General Mark appena si è rifiutato di eseguire un ordine di Trump
Washington – In uno sviluppo sorprendente che rischia di scuotere i fondamenti del sistema civile‑militare negli Stati Uniti, è emersa la notizia che General Mark Milley, ex Presidente del Joint Chiefs of Staff, avrebbe rifiutato di dare esecuzione a un ordine emanato dall’amministrazione Trump. La rivelazione – al contempo clamorosa e controversa – solleva interrogativi su quanto i militari siano disposti a opporsi a un comando presidenziale percepito come illegittimo, e sul confine che separa obbedienza e dovere costituzionale.
I fatti noti (e le fonti)
La notizia del presunto rifiuto non è mai stata confermata in modo pienamente trasparente da fonti ufficiali contemporanee all’evento: ciò che abbiamo è un insieme di testimonianze, memorie, dossier giornalistici e ricostruzioni storiche che indicano come, negli ultimi mesi del mandato di Donald Trump, Milley e altri alti ufficiali avrebbero agito con cautela, fino a opporsi o circoscrivere alcuni ordini.
Uno dei casi più discusso riguarda un episodio citato nel libro I Alone Can Fix It (di Bob Woodward e Robert Costa), in cui Milley – preoccupato dall’instabilità politica percepita negli ultimi giorni della presidenza Trump – avrebbe avvertito superiore e staff che non avrebbe acconsentito a eventuali ordini per atti militari unilaterali contro istituzioni costituite senza un adeguato processo legale. washingtontimes.com
Durante interviste pubbliche, Milley ha negato di aver mai ricevuto un “ordine illegale” da Trump dopo l’elezione del 2020. thehill.com Tuttavia, il suo ruolo controverso e le sue operazioni dietro le quinte restano oggetto di discussione e scetticismo. CBS News+1
Altro punto cruciale: l’autorità e i limiti del ramo esecutivo nell’ambito militare statunitense. È noto che, secondo l’attuale dottrina militare, un comandante può dissentire o rifiutare un ordine che ritiene palesemente illecito. amp.cnn.com Ad esempio, già nel 2017 il Generale John Hyten, allora al comando del Comando Strategico, dichiarò che se un ordine presidenziale di attacco nucleare fosse illegale, egli avrebbe avuto il dovere (e la prerogativa) di opporsi. Bloomberg+1
Ma occorre precisare: dichiarazioni generiche sulla possibilità di rifiutare ordini non equivalgono a conferme che un rifiuto sia realmente avvenuto nel caso in esame.
Il presunto rifiuto: contesto e implicazioni
Secondo le ricostruzioni, l’ordine in questione non riguarderebbe operazioni estere, ma un’azione interna: l’utilizzo delle forze armate contro istituzioni federali, o addirittura contro proteste civili, in un contesto di tensione politica ormai profondamente polarizzato.
Questa dinamica ipotetica affonda le sue radici in elementi già noti:
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Negli ultimi giorni della presidenza Trump, giunsero segnali di interventi energici contro proteste o minacce di disordine civile, tema al centro di dibattiti su “se e quando” il presidente potesse impiegare l’esercito internamente.
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Alcuni consiglieri e funzionari della Casa Bianca avrebbero temuto che Trump potesse fare passi azzardati per mantenere o riaffermare il potere (una linea narrativa presente in molte analisi post‑2020).
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In ambienti militari si diffuse la preoccupazione che alcuni ordini potessero violare sia il Posse Comitatus (la legge che limita l’uso delle forze armate in ruoli civili interni) sia i limiti costituzionali relativi alla separazione dei poteri.
Se Milley avesse davvero deciso di “non eseguire” un comando, ciò avrebbe rappresentato una scelta drammatica: una rottura di fatto tra potere civile e comando militare, ma – secondo alcuni studiosi – anche un atto di fedeltà alla Costituzione, se l’ordine fosse stato chiaramente incostituzionale.
Le implicazioni, però, sarebbero enormi:
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Crisi di legittimità: un rifiuto da parte del massimo responsabile militare segnala un vuoto di legittimazione dell’azione presidenziale, con potenziali effetti destabilizzanti.
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Precedenti pericolosi: se la linea del rifiuto si imponesse, altri comandanti potrebbero sentirsi autorizzati a “giudicare” le direttive presidenziali, alterando il principio della catena di comando.
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Risposta politica e giudiziaria: Trump e i suoi alleati potrebbero accusare Milley di tradimento o insubordinazione, mentre tribunali e Congresso potrebbero essere coinvolti in una battaglia legale senza precedenti.
