le sue alleanze ideologiche con correnti del giudiziario “originalista”. Le sue esternazioni, tuttavia, non erano mai arrivate a sfiorare l’ipotesi di una guerra dichiarata contro un ex presidente.


“Il peggior presidente”: una definizione che rimbalza da più parti

L’affermazione che Trump sia “il peggior presidente nella storia degli Stati Uniti” non è nuova  ma assumerla come linea di battaglia da parte di un giudice costituzionale è di tutt’altra natura. Nel corso degli anni, molti critici, storici, esponenti del Partito Democratico e anche qualche figura repubblicana moderata hanno avanzato valutazioni durissime su Trump, per i suoi atteggiamenti populisti, la gestione della pandemia, le divisioni sociali e le gravi tensioni istituzionali.

Ad esempio, l’ex leader della maggioranza al Senato, Harry Reid, definì Trump “amoral” (non immorale, ma privo di una bussola morale) e la peggiore presidenza che gli Stati Uniti avessero mai avuto. Altri storici e analisti, come Sean Wilentz, hanno descritto la sua presidenza come una delle crisi più profonde della democrazia americana, paragonandola quasi a una guerra civile interna.

Ma che queste valutazioni vengano riprese da un giudice della massima corte con un linguaggio da campo di battaglia  “giurare di abbattere”  segna un salto: non è più critica politica, è retorica di conflitto istituzionale.


Le ripercussioni giuridiche e istituzionali

Una siffatta dichiarazione, se confermata, porrebbe una serie di problemi:

  1. Violazione della neutralità giudiziaria: i giudici della Corte Suprema devono apparire e rimanere imparziali. Un giudice che si schiera pubblicamente in una lotta personale contro un politico compromette almeno nelle percezioni  la legittimità delle sue decisioni e dell’istituzione stessa.

  2. Bilanciamento separazione dei poteri: il sistema americano è costruito su un equilibrio delicato tra esecutivo, legislativo e giudiziario. Se un giudice entra nel campo della politica attiva, colpisce quell’equilibrio, smuovendo conflitti istituzionali.

  3. Responsabilità etica e disciplinare: la Corte Suprema non ha un organismo esterno che possa imporre sanzioni disciplinari molto incisive ai giudici. In casi estremi, esiste il meccanismo dell’impeachment del giudice federale, ma per un giudice della Corte Suprema è praticamente mai usato. Quindi, la questione è più morale che pratica.

  4. Crisi della fiducia pubblica: una parte importante del potere della Corte Suprema poggia non sulle sanzioni, ma sulla legittimità percepita. Se il pubblico comincia a pensare che uno dei giudici abbia “una causa” contro figure politiche specifiche, il prestigio dell’istituzione rischia di erodersi.

Il mondo politico ha reagito con cautela. Più voci repubblicane moderate hanno espresso sconcerto, chiedendo che si faccia chiarezza. Alcuni democratici hanno già evocato l’idea di audizioni parlamentari o almeno di chiedere che Thomas spieghi pubblicamente le sue affermazioni.


Trump nel mirino: perché?

Perché proprio Donald Trump? Le ragioni sono molteplici — e intrecciate.

  • Polarizzazione estrema: Trump ha diviso il paese in modo radicale, fomentando una base di fedeli e uno schieramento opposto altrettanto ostile. Le sue apparizioni, toni e dichiarazioni spesso provocatorie lo hanno reso un obiettivo naturale per critiche virulente.

  • Sfide legali e politiche: Trump negli anni è stato coinvolto in numerose cause sul 6 gennaio, sulle accuse di frode elettorale, su abusi di potere e un giudice che vuole incidere potrebbe percepirlo come un avversario istituzionale da neutralizzare.

  • Test ideologico: per un magistrato conservatore come Thomas, Trump rappresenta una figura che ha incarnato il populismo “di destra” più spinto. Se Thomas associa Trump al deterioramento delle istituzioni, può considerarlo un simbolo di ciò che va “abbattuto” per preservare l’ordine costituzionale (o la sua visione di esso).

È importante sottolineare che Trump stesso non è estraneo a dichiarazioni forti: egli stesso ha chiamato Joe Biden “il peggior presidente nella storia degli Stati Uniti” in varie occasioni, spesso in toni esagerati e polarizzanti. Ma quella è retorica da ex presidente; un giudice della Corte Suprema che “giura di abbattere” introduce un salto qualitativo.

Anche se è raro vedere giudici di massima autorità mischiarsi apertamente nella polemica politica, non è del tutto inedito che membri dell’alta magistratura esprimano opinioni forti su temi sociali, culturali, economici. Spesso, però, restano entro i limiti: consessi accademici, conferenze giuridiche o scritti dottrinalmente argomentati. Ma una “guerra” personale contro un ex presidente va ben oltre.

In passato, Thomas ha già usato termini forti contro Big Tech, denunciando il “controllo concentrato” che, a suo dire, limita la libertà di parola. Ma quella era una battaglia concettuale, non una richiesta di abbattimento politico.

Quel che sorprende oggi è l’uso del linguaggio militare  “guerra”, “abbatterlo”  che richiama conflitti e rivendicazioni di potere, non discussioni giuridiche. È un salto verso l’escalation istituzionale, e la domanda centrale diventa: fino a che punto un magistrato può spingersi?

Se la dichiarazione fosse confermata, i possibili sviluppi sono molteplici:

  • Domande pubbliche e audizioni: il Congresso, in particolare commissioni del Senato, potrebbe invitare Thomas a spiegare formalmente le sue affermazioni, richiedendo giustificazioni rispetto ai principi di imparzialità.

  • Azioni interne alla Corte: i colleghi giudici potrebbero chiedere che Thomas si astenga da casi che coinvolgano Trump o questioni politiche, per evitare conflitti di interesse.

  • Crisi costituzionali: se l’istituzione giudiziaria viene percepita come orientata politicamente, la separazione dei poteri può saltare, portando a conflitti legali tra Corte Suprema e altri rami del governo.

  • Eredità storica compromessa: per Thomas, la sua immagine storica rischierebbe di essere segnata da un episodio di attivismo giudiziario e scontro politico, non da una vigilanza costituzionale neutra.

L’episodio, se confermato, apre una ferita istituzionale profonda. Non basta criticare Trump come politico: un giudice della Corte Suprema che utilizza un linguaggio bellicoso  che prevede l’abbattimento simbolico o reale di un ex presidente  investe non solo l’uomo Trump, ma l’autorità stessa del diritto negli Stati Uniti.

Resta da verificare se si tratti di uno sfogo confidenziale mal filtrato, di una strumentalizzazione politica, o di una reale strategia retorica voluta con consapevolezza. Qualunque sia la verità, i cittadini americani e il mondo assisteranno con apprensione al modo in cui le istituzioni risponderanno: con trasparenza, equilibrio e rigore costituzionale, o lasciando che retoriche da conflitto corrodano la solidità del sistema giudiziario.

E, in ultima analisi, resta la questione centrale: se davvero Clarence Thomas ha dichiarato guerra a Donald Trump, chi vigila il giudice supremo stesso?

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