I dazi USA presentano il conto: crolla l’export del Made in Italy
Il conto presentato dagli Stati Uniti all’Italia e più in generale all’Unione Europea per la stagione dei nuovi dazi imposti da Washington rischia di essere salato, pesante. In primo piano, il Made in Italy è la posta più vulnerabile: dalle eccellenze agroalimentari all’alta moda, dal vino all’oleocultura, dalle componenti meccaniche ai cosmetici, molte imprese rischiano di contare perdite drammatiche di quote di mercato oltreoceano.
Negli ultimi mesi l’ombra dei dazi statunitensi si è allungata sulle esportazioni italiane, facendo precipitare attese e cifre che fino a ieri erano all’insegna della crescita. Gli annunci dell’amministrazione di Washington, le indagini antidumping contro aziende italiane, la retorica protezionista tornata in auge tutto contribuisce a un clima di incertezza che sta già divenendo danno tangibile.
Una quota esposta: l’Italia dipende molto dal mercato USA
Nel 2024 l’export italiano verso gli Stati Uniti ha superato i 64 miliardi di euro, con una crescita del 42 % rispetto al 2019. ANSA.it+1 Le merci vendute oltreoceano rappresentano circa il 10 % dell’export nazionale totale e circa il 22 % delle esportazioni italiane che vanno fuori dall’Unione Europea. Xinhua News+1
Non è un caso che l’Italia sia uno dei Paesi UE più esposti: settori chiave come alimentare e moda, che costituiscono l’anima del Made in Italy, hanno nei consumatori statunitensi un mercato di riferimento irrinunciabile. ANSA.it+2Confartigianato Imprese+2
Per alcune imprese, legate a filiere delicate e a nicchie valorizzate dal “paese d’origine”, un aumento tariffario del 10‑20 % campo su cui Washington ha ventilato ipotesi concrete — significherebbe un calo dell’export stimato tra il 4,3 % e il 16,8 %. Confartigianato Imprese+1
Nel caso di dazi del 20 %, il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, ha precisato che circa il 10 % delle esportazioni italiane verso gli USA verrebbe messo a rischio, con un impatto particolarmente grave per le componenti auto e la filiera automobilistica. ANSA.it+1
Confartigianato, da parte sua, stima che un dazio aggiuntivo al 10 % potrebbe costare all’Italia circa 4 miliardi di euro di export. Italia News – Ultime notizie Sul fronte occupazionale, Confindustria ha avvertito che i dazi statunitensi (fino al 30 %) potrebbero erodere fino a 0,8 punti percentuali di PIL e mettere a rischio decine di migliaia di posti di lavoro entro il 2027. Reuters
Il caso pasta: simbolo e avamposto della tensione
Il caso della pasta italiana è diventato l’emblema della nuova guerra dei dazi. Il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha recentemente concluso un’inchiesta antidumping su due aziende italiane La Molisana e Garofalo — rilevando margini stimati del 91,74 %. Reuters+1 Se le misure venissero confermate, la tariffa complessiva sul prodotto (al momento già soggetto a un 15 % base sui beni UE) supererebbe quindi il 100 %. Reuters+2Reddit+2
L’Italia ha reagito con durezza: il ministero degli Esteri, in coordinamento con la Commissione UE, ha chiesto una revisione della decisione e si sta attivando sul fronte diplomatico per tutelare le imprese italiane minacciate. Reuters+1
L’anticipazione di questa misura ha prodotto già effetti: importatori statunitensi hanno aumentato gli acquisti per “accumulare scorte”, temendo che i dazi entrino in vigore entro il 2026. AP News+1 Tuttavia, questa corsa preventiva non potrà durare a lungo — e alle aziende italiane resta poco tempo per adeguarsi a un nuovo scenario di mercato.