Scetticismo e cautela storica
Nonostante la narrativa romanzesca, molti analisti e storici militari invitano alla cautela. Ecco alcune ragioni:
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Nessuna dichiarazione ufficiale esplicita
Milley, in interviste posteriori, ha sempre negato di aver ricevuto ordini palesemente illegali da Trump. thehill.com
Inoltre, gli ex colleghi e uffici del Pentagono non hanno mai confermato pubblicamente che un rifiuto specifico sia stato attuato. -
Il “rifiuto” potrebbe essere stato parziale o circoscritto
Potrebbe trattarsi di un rifiuto selettivo – ad esempio, di non approvare ordini senza coordinamento legale o che non passassero attraverso i canali istituzionali – piuttosto che un diniego totale. -
Dimensione narrativa
Molti racconti provenienti da libri di memorie e dossier giornalistici sono costruiti su fonti anonime e ricordi personali. È difficile verificare – a posteriori – le conversazioni private nella Sala Situazione o i passaggi informali fra militari e Casa Bianca. -
Il confine tra “obiezione legale” e insubordinazione
Negli Stati Uniti, le Forze Armate operano nel principio della supremacia civile: il presidente è il comandante in capo. Tuttavia, l’“obbligo” del comandante militare è seguire ordini legittimi, non ordini manifestamente illegittimi. Questo margine è strettissimo e soggetto a interpretazioni giuridiche complesse.
Confronto storico: parallelismi e differenze
Nel corso della storia americana sono stati pochi i casi di altissimo ufficiale che avessero compiuto una scelta di disobbedire (o almeno dilazionare) un ordine presidenziale. Spesso, le tensioni sono state risolte prima che emergessero pubblicamente.
Un precedente noto è quello citato negli anni della Guerra del Vietnam, quando alcuni ufficiali esprimevano riserve su ordini che avrebbero travalicato i limiti del diritto internazionale. Ma nessuno rifiutò ufficialmente un ordine presidenziale in pubblico.
Nel contesto più recente, alcune decisioni di funzionari civili furono contestate dall’opinione pubblica (ad esempio, l’ex Procuratrice Generale Sally Yates si rifiutò nel 2017 di difendere l’ordine esecutivo su regole migratorie, ritenendolo non “saggio o giusto”) Wikipedia — un esempio da amministrazione civile, non militare.
Le reazioni (reali e potenziali)
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Politica: se la notizia fosse confermata, i repubblicani vicini a Trump denuncerebbero tradimento militare, chiedendo l’apertura di inchieste e responsabilità civili.
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Militare: tra gli ufficiali, si genererebbe una linea di dibattito interno: fin dove può spingersi la disobbedienza?
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Giudiziaria: il Congresso potrebbe convocare audizioni, citare Milley, chiedere la declassificazione dei documenti, e aprire processi di impeachment per insubordinazione ai sensi della legge militare (Uniform Code of Military Justice).
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Opinione pubblica: una parte vedrebbe l’azione come un baluardo costituzionale; l’altra, come un passo verso la “militarizzazione” della politica.
Un’ipotesi cruda: cosa potrebbe essere accaduto davvero
Facendo una ricostruzione speculativa basata su fonti e analogie, potremmo ipotizzare che:
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Nelle ultime settimane del mandato, Trump avrebbe chiesto al vertice militare di intervenire in una città in rivolta, ordinando l’uso di truppe federali per reprimere proteste anti-governative.
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Milley – avendo valutato che l’ordine violava norme costituzionali o rischiava di provocare un conflitto civile – avrebbe dichiarato: «non ritengo sia lecito».
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Avrebbe chiesto al Segretario alla Difesa e agli esperti legali del Dipartimento di esaminare il comando, rifiutando finché non fosse emersa una validazione giuridica.
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Alla fine, l’ordine non fu eseguito, congelato da burocrazie o dilazioni giuridiche, ma l’episodio è rimasto confinato nel retroscena fino alla fuga di alcuni resoconti.
Il significato per il futuro
Se davvero General Mark si è rifiutato, quel momento entrerà come spartiacque: non più un semplice conflitto politico, ma un vero scontro istituzionale fra Presidente e Forze Armate. I protocolli civili americani – già messi alla prova durante la presidenza Trump – dovranno fare i conti con un precedente che difficilmente potrà essere dimenticato.
Al di là delle controversie sul fatto storico, resta però il messaggio: in democrazia le Forze Armate non sono “strumenti del potere”, ma custodi della Costituzione. Se un ordine appare come tradimento istituzionale, il comandante ha – nell’ideale – non solo il diritto, ma il dovere di valutare.
Infine, resta un nodo cruciale: fin dove è legittimo che un militare “giudichi” gli ordini civili? E se il suo giudizio diverge da quello del Presidente, chi stabilisce l’ultima parola? La risposta a quella domanda, forse, è il vero punto su cui si giocherà la stabilità istituzionale negli anni a venire.
Nota metodologica: questo articolo si basa su ricostruzioni giornalistiche, libri, interviste e analisi accademiche; non è al momento possibile affermare con assoluta certezza che un rifiuto pieno sia avvenuto — ma il dibattito che suscita è già, di per sé, fondamentale.

reuters.com
apnews.com
washingtonpost.com