Settori sotto attacco e rischi sistemici
Agroalimentare: Coldiretti rende noto che il comparto agroalimentare italiano esporta negli Stati Uniti ben 7,8 miliardi di euro di prodotti, oggi sotto tiro. Alimentando Le stime parlano di perdite potenziali consistenti: 500 milioni per il vino, 240 per l’olio d’oliva, 170 per la pasta e 120 per i formaggi. Alimentando Se i dazi arrivassero al 45 % per i formaggi o al 35 % per il vino scenari oggi ipotizzati molte aziende dovrebbero rivedere i propri costi distributivi. Italianfood.net
Moda, arredo, legno, metalli, gioielleria: le filiere artigianali, diffuse in molte regioni italiane, sono tra le più fragili. Con ipotesi di dazi tra il 10 % e il 20 %, l’export di queste categorie che nel 2024 esportava 17,9 miliardi verso gli USA rischia una contrazione forte. EAAMS
Meccanica e componenti: la catena dell’automotive è particolarmente esposta. Complessi intrecci tra fornitori europei e mercati globali rendono difficile per le imprese italiane assorbire incrementi di costo per via tariffaria. ANSA.it+1
Pharma e chimica: benché più protetti, non sono immuni dal rischio. Nel 2023 i prodotti farmaceutici rappresentavano più di 8 miliardi dell’export italiano verso gli USA. ANSA.it+1 Tuttavia, la presenza di imprese multinazionali integrate può offrire un cuscinetto rispetto alle oscillazioni tariffarie. ANSA.it
Un altro effetto collaterale è la crescita dell’Italian Sounding cioè imitazioni che evocano l’Italia senza provenire dal territorio nazionale. Secondo teorie recenti, i dazi favoriranno un aumento del fenomeno del 15 %, erodendo ulteriormente le quote genuine italiane. Agi
Dove si è già visto: precedenti e analogie
La tensione attuale richiama scenari già vissuti: nel 2018 l’amministrazione Trump aveva imposto dazi su vino, olio, formaggi e altri beni italiani, innescando una retorica di risposta da parte dell’Unione Europea con dazi su moto e bourbon. EAAMS Allora, l’impatto fu circoscritto; oggi, la portata e l’intensità delle misure ipotizzate rischiano di essere più vaste.
In Francia e in Germania l’impatto è tangibile: i costi delle tensioni commerciali e dei dazi hanno colpito settori manifatturieri, automobilistici e dei beni di consumo. Le Monde.fr+1 Il rischio che il contagio si allarghi in un’escalation globale è reale.
Reazioni, contromisure, scenari possibili
Politica estera e diplomazia economica
L’Italia, in coordinamento con Bruxelles, ha già annunciato l’intenzione di introdurre “contromisure” su scala nazionale e europea. Adnkronos Bruxelles cerca una via diplomatica, ma ha minacciato risposte muscolari se i dazi diventeranno realtà conclamate. Italianfood.net+1
Diversificazione dei mercati
In parallelo, il governo italiano studia strategie per ridurre la dipendenza dal mercato statunitense: verso Africa, Medio Oriente, Asia, e relazioni bilaterali con paesi emergenti. Adnkronos Alcuni segmenti aziendali stanno già guardando a catene logistiche alternative e accordi commerciali extra‑UE.
Puntare sulla qualità e sul branding
Una risposta che le imprese italiane conoscono bene è rafforzare la riconoscibilità del marchio “Made in Italy” come segno distintivo, insostituibile. Confartigianato ha suggerito che la leva qualitativa possa attenuare l’impatto, anche se non annullarlo. Confartigianato Imprese Alcune aziende valutano inoltre nuove formule di catena del valore il “Made in Sicily”, “Made in Veneto” puntando su territori, denominazioni e storie produttive.
Aumento delle scorte e politiche difensive
Alcune imprese hanno già accelerato spedizioni per anticipare i dazi: una misura di breve termine che però non risolve il nodo strutturale. AP News+1 Sul fronte istituzionale, si discute di misure finanziarie di supporto per le esportazioni, sgravi fiscali, finanziamenti per la promozione sui mercati.
Rischio recessione & contrazione economica
Se le tariffe imposte da Washington raggiungessero il 30 %, Confindustria stima un impatto fino a ‑0,8 % sul PIL nei prossimi anni. Reuters Le stime peggiori indicano perdite per 20 miliardi di export e 118.000 posti di lavoro a rischio con un dazio del 10 % su scala totale. Athens Times
Il conto è già aperto: tra attese e realtà
A oggi non tutti i dazi annunciati sono pieni, molte misure sono in fase di studio e negoziato. Ma il segnale che proviene da Washington è chiaro: il protezionismo è tornato, e non come minaccia astratta.
Le aziende italiane più grandi, che dispongono di scala, relazioni internazionali e diversificazione geografica, hanno maggiori margini per attutire il colpo. Le piccole e medie imprese, cuore del tessuto produttivo nazionale, rischiano di trovarsi schiacciate tra costi crescenti, contratti bloccati e competizione sleale di imitazioni italiane.
Il crollo dell’export non è soltanto un calo di volumi o valori; è un colpo al posizionamento dell’Italia nel sistema globale delle relazioni commerciali. Se il punto d’arrivo dovesse essere una ristrutturazione delle rotte produttive fuori dall’Italia, sarà una svolta dolorosa da digerire.
Il “conto USA” sta già arrivando — e l’Italia è chiamata a pagarlo. Ma non è detto che non ci siano ancora margini per barattare, negoziare e reagire. Nell’era del dominio dei dati, delle supply chain globali, delle piattaforme digitali, il Made in Italy dovrà combattere su più fronti: qualità, autenticità, relazioni, innovazione, resilienza.
E mentre Washington calibra la sua offensiva, Roma — e l’Europa — dovranno rispondere con fantasia strategica, visione di sistema, e scelte tempestive.

Reuters

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